Un leone a guardia del castello di S. Agapito

Nel cortile del palazzo feudale vi è una statua di leone stilobate che suscita ammirazione per la sua fattura artistica, ma anche timore trattandosi di una belva feroce.

Il castello è posto proprio a fianco della porta d’ingresso al borgo medioevale fortificando il punto della murazione più vulnerabile poiché priva di difese naturali ma questo non è un fatto insolito, mentre è un’eccezione il fatto che l’accesso alla residenza feudale non coincida con quello dell’abitato storico come succede, invece, per diversi altri casi nei quali vi è l’affiancamento tra il palazzo baronale e l’ingresso al borgo (vedasi gli esempi di Vastogirardi e Scapoli). Tale contiguità si spiega con la necessità di rinforzare il punto “debole”  della cinta muraria che è la porta mediante la costruzione di una rocca “forte” in adiacenza. Venute a cadere le esigenze difensive con un processo che è iniziato nel XV secolo, si è avuta anche qui la trasformazione del vecchio maniero in un edificio signorile. I signorotti tendono ad imitare i grandi palazzi rinascimentali tanto per la ricerca di comodità abitative quanto per lo status aristocratico che attribuiscono al proprietario.

A S. Martino in Pensilis, a Casacalenda, a Cercepiccola, ecc. compare il cortile il quale, in verità, doveva esserci stato pure in precedenza quando fungeva da semplice luogo di raduno protetto e che, però, ora tende ad assumere valenze architettoniche. La corte può essere porticata come accade a Larino e, a volte, ciò accade a S. Agapito, su di essa prospetta un loggiato. Non ci sono altre ragioni che ragioni legate al gusto che spingono ad attribuire una forma regolare al cortile. Esso ha sempre una pianta quadrangolare e si avvicina al quadrato anche la corte del castello del nostro centro matesino. È rara la presenza nel patrimonio castellano molisano di corti con al centro un elemento scultoreo, una vera di pozzo, una vasca per cui è sorprendente imbattersi nel leone stilobate introducendosi nel cortile. È un pezzo lapideo di consistenti dimensioni, ben superiore a quelle di tanti leoni accovacciati sorreggenti le colonne dei portici delle chiese romaniche, e di ottima fattura posizionato in modo che possa essere ammirato fin dall’ingresso.

Il cortile rappresenta la parte del palazzo maggiormente interessante in riguardo all’architettura poiché la facciata esterna non presenta motivi stilistici di rilievo. Che il cortile sia il frutto di una precisa scelta figurativa è dimostrato, inoltre, dalla sua collocazione non baricentrica rispetto al fabbricato come si converrebbe ad una corte; per sua natura essa dovrebbe conformare la tipologia edilizia, essere il cuore della costruzione, il cuore della distribuzione degli spazi interni, cosa che non avviene e che fa dedurre che non è il frutto di una volontà compositiva, bensì di ragioni espressive. I fabbricati con impianto a corte presentano un bilanciamento dei corpi intorno a questo nucleo in qualche modo generatore, mentre a S. Agapito il palazzo è un volume allungato, non centralizzato come negli schemi a corte. Dal portone d’ingresso immediatamente prima di accedere al cortile si può raggiungere il cosiddetto piano nobile mediante uno scalone con soffitto affrescato e a tale livello sta la loggia; un’organizzazione tipo logicamente del tutto diversa da quella degli edifici con corte d’onore dove per salire sul piano superiore destinato alla rappresentanza, bisogna attraversare per intero il cortile. Ciò fa, in qualche modo, di questo tipo di cortile un luogo con maggiore indipendenza dalla residenza, alla stregua di uno slargo urbano, sebbene di proprietà privata.

Il cortile del castello di S. Agapito, proseguendo sulla scia di quanto appena detto, è una sorta di piazzetta, seppure non di uso collettivo, ed, anzi, è la superficie aperta più ampia dell’agglomerato antico. Più estesa del largo che antecede il fabbricato che un tempo doveva essere la cappella feudale, di cui doveva fungere da sagrato. Le paraste che chiudono la facciata di questo edificio, oggi destinato a livello terraneo a esercizio commerciale, e il passaggio coperto che sormonta, sorretto da un arco, la strada che la separa dal castello, usato dai componenti la famiglia del feudatario per assistere alle funzioni religiose (non è la prima volta: vedi il palazzo baronale Iacampo di Vinchiaturo e la dimora borghese dei Petrecca a Cantalupo), rivelano il suo essere stato un edificio di culto. La conferma, peraltro, viene dalla planimetria catastale del comune, tuttora quella ufficiale, nella quale è riportata sulla particella corrispondente a questa fabbrica il simbolo delle strutture ecclesiastiche. In verità, vi è un dubbio residuo, forse inappropriato, che è dato dall’altezza in quanto diventando casa è stato possibile ricavarne ben due piani, il secondo oltre le paraste citate.

La chiesetta, pur essendo stata ormai riassorbita nel tessuto edilizio, una casa come tutte le altre, conserva una sua singolarità che la distingue dal resto ed è la sua posizione ortogonale alla porta urbica che gli attribuisce un particolare risalto nel panorama cittadino; il castello per la disposizione del suo fronte tangente al percorso che si diparte dalla porta urbana non è percepibile se non d’infilata e l’essere visibile solo di scorcio, non quale fondale delle vedute, non fa emergere la sua imponenza. Rimane, comunque, la sua rilevanza nell’aggregato urbanistico per la sua volumetria decisamente fuori scala, quasi fuori posto in una piccola comunità contadina e, di conseguenza, povera che viveva in casette minute. Rimane, poi, la sua carica simbolica, perché tale architettura rimanda all’epoca in cui ebbe origine l’insediamento fondato come la gran quantità dei comuni della regione nell’alto medioevo. Nonostante non sia diventato sede delle nuove istituzioni che hanno soppiantato il regime feudale, cioè del Municipio, non essendo stato incamerato dalla mano pubblica al momento dell’eversione del feudalesimo, il castello rimane un «segno» autorevole per i valori culturali che porta con sé. Esso può essere candidato per ospitare attività in favore della crescita della cultura, iniziando con la predisposizione di una convenzione da sottoscrivere con gli attuali possessori per permettere la visita almeno del cortile.

La fruibilità è favorita dalla vicinanza con il sobborgo sorto fuori le mura, in stretta aderenza con il nucleo originario che proprio da questo lato (l’unico in cui il borgo antico, lo si è accennato all’inizio, non è separato dal resto del territorio per via di barriere morfologiche, quali i valloni) vede la presenza del castello, raggiungibile perciò con facilità.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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