Una gola profonda
È quella del Quirino a Guardiaregia lunga 5 Km., una spettacolare incisione nella montagna del Matese frequentata da escursionisti esperti alla ricerca del contatto con la natura incontaminata. Anche chi la vede dall’esterno prova il gusto dell’«orrido», quello ricercato dai viaggiatori ottocenteschi.
Il ponte dell’Arcichiaro non era quello che vediamo oggi, così ardito, elevato, con uno dei primi impalcati in cemento apparsi nel Molise tanto che nella vulgata corrente viene chiamato «ponte del diavolo» (un indizio di quel sentimento di paura suscitato dalla gola di cui parleremo dopo), denominazione affibbiata ai ponti a schiena d’asino medioevali, strutture anch’esse impressionanti sotto l’aspetto tecnico. Con la costruzione della diga venne demolito l’antico ponte al quale quello moderno si sovrappone nello stesso sito, ma molte decine di metri al di sopra; un ponte qui è sempre stato necessario perché la strada che esso serve è l’unico percorso viario che permette di superare il massiccio del Matese raggiungendo il valico di Sella del Perrone.
I viaggiatori di un tempo non apprezzavano, di certo, la suggestione della gola del Quirino che erano tenuti ad attraversare per andare in Campania, bensì, al contrario, avvertivano un senso di fastidio. Il medesimo modo di sentire verso gli elementi naturali più aspri è quello dei contadini, almeno nel passato, i quali ammiravano alcuni angoli del territorio in quanto sfruttabili dal punto di vista agricolo; non è, comunque, questa una valutazione solo dei coltivatori se si pensa al trecentesco affresco del Buon Governo a Siena nel quale è raffigurata, con compiacimento, una campagna ben curata. Ritorniamo al ponte per dire che le vedute dall’alto nel caso delle gole forse sono maggiormente stimolanti di quelle dall’interno dove si ha un campo visivo troppo angusto. Un punto di visione dell’identico tipo è la parte storica dell’abitato di Guardiaregia il quale si deve essere localizzato immediatamente ai margini della gola perché così, da questo lato, si rendeva inespugnabile.
Le pareti della gola sono pressoché verticali e perciò per chi le osserva vertiginose anche se non sempre su di esse affiora la pietra, talvolta lo scoscendimento diventando meno accentuato, non del tutto a strapiombo, è rivestito di boscaglia e, a tratti, di un manto erboso che addirittura sembra pendulo. Si tratta di specie vegetali particolari tra le quali si segnala il tasso e i raggruppamenti arborei antichi si perpetuano lì dove l’orografia è impervia. Questo è uno degli ambiti più selvatici del Molise ed è, perciò, compreso nell’Oasi WWF. La natura originaria è quasi ovunque scomparsa e quelle che oggi chiamiamo aree naturali e, pertanto, le tuteliamo possono essere, prendi le faggete ad alto fusto e i pascoli d’altitudine, delle formazioni vegetali che risentono di un forte condizionamento antropico attraverso, per i boschi, il taglio periodico e, per le praterie, l’alpeggio. Unicamente le rocce e le gole, per via dei versanti a perpendicolo, non sono state appetibili per l’uomo.
L’inaccessibilità della gola del Quirino ne fa il luogo più integro naturalisticamente (insieme alla gola del Pesco Rosso a Monteroduni) dell’intero complesso montuoso matesino. La gola suscita emozioni negli appassionati della wilderness, un concetto nato in America mentre da noi piuttosto che la contemplazione del mondo selvaggio si apprezzava, influenzati dal Romanticismo, le ascensioni sulle vette, specie se condotte in solitario, perché portano ad una elevazione dello spirito. In ogni caso si è sempre di fronte al nuovo atteggiamento per il quale il paesaggio diviene un argomento estetico. Rousseau con il mito del “buon selvaggio” propugna il ritorno allo stato naturale da parte dell’essere umano da cui deriva la nascita del cosiddetto sentimento della natura.
Tanti pittori raffigurano immagini di squarci paesaggistici alpini e di mari in tempesta e ciò porta a stimolare i turisti che sostituiscono ormai i viaggiatori del Grand Tour in quanto nel tempo si è affermato il fenomeno del turismo di massa, a fare esperienza degli ambienti incontaminati, di nuovo le zone alpestri, le coste rocciose, dirupi, voragini, grotte e così via. Si tratta di esperienze della natura saltuarie, non di una vera presa di coscienza, limitata com’è a momenti circoscritti, coincidenti con le ferie, un’altra espressione della società contemporanea, durante le quali si vuol interrompere il tran tran della vita quotidiana (simile considerazione vale per il week end). Si è alla ricerca dell’«orrido», del «sublime», secondo la terminologia dei Romantici e la gola del Quirino ha sempre affascinato i corregionali poiché capaci di evocare tali sensazioni.
C’è una componente diversa rispetto al godimento estetico usuale che rende pregnante la veduta della gola suddetta, aumentando il senso di terrificità o, meglio, tenebrosità che essa emana, la quale è legata alla consapevolezza dell’energia dei movimenti tettonici che hanno interessato la crosta terrestre. Essa, infatti, costituisce una discontinuità, quasi un solco che separa nettamente due porzioni di una montagna che per il resto nelle sue pendici si presenta compatta visivamente, essendo scarsi i corsi d’acqua che originano in quota e, dunque, i valloni che la incidono. La gola del Quirino non è definita faglia e, tanto meno, «attiva», ma piuttosto una frattura dovuta alla rigidità del calcare, il substrato geologico di questo rilievo montano, il quale tende a spezzarsi sotto le spinte endogene, le forze che hanno modellato la terra, invece che a piegarsi dando vita a morfologie non così dure; rimane l’associazione spontanea con la pericolosità tellurica dato che il Matese è uno dei comprensori a maggiore rischio sismico della regione.
Incuteva timore, quando l’invaso dell’Arcichiaro non esisteva il quale funge da bacino di laminazione, il rigonfiamento nelle stagioni piovose e a seguito dello scioglimento delle nevi del Quirino le cui piene, con il trasporto dei detriti a valle, hanno contribuito alla formazione della piana; lo scorrere delle acque nella gola, peraltro, le conferisce una certa vivacità, percepibile da coloro che vi si inoltrano, per il contrasto con l’immobilità delle rocce. Ad animare lo scenario vi è anche il volo, ora davvero solitario, degli uccelli (tra i quali fino ad alcuni decenni fa si annoverava l’aquila la quale nidificava nei costoni della gola); ad essi si vanno ad aggiungere le persone che amano i gesti avventurosi, le emozioni estreme, quelle che si provano nell’essere trascinati da una carrucola, sulla quale si viene imbracati, sospesa su un filo di acciaio teso tra le due opposte sponde della gola. Il progetto, presentato dal Comune di Guardiaregia, prevede opere simili a quelle già realizzate nelle Dolomiti Lucane; in qualche modo non modifica ciò che si avverte guardando la gola, cioè i brividi e contemporaneamente il piacere dell’«orrido».
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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