Una città balneare
È quello che diventerà Termoli se si elimina il traffico dalla zona prospiciente il litorale
Termoli a suo tempo, cioè alla metà del XIX secolo, scelse di svilupparsi non lungo la costa, come pure sarebbe stato possibile, tanto a nord quanto a sud del «borgo antico», bensì all’interno. Dunque la città per questa decisione iniziale, confermata anche nelle epoche successive, non presenta quel water front fatto dalla «palazzata a mare», per dirla come si diceva a Napoli, che caratterizza l’immagine di tanti centri urbani italiani situati sulla costa; l’allineamento dei palazzi lungo il litorale era talmente apprezzato che nei dipinti e nelle cartoline questo fronte veniva a costituire la rappresentazione privilegiata di quegli abitati o, almeno, di quelli con un porto di una certa dimensione, perché si tratta di viste da mare, da imbarcazioni, che la nostra cittadina avrà molto più tardi.
Quelle che abbiamo chiamato palazzate a mare presuppongono comunque un insediamento basato su una pianta a scacchiera della quale la schiera edilizia terminale è prospiciente alla battigia e non, certo, un insediamento di tipo «lineare». Quello che succede in questo centro molisano è che una volta usciti dalle mura si costruisce un nuovo borgo verso l’entroterra, senza alcun rapporto con il mare, rapporto indissolubile quando esso coincideva con il nucleo di origine medioevale proteso com’è nella distesa marina. Ferdinando II nel disegnare l’impianto ortogonale non ha limitazioni di alcun genere perché si dispone di un territorio privo di preesistenze.
La maglia viaria a scacchi non deve confrontarsi con percorsi stradali sovra comunali di rilievo, come sarà poi la statale Adriatica, e ferroviari (la stazione verrà dopo) né vi sono elementi morfologici di rilievo capaci di condizionare lo sviluppo urbanistico; in verità, vi doveva essere un valloncello che si presume sia stato colmato il cui tratto finale coincide con la «scalinata del folclore», attraverso al quale le acque del nucleo extraurbano defluiscono verso l’area portuale, lo “scaricatoio” di un tempo. Il reticolo di vie che si incrociano ad angolo retto è, in qualche modo, l’esito di una pianificazione che segue un modello astratto, svincolato dal territorio.
Le arterie di Termoli sono identificate piuttosto che con il nome proprio imposto dalla toponomastica ufficiale sono conosciute dalla popolazione quali primo corso, secondo corso… e ciò è la memoria degli assi, tutti uguali fra loro, del borgo ferdinandeo. Un sistema urbanistico, quello della scacchiera, che lo si ripete è autoreferenziale, applicato in ogni centro fondato ex-novo, da Campobasso a Bari a qualsiasi iniziativa insediativa di origine coloniale; esso, comunque, si rivela funzionale tanto che serve da guida nella crescita successiva, quella avvenuta nel 1900. Il borgo ottocentesco si arresta con la piazza S. Antonio, uno spazio libero che si caratterizza come elemento di mediazione tra l’aggregato abitativo, la stretta striscia litoranea e quindi il mare.
Esso è l’unico luogo pubblico della zona di espansione ad avere lo scenario marino come fondale delle vedute. È con il suo lato libero in tale direzione una sorta di vasta balconata sul mare. Piazza S. Antonio, poi, si raccorda con l’ingresso al centro storico con una strada sorta sopra un piccolo vallone il quale, se non proprio un fossato, poteva fungere da barriera protettiva di quest’ultimo. La piazza S. Antonio si rivela, in definitiva, un punto nodale della struttura urbana, confluenza di segmenti viari dell’impianto definito ippodameo per la concezione che lo informa architettonica, del percorso di introduzione al «borgo antico» il quale, così come fa il vallone cui si sovrappone, prosegue fino al bacino portuale, dell’innesto al lungomare nord.
Oggi che il porto è diventata una delle principali porte di accesso alla città tale piazza si è trasformata pure in un canale di attraversamento del traffico diretto verso la sua parte moderna. Il progetto di creazione di un tunnel di collegamento tra l’ambito portuale e il lungomare che è posto a settentrione si propone di risolvere il problema esposto; esso si accompagna alla realizzazione di un ampio parcheggio sottostante alla piazza S. Antonio. Il parcheggio sotterraneo, seppure non messo in evidenza nella relazione progettuale, servirà a liberare il molo oggi occupato dalle auto parcheggiate da chi viene a Termoli per consentire la sua utilizzazione quale superficie per attività ricreative come previsto nel piano di ampliamento del porto.
Quest’ultimo è di competenza della Regione non del Comune e forse è la ragione per cui nel progetto del parcheggio con annesso tunnel non se ne fa cenno e, a questo proposito, vale la pena ricordare che nel perimetro comunale di Termoli vi sono pezzi, peraltro di notevole peso nell’economia cittadina, che sono il bacino portuale e l’agglomerato industriale i quali hanno un’autonomia pianificatoria e dei quali la gestione è, rispettivamente, dell’amministrazione regionale e del consorzio industriale. Un altro vantaggio derivante dal parcheggio interrato è che si otterrà la pedonalizzazione della superficie sovrastante. Si avrà, così, una grande area pedonale che ricongiungerà il centro della città con il mare.
Non vi sarà alcuna soluzione di continuità tra l’ambito urbano più intensamente costruito, che ospita oltre le principali funzioni amministrative e direzionali numerosi esercizi commerciali e di ristoro, residenze, studi professionali e la marina. Si dovrà immaginare un sistema di spazi aperti dei quali conservare i loro caratteri peculiari, dalla piazza S. Antonio al costone verde che la delimita, che declinano il rapporto tra i luoghi centrali con questa realtà insediativa e la spiaggia (di proprietà demaniale della quale si auspica la fruizione anche nelle stagioni più fredde); si fa notare che, invece, l’occupazione del costone con strutture ricettive come proposto, fungendo da interruzione, non faciliterebbe questo graduale avvicinamento della città al litorale.
Essa, del resto, già registra un ritorno al mare e lo rivela la passeggiata lungomare sulla costa settentrionale, il quale, a meridione, verrà rafforzato dall’attribuzione di una destinazione a posto per il tempo libero del molo, pur se non sembra emergere ancora un’idea generale di ridisegno delle relazioni che debbono legare l’ambiente marino a quello urbano. La piazza S. Antonio, a conclusione del ragionamento, rappresenta un nodo fondamentale nella strategia di riavvicinamento al mare, un luogo in cui si ha la sensazione di essere «qui» e «là», sulla riva sabbiosa o nel cuore dell’abitato.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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