Campochiaro, una piana a più livelli

È quella di Campochiaro dove ad una quota inferiore del piano di campagna numerose cave hanno portato il suolo in molti tratti ad un livello più basso

Una piana, quella di Campochiaro, la cui origine ha due possibili chiavi interpretative: una è quella che si tratti di pianura alluvionale e l’altra che sia la parte finale di un grandioso conoide di deiezione creato dal torrente La Valle. Per quanto riguarda quest’ultima occorre spiegare che quando un corpo idrico con pendenza molto elevata come è appunto il La Valle il quale precipita vertiginosamente dalle alte quote del Matese raggiunge la base del versante montuoso esso deposita i sedimenti trasportati; la morfologia tipica è quella del ventaglio con il materiale che il torrente ha condotto con sé che si sparpaglia in lingue allungate al punto di contatto tra il fondovalle e la montagna, in questo caso, matesina.

Il nome conoide sta proprio ad indicare la forma a settore di cono di questo accumulo sedimentario. Non è un fenomeno eccezionale, solo che a Campochiaro esso assume una configurazione spettacolare. Per quello che qui ci interessa si evidenzia che gli spessori dei depositi sono maggiori nella zona superiore della conoide dove si stempera l’energia del torrente e tale differenza di grandezza dello strato dei detriti tra l’alta e la bassa pianura si spiega anche nell’ipotesi di una piana alluvionale perché ogni corso d’acqua via via che prosegue il suo percorso abbandona materiali sempre meno grossolani.

Riprendiamo la prima interpretazione indicata all’inizio: se suffraga la lettura della piana di Campochiaro quale piana alluvionale l’indizio significativo della planarità dell’area, manca, però, il “requisito” dell’essere solcata da un fiume con andamento a meandri. Le aste fluviali del Quirino nel quale confluisce il già citato torrente La Valle sono pressoché rettilinee e non si colgono neanche terrazzamenti ai loro lati che avrebbero potuto far pensare ad un approfondimento dell’alveo conseguenza dell’incapacità di questi corsi d’acqua di scavarsi un letto nella massa di detriti da essi depositati che colmano la piana.

Inoltre, ad eccezione dell’ambito prossimo all’abitato di Campochiaro, non si ha memoria di quelle inondazioni periodiche che caratterizzano una pianura alluvionale e, del resto, non si sono rese necessarie opere di bonifica idraulica come avviene in altre situazioni. Soffermandoci su tale punto è da dire che l’assenza di risorse irrigue ha imposto quale uso del suolo il pascolo o la coltivazione di seminativi asciutti e, pure, impedito l’affermazione di un bosco planiziale che più spesso è igrofilo, gli alberi in questo areale rimanendo confinati alle sponde fluviali.

Deve, di certo, concorrere il fatto che lo strato pedologico sia poco evoluto mancando il limo il quale viene depositato dai corsi d’acqua nel loro tratto finale. Il particellario agrario è irregolare, ben diverso da quello della centuriatio romana di cui, invece, vi sono tracce nella prossima piana di Sepino, rivelatrice dell’impegno di questa antica civiltà a favore dell’agricoltura. Anticipando un tema che tratteremo in seguito, per via di questa scarsa potenzialità agronomica non è opportuno che nel ripristino delle cave la destinazione sia quella colturale a meno che si prevedano colture estensive.

Si è accennato, a proposito della consistenza degli accumuli di inerti nel sottosuolo, di una fascia di pianura denominata alta e di una bassa e, adesso, precisiamo che sotto l’aspetto morfologico la piana si presenta morfologicamente omogenea. Ciò denuncia che a prescindere dall’altezza del materiale presente al di sotto della superficie vi è un’uniformità dell’origine geologica la quale è il fattore determinante della piattezza del comprensorio. Oltre al livellamento morfologico vi è la scarsa presenza di attività antropiche ad ispirare un senso di monotonia. In genere, in Italia sono le piane il luogo più modificato dall’uomo e basta, per rendersi conto di ciò, pensare all’espansione degli abitati la quale ha privilegiato le superfici pianeggianti.

Qui c’è solo una striscia in cui si addensano capannoni produttivi (l’agglomerato Industriale di Campochiaro) e importanti arterie stradali (la Statale 17) e ferroviarie (la linea Campobasso-Boiano), infrastrutture che hanno sempre privilegiato le piane. Non si può prendere per strada il tratturo il quale attraversa longitudinalmente l’area; ad esso si affiancano due sepolcreti, l’uno protostorico in località Cantoni e l’altro a Vicenne di epoca altomedioevale, che, peraltro, sono in qualche modo testimonianza per isolamento che richiedono i cimiteri di uno stato di rarefazione della frequentazione umana, salvo che nelle transumanze già in epoca remota.

Oltre alla geomorfologia che qui disegna un piano (con pendenza massima al 4%) i tracciati minori, privi di curve e che si incrociano ad angolo retto, suggerisce l’immagine di un sito regolato da leggi geometriche. Passando da ciò che è visibile a ciò che è invisibile, in questo caso la falda freatica si è sicuri della sua presenza poiché la copertura del suolo è costituita da materiale permeabile; negli ultimi decenni si è paventato spesso il rischio dell’abbandono di rifiuti nel ex-cave il quale potrebbe minacciare l’integrità delle acque sotterranee facilitando i siti estrattivi l’accesso di inquinanti nel sottosuolo.

Lo abbiano solo sfiorato fino ad adesso ed ora affrontiamo in maniera più estesa il tema delle cave, il principale fattore di degrado ambientale di questo paesaggio planiziale il quale, altrimenti, per la ridotta urbanizzazione conserva un certo gradi di naturalità. La sua principale risorsa sembrano essere proprio gli inerti. L’escavazione è favorita dalla facilità della sua esecuzione con mezzi meccanici. Siamo di fronte a cave per la produzione di brecciolino a volte di modeste dimensioni e a volte estese, ma sempre poco profonde. Molte di queste sono state aperte tanti anni fa quando il controllo sull’ambiente, il quale si andrà intensificando a partire dagli anni ’70, era limitato.

Era il periodo in cui nella nostra regione si registrava la maggiore dinamicità edificatoria della sua storia e le buche di Campochiaro servivano per l’approvvigionamento a buon mercato degli inerti. Sono gli stessi decenni nei quali si costruirono le grandi infrastrutture necessarie per il passaggio da una società contadina ad una più moderna e anch’esse avevano bisogno di materiali di cava. C’è, infine, il vasto bacino da cui si estrae il calcare, componente essenziale per il cemento che si produce nel vicino stabilimento di Guardiaregia. Al fine di rimarginare la ferita inferta a questo territorio si rende inevitabile predisporre una strategia complessiva dei siti estrattivi, quasi un parco minerario, piuttosto che limitarsi al recupero di singole cave.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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