Monteverde di nome e di fatto

Una montagna dotata di un triplice motivo di interesse, da quello naturalistico a quello storico a quello religioso. È un luogo idoneo per un progetto di valorizzazione paesaggistica che sia anche di tutela specie dei resti di S. Maria di Guglieto. Siamo prossimi a Campobasso, tra Vinchiaturo e Mirabello.

Fin quasi in cima al monte La Rocca, alto 1000 metri, si estende il Sito di Importanza Comunitaria «Rocca di Monteverde» il quale raggiunge quota m. 830. Esso che ha un’ampiezza di 86 ettari è quasi interamente coperto da Habitat, ben 76 ettari, i quali sono superfici assoggettate a speciali misure di conservazione. L’Habitat più ampio, molto più ampio dell’altro trattandosi di 70 ettari, è quello di natura boschiva classificato con la sigla 91MO la cui denominazione completa è «Foreste Pannoniche – Balcaniche di cerro e rovere», specie evidentemente presenti anche sulla opposta sponda dell’Adriatico e in parte dell’Europa centrale. È suggestivo sapere che ci troviamo in un ambiente naturale che ha riscontri anche molto lontano da noi.

Il riferimento alla Pannonia e ai Balcani non va inteso quale diffusione di tali piante da queste terre perché è più accreditata l’ipotesi che esse siano migrate dall’Appennino dove se ne erano salvaguardati alcuni nuclei fin lì dopo l’ultima glaciazione. Non sono, comunque, alberi specifici di zone in altitudine (altitudine che deve aver evitato la loro sommersione dalle acque di scioglimento dei ghiacci) in quanto almeno nel Molise essi sono largamente distribuiti nelle zone collinari e di basa montagna, da un minimo di 19 m. s.l.m. a 1025. L’estensione forestale a Monteverde è consistente, ma non tanto per permettere alla fauna selvatica che predilige gli ambiti boscosi di vivervi stabilmente; piuttosto va considerata quale punto di connessione tra aree di valenza naturalistica (in questa sezione del Matese i SIC sono pochi) nel quale gli animali, prendi il lupo, possono trovare rifugio nei loro spostamenti.

Il secondo Habitat è completamente diverso perché esso è di tipo prativo, il 6210 che riguarda, non lo si riporta per intero, «Formazioni erbose secche seminaturali» ed è addirittura Prioritario, dunque tutelatissimo, per la «notevole fioritura di orchidee». Non bisogna badare alla sua ridotta grandezza, solo ha 6, perché è questo un numero considerevole messo a confronto con quello che compare in tutti i SIC in cui è presente tale Habitat. Siamo di fronte a prati aridi in quanto il substrato è calcareo, i quali non vengono coltivati, al massimo sfalciati, cosa che ne fa quasi delle praterie primarie; il suolo non è molto acclive e con scarsi affioramenti di pietre. Come immagine essi rimandano ai pascoli montani, una delle categorie paesaggistiche maggiormente celebrate.

Monteverde, ad ogni modo, non è solamente un comprensorio ricco di biodiversità, essendovi pure importanti risorse culturali e tale insieme potrebbe portare, se adeguatamente sostenuto, alla crescita di un turismo legato alla natura e alla storia, un segmento dei flussi di visitatori ormai non più elitario. Cominciamo nella descrizione da un oggetto per il quale ci dobbiamo affidare a forza principalmente all’immaginazione e, cioè, dalle mura dell’antico centro sannita di Rufinium. Pur se le murazioni megalitiche sono (mancano campagne di scavo) scarsamente visibili rimane forte la sensazione per chi frequenta questi luoghi di essere in una posizione strategica per il controllo del territorio, simile a quella di tante altre fortificazioni italiche. La presenza di tale insediamento fortificato è presumibile per la regolarità della distribuzione dei nuclei difensivi nel cuore del Sannio Pentro, tra i quali si segnalano quelli di Montevairano, del m. Saraceno a Cercemaggiore, di Terravecchia di Sepino, della Montagna di Gildone.

Mentre le città romane sono di pianura e, perciò, popolose collegabili in maniera facile fra loro, vedi Altilia e Boiano, per via dell’orografia tormentata i presidii (ancora non si afferma l’idea di polis) umani sanniti prediligendo l’altura sono più frammentati, difficilmente comunicanti l’un l’altro. Per queste ragioni di tipo geografico ci troviamo di fronte a tribù distinte, pur appartenendo alla stessa etnia mentre sotto la dominazione di Roma, lo si ripete civiltà di pianura, vi è l’unificazione dei popoli, avendo tutti il riconoscimento di cittadini dell’Urbe. Più numerosi, pur se con meno abitanti sono i centri sanniti rispetto a quelli romani ricadenti nel medesimo comprensorio. Stiamo trattando di archeologia, in qualche modo, virtuale, al contrario di quella che è pur sempre rientrante nel campo dell’archeologia, nonostante che siano di epoca medioevale, rappresentata dai ruderi di S. Maria di Guglieto.

Non è tale fatto una rarità perché oggi tante testimonianze risalenti al medioevo stanno diventando manufatti archeologici nella nostra regione, dai castelli (di Colledanchise, di Civita Superiore, ecc.) alle chiese (S. Angelo di Altissimis, S. Vincenzo al Volturno, ecc.). È un’architettura religiosa, quella di Monteverde, posta in prossimità della fascia superiore di questa montagna ed essa per la sua posizione, ma specialmente per l’alone di sacralità che porta con sé costituisce un elemento emergente, non certo per la visibilità perché in piedi è rimasta solo parte dell’abside. Annessa all’area di culto vi era una badia della quale il fabbricato esistente deve essere frutto di un rimaneggiamento. I piccoli monasteri situati in zone disabitate e connotati da condizioni geografiche difficili, come le sommità dei monti erano funzionali all’ospitalità dei viandanti; ci troviamo nelle vicinanze del crocevia delle «quattro via nove» in cui si incrociano, appunto, quattro strade accorsate.

Essi servivano da rifugio e ristoro per coloro che le percorrevano oltre che per il controllo dei traffici, pur focalizzandosi, per ragioni di sicurezza, un po’ discosti dai percorsi. Ex convent(ino) e chiesa sono tutt’uno, un’unità che si estende allo spazio che è all’intorno, un piazzale erboso in cui l’edicola devozionale che lo delimita sembra voler indicare l’inizio del temenos, il recinto sacro degli antichi Greci. Anche la natura acquista una valenza spirituale, conferitagli pure dalla solennità delle specie arboree presenti nel territorio circostante. L’insieme descritto si presta ad un progetto di valorizzazione paesaggistica che, da un lato, il lato del “sacro”, si proponga di evidenziare la sua vocazione religiosa e, dall’altro lato, il lato del “profano”, punti alla creazione del cosiddetto giardino con rovine, le quali ultime sono particolarmente pregevoli per il rinvenimento di capitelli, decorazioni lapidee, iscrizioni, rocchi di colonne.

Potrebbe essere ammesso un intervento limitato di anastilosi con il rimontaggio dei frammenti sicuramente riconoscibili anche allo scopo di evitare che i pezzi minuti possano essere asportati con facilità; in ogni caso il materiale va conservato in situ, magari, proteggendolo con una recinzione. In definitiva è un luogo importante per i naturalisti, per gli storici e specialmente per le comunità di Vinchiaturo e Mirabello essendo oggetto di devozione popolare spontanea ancor più che inculcata dalle autorità ecclesiastiche.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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