Molise al bivio. Meglio l’Abruzzo che l’infiltrazione mafiosa. Ma c’è ancora spazio per una terza via?
Spente le luci delle ultime feste patronali, si caricano i bagagli salutando i tanti che ripartono, e nel giro di qualche giorno i ritmi dei nostri paesi torneranno ad essere scanditi da quel declino progressivo avviatosi all’indomani dell’arrivo di Garibaldi e che in un secolo e mezzo, nessuno è riuscito mai a invertire. Non serve un demografo esperto per capire che il 90% dei nostri comuni sta perdendo la propria sfida contro lo spopolamento e nel giro di pochi decenni, i nostri borghi, resteranno un ricordo d’archivio come una cartolina ingiallita.
Il capitalismo concentra fortuna, successo, lavoro, opportunità e carriere in poche aree metropolitane del mondo, e risucchia saperi, talenti, energie e giovani in luoghi sempre più lontani, da zone desolate, arcaiche, prive di servizi elementari, difficili da raggiungere e inutili da governare. Perché gli 8 uomini che detengono il 50% della ricchezza planetaria dovrebbero perdere tempo e soldi con tutti i Sud del Mondo?
Il capitalismo ruba ciò che gli serve: i giovani laureati, il petrolio della Lucania e dell’Adriatico, l’energia eolica degli Appennini, le derrate alimentari e le materie prime. Ieri la manovalanza a basso prezzo e gli impianti inquinanti, i minatori mandati a morire a Monongah o a Marcinelle, l’Ilva a Taranto o le chimiche. Oggi il Mezzogiorno è semplicemente un mercato da occupare con prodotti omologati, polizze da stipulare e risparmio bancario o postale da rastrellare. Con l’economia che ha scalzato la politica dalla cabina di comando non c’è spazio per la solidarietà.
Se non c’è guadagno non si muove foglia. Con multinazionali che fatturano dieci o cento volte la ricchezza di uno Stato come si fa a pensare che la Politica riesca a dettare le regole e ad imporre il rispetto delle leggi o del bene comune? Chi ha i soldi se li tiene stretti, e tira i fili di una politica ridotta a curare solo l’immagine perché sulla sostanza non tocca palla. In un simile scenario il Sud dell’Italia può vincere la sfida di uno sviluppo produttivo, di un’occupazione crescente e di un benessere diffuso? E se tutto il Mezzogiorno è considerato alla stregua di una zavorra, quali spazi ha il Molise per invertire il trend dello spopolamento che colpisce il 90% dei suoi comuni?
Su questi temi mi sono permesso di sollecitare una riflessione ai 52 comuni della Provincia di Isernia prendendo a base la relazione dell’On. Giovanni Ciampitti, deputato molisano all’Assemblea Costituente, sull’autonomia regionale posta a base della manifestazione svoltasi il 1 settembre del 1946; per valutare l’evoluzione di quel programma politico di alto profilo nei 70 anni che sono alle nostre spalle e trarne un insegnamento per il futuro. Se per l’economia di mercato il Mezzogiorno è considerato un costo e lo si abbandona al governo delle clientele locali o peggio delle organizzazioni criminali, è possibile alzare il livello del confronto culturale per la prospettiva della nostra Regione, e porsi la domanda se esiste un’alternativa alla riaggregazione di fatto, anche se non di diritto, con l’Abruzzo?
Fonte Michele Petraroia
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