Un fiume, il Tappone, in cui insieme all’acqua scorre la storia
È un corso d’acqua che passa accanto al centro storico di Sepino e che è stato da sempre utilizzato dall’uomo in vario modo senza, comunque, alterarlo gravemente.
È un’area di grande interesse per i valori storici, naturalisti e paesaggistici presenti. Tra gli elementi che concorrono a questa ricchezza vi è sicuramente il fiume Tappone che è dotato di valenze culturali e ambientali notevoli. Non si tratta di una semplice sommatoria di «beni», in quanto essi sono legati a formare un autentico sistema. Il Tappone ha le proprie scaturigini nelle vicinanze del centro termale (il quale purtroppo non è ancora funzionante) Tre Fontane; le proprietà di queste acque minerali sono conosciute da tempo, ma l’idea di realizzare le terme è recente e, del resto, l’interesse per simili strutture ha avuto un incremento ovunque, negli ultimi decenni. In verità, già ad Altilia erano presenti complessi termali i quali sono, in qualche modo, l’antecedente di ciò che è stato costruito in località Tre Fontane. A favorire la nascita di tale impianto che sfrutta le acque delle sorgenti del Tappone, una delle poche del Matese, montagna carsica in cui sono rare le risorgive idriche in quota, vi è la strada che attraverso il passo Crocella scavalca la montagna. A questo proposito va evidenziato che le catene montuose in passato non costituivano un intralcio pesante alle relazioni tra i due opposti versanti, cosa che, invece, si verifica oggi perché i nuovi mezzi di trasporto richiedono strade tendenzialmente rettilinee.
Le acque oligominerali delle Tre Fontane oggi vengono imbottigliate in uno stabilimento posto a valle. Nel suo tratto terminale il nostro fiume prima di confluire nel Tammaro incontra il tratturo. Incontrare il tratturo, comunque, non significa incontrare i pastori che si muovono lungo la pista tratturale in primavera e in autunno per la transumanza mentre nelle altre stagioni è vuoto, privo di presenze umane e animali. Nell’età contemporanea è quasi incomprensibile la ciclicità delle attività. Il tempo discontinuo è rimasto tipico solo dell’agricoltura e adesso si è aggiunto il turismo, quello balneare e quello legato alla neve. Dunque il Tappone svolge la funzione di abbeveramento delle greggi due volte l’anno; la sosta delle pecore transumanti non dura, però, un attimo, ma, di certo, lo stazionamento si prolunga per qualche giorno con i conduttori degli armenti che si ristorano nelle tre taverne presenti nell’agro si Sepino, non distanti dal nostro corso idrico.
Per comprendere la lentezza del cammino sul tratturo bisogna riflettere sul fatto che la transumanza è un fenomeno più vicino al nomadismo che all’alpeggio, il quale è presente pure nell’area matesina, poiché non si tratta di un semplice spostamento tra il punto d’inizio e quello finale, bensì di una combinazione dell’incedere con il brucare, attività che si svolgono insieme. Proprio come i nomadi che si allontanano da un territorio dopo averne esaurito le risorse. Il tratturo è connesso con Altilia trasformandone la ragione d’essere originaria che è quella di un castrum, cioè di un accampamento militare di cui conserva l’impianto planimetrico, a servizio dell’occupazione romana del Sannio. L’attraversamento del percorso tratturale che è anche sfruttato per il trasporto di merci porta l’antica Saepinum a diventare un centro mercantile. Gli scambi avvengono nel foro garantiti dalla presenza di un tribunale, con l’amministrazione della giustizia che si svolgeva vicino alla basilica. Tra i traffici c’è pure la lana che viene lavorata nella gualchiera che sfrutta le acque del Tappone, ancora una volta, quindi, protagonista della vita del comprensorio.
Le medesime acque servono per la Cartiera, anch’essa adiacente al tratturo, riportata fin dal XVII secolo nelle cartografie del demanio tratturale (la mappa del Capecelatro). Sepino è una terra ricchissima di acque che vengono utilizzate quale forza motrice di numerosi mulini, alcuni dei quali situati sulle sponde del medio corso del Tappone (il mulino Volpe e il Vignone). Ormai sono strutture obsolete e, alla stessa maniera, è superato anche il novecentesco stabilimento molitorio dotato di un motore a vapore che sorgendo non troppo lontano dal Tappone fa da contrappunto ai mulini tradizionali, almeno visivamente; la sua chiusura è emblematica delle difficoltà dell’industria agroalimentare molisana. Sul fiume, inoltre, ci sono i resti di una piccola centrale idroelettrica, a monte dei mulini citati; pure se minuscoli impianti simili sono stati essenziali per garantire l’infrastrutturazione energetica di zone rurali come questa altrimenti dimenticate dalle altre aziende elettriche. Ancora sopra si trova il lanificio il quale si sovrappone, facendola scomparire, la gualchiera di cui si è detto visibile in una stampa di metà ottocento. Il lanificio Martino si avvale della medesima connessione all’impiego di risorsa idrica di un preesistente mulino il quale continua a restare in azione mediante l’acqua in uscita dal lanificio.
È questa una caratteristica precipua dell’intera asta fluviale, cioè quella di una utilizzazione in serie dell’acqua. Siamo di fronte ad un sistema ininterrotto di salti dovuto alla disposizione in sequenza di lanificio, mulino, centrale idroelettrica e, ancora, 2 mulini e infine la cartiera. Vale la pena precisare che insieme ai fabbricati dove trovano posto i macchinari, volta per volta, per la lavorazione della lana, per la produzione di energia, per la molitura, per la fabbricazione della carta, bisogna considerare le opere di presa con i relativi sbarramenti, i canali di adduzione (in tubatura nel caso del lanificio) e quelli di restituzione, le vasche di accumulo; ciò determina una completa artificializzazione del Tappone. Le sue portate sono a tal punto costanti che hanno permesso al lanificio, il quale si serve dell’energia idraulica per mettere in moto la turbina, di reggere la concorrenza fino al 1971. Non è stata, comunque, solo la fonte energetica a impedirgli di reggere in seguito il passo delle fabbriche moderne, quanto piuttosto i problemi dei collegamenti essendo il lanificio raggiungibile scavalcando un ponte a schiena d’asino, il suggestivo ponte di S. Pietro, sul Tappone, non idoneo per il passaggio dei camion. In definitiva, è lecito definire questo fiume nel suo complesso un monumento di archeologia industriale o, meglio, un parco scientifico-tecnologico-storico e naturalistico per la molteplicità degli interessi che ad esso si connettono.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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