Dalla Fresilia a Frosolone e ritorno
Il progetto per l’allargamento e rettifica dl percorso che congiunge questo centro con la Fresilia prevede pure il suo prolungamento oltre l’abitato, ma non è esplicitata compiutamente la ragione.
È una strada che già è stata oggetto di molti lavori consistenti nella realizzazione di un viadotto resosi necessario per accorciare il tracciato; la brevità del percorso è, sicuramente, la motivazione principale dell’intervento eseguito in questo tratto, ma non appare di poco conto anche l’aver evitato che l’arteria passi accanto ad una serie di costruzioni. In località S. Anna, un nucleo edilizio che si è sviluppato proprio a fianco della strada, in quel pezzo che andrà ad essere declassificato (da Provinciale a Comunale), vi sono tanto abitazioni, quanto attività commerciali che costituiscono in qualche modo intralcio al traffico. Davanti agli usci delle case unifamiliari come sono quelle che stanno qui abitualmente sedevano le donne e gli anziani così come i bambini giocavano nello spazio circostante, tutte cose incompatibili con il passaggio delle automobili; la sosta poi in prossimità dei negozi impone la riduzione della velocità dei mezzi in transito.
Seppure frammentato siamo di fronte ad un agglomerato insediativo lineare, formatosi nel tempo ai margini dell’asse viario che costituisce l’elemento attrattore, piuttosto che ad un insediamento diffuso tipico delle aree rurali. In ambedue i casi la densità edilizia rimane bassa e se questo fatto li accomuna la ragione funzionale è diversa perché il secondo è specificamente legato allo sfruttamento agricolo del suolo, mentre il primo ha connotazioni per certi versi urbane (specie per la presenza di strutture di vendita). La rettificazione effettuata è stata possibile perché tra i due opposti punti dell’itinerario stradale collegati dalla variante in corso di completamento non vi sono intersezioni con altri percorsi. Essi sono quelli che conducono al popoloso borgo di S. Pietro in Valle, posto sul lato della strada che volge verso la vallata del Biferno, e alla frazione di Cerasito, sul lato contrapposto che invece, appartiene al versante del Trigno. La nostra arteria come la gran parte della viabilità storica regionale, predilige nel suo sviluppo la collocazione sul crinale, conformazione morfologica più stabile rispetto al pendio il quale è soggetto a frane.
Il seguire, per quanto consentito, la linea di crinale porta con sé pure la varietà insieme all’ampiezza delle vedute che si aprono da essa: varietà poiché con lo sguardo volta per volta si ammirano scenari differenti, il crinale separando i bacini idrografici, ampiezza perché il crinale è la striscia di territorio sommitale. Tale valenza panoramica dell’arteria in questione è compromessa nel tratto in cui c’è la deviazione sul viadotto del suo asse, non più di crinale. In effetti, la priorità è quella di abbreviare la distanza che intercorre con Frosolone, il maggior centro del comprensorio, e questo va a scapito delle esigenze di godimento del paesaggio. Tornando agli incroci sarà necessario progettare adeguati svincoli, più di uno essendo impossibile convogliare in un unico snodo le strade ch incrociano l’arteria di cui parliamo, neanche immaginando un sistema viario secondario “ad albero”, quindi con diramazioni successive da un tronco iniziale. Certo che una centralizzazione degli innesti permetterebbe alle auto di correre velocemente, ma la situazione territoriale proprio non lo consente. Il segmento finale previsto nel disegno viario si presenta come una sorta di tangenziale all’abitato di Frosolone, il quale, però, non è così ampio da richiedere una tangenziale, appunto, per gli spostamenti all’interno dell’ambito cittadino, da un capo all’altro del capoluogo comunale.
La circonvallazione parziale (non è un circuito) si giustifica quando si vogliono congiungere quartieri distanti fra di loro senza attraversare la zona centrale della città e tale motivazione non è condivisibile per l’entità ridotta della superficie urbanizzata. Frosolone non costituisce neanche una strozzatura (come, mettiamo, Venafro) perché essa non è posta su una direttrice di grande comunicazione, perlomeno adesso che la statale che un tempo congiungeva Trivento con Boiano non c’è più, per cui sembra sufficiente una strada di penetrazione. Per quanto riguarda la definizione delle caratteristiche fisiche dell’arteria va detto che l’obiettivo di renderla maggiormente rettilinea per diminuire i tempi di percorrenza può convivere con quello di conservare l’ambiente. L’inserimento dell’infrastruttura nel contesto ambientale non viene migliorato di molto se esso è fondato su accorgimenti formali, tipo il rivestimento delle opere d’arte con materiali locali i quali sono utili solo per diminuire l’estraneità della strada dal paesaggio. Qui si discute di un allargamento della sezione viaria, non della costruzione ex-novo, ed allora l’impegno deve essere quello di non accentuare l’effetto di frammentazione del sistema ecologico che un’attrezzatura viaria di per sé produce; il rimboschimento delle scarpate, così come la loro limitata inclinazione, serve a favorire il transito biologico (il viadotto non interrompe, invece, la continuità ecosistemica).
Le specie animali, soprattutto i piccoli mammiferi, avvertono la presenza del nastro d’asfalto quale barriera che ostacola i loro movimenti per cui è necessario che sia minima la larghezza del corpo viario, inteso come insieme di sponde laterali, banchine e carreggiata. Quando ad un fianco, come succede in alcuni tratti, già insiste la vegetazione arborea, non conviene allargare l’arteria da tale lato. La rettifica della strada lascia dietro di sé dei relitti viari dove si deve procedere alla piantumazione di alberi pure in considerazione del fatto che il nuovo tracciato abbandonando il sedime consolidato del vecchio percorso si espone al rischio del dissesto idrogeologico che le radici delle piante contrastano. Non si deve trascurare nella progettazione la salvaguardia dei segni culturali: si parla della chiesa di S. Maia del Piano, un edificio religioso di epoca moderna il quale, però, si sovrappone ad una antica cappella. Essa ha un significato pure di natura antropologica in quanto presso tale struttura sacra si svolge annualmente una fiera tradizionale e lo spazio adiacente è una zona a verde alberata alla quale l’ammodernamento della strada non dovrà provocare disturbo, magari prevedendo una siepe antirumore.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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