Viviamo sulla bocca di un vulcano
Editoriale del numero di luglio-agosto-settembre 2017
Quello che non ci fanno sapere
Nell’epoca che stiamo vivendo, è come se l’umanità fosse costretta a vivere sul ciglio della bocca di un vulcano che sta per eruttare. Siamo accompagnati dal rumore sordo e incombente del disastro che s’annuncia ma ci occupiamo d’altro, ammaestrati doviziosamente dalla distrazione di massa dei media mainstream. La generalità degli abitanti del pianeta ignora le cause dei fenomeni che la riguardano e talvolta è addirittura incapace di avere contezza del fenomeno, di quello che accade, perché è manipolata da interessi sotterranei che ne sviano la percezione. Inquieta maggiormente, in questo scenario da 1984 di orwelliana memoria, che essa, la massa distratta mediaticamente, non ha consapevolezza della sua condizione; vive alla giornata in un vortice di suggestioni propalate senza sosta da devices sempre più personal, social, fisiologici e insinuanti, che lavorano sul fronte dell’interattività, della partecipazione attiva dell’utente, il quale per questa strada si trasforma da vittima della strategia alla quale prende parte, nell’inconsapevole carnefice di sé medesimo. La critica svanisce progressivamente, squalificata come fardello inutile, problematico e inefficace, di un pensiero unico evanescente e superficiale, abbacinato dall’evenemenzialità del network, che viaggia in tempo reale e con pochissime parole evocative, meglio se al limite dell’aggressione (Twitter e dintorni).
Troppo grandi per fallire
La verità che viene occultata sapientemente ogni momento a reti unificate (è davvero il caso di dire), è che il capitalismo nella sua fase finanziarizzata è finito; nel passaggio dalla creazione del profitto attraverso la produzione, la trasformazione delle merci, alla speculazione che ha cartolarizzato la ricchezza, mettendola nelle mani (fra le grinfie) di otto banche d’affari plenipotenziarie (Bank of America, JPMorgan, Citigroup, Wells Fargo, Golman Sachs, Morgan Stanley, Bank of NY e Lehman Brothers), ha gettato alle ortiche la sua intenzione sociale, che ne ha retto le sorti per due secoli buoni e che ha diffuso benessere e miglioramento della qualità della vita in occidente. Non è più così; i gruppi finanziari che reggono le sorti dell’economia planetaria, nel 2008 avevano fatto il botto, avevano determinato le condizioni di una crisi internazionale più profonda e più drammatica della “grande depressione” del 1929, le cui conseguenze ancora stiamo pagando con lacrime e sangue, e che all’economia mondiale è costata 75.000 miliardi di dollari, più o meno l’equivalente del PIL dell’intero pianeta. Ma loro erano “too big to fail (troppo grandi per fallire)” come ci ha doviziosamente spiegato Andrew Ross Sorkin col suo libro inchiesta, al quale si è ispirato il film imperdibile prodotto dal canale televisivo HBO per la regia di Curtis Hanson, e quindi Obama li ha salvati con una montagna di soldi, consentendogli di continuare a speculare, esattamente così come avevano fatto fino al 2008. Da quando è cominciata la crisi che imperversa nonostante le notizie propalate senza sosta che ne annunciano il superamento, la ricchezza si è polarizzata in maniera parossistica: in sempre meno mani che l’accumulano senza ritegno e senza costrutto, condannando alla povertà strati crescenti della popolazione. La classe media che aveva costituito la base di consenso e la prospettiva culturale del capitalismo produttivo si va sfibrando e precipita in una marginalità sociale, incubatrice di una prospettiva post-democratica inquietante da diversi punti di vista.
Un nuovo umanesimo per il terzo millennio
C’è necessità di un nuovo ordine mondiale che metta fuori legge la speculazione e governi con regole rigorose e rinnovate una finanza ormai del tutto fuori controllo. Una politica fondata sulla cura e la tutela del bene comune deve riconquistare il suo primato, innanzitutto culturale, chiamando i cittadini alla partecipazione attiva per la costruzione di un progetto economico e sociale per l’umanità del terzo millennio, che sappia pacificare gli scenari di guerra che si profilano in diverse aree del pianeta. È un compito complicato ed ambizioso ma indispensabile; per il quale ognuno deve fare quello che può; ovunque viva e qualsiasi cosa faccia. Noi faremo la nostra parte… e buone vacanze.
Antonio Ruggieri75 Posts
Nato a Ferrazzano (CB) nel 1954. E’ giornalista professionista. Ha collaborato con la rete RAI del Molise. Ha coordinato la riedizione di “Viaggio in Molise” di Francesco Jovine, firmando la post—fazione dell’opera. Ha organizzato e diretto D.I.N.A. (digital is not analog), un festival internazionale dell’attivismo informatico che ha coinvolto le esperienze più interessanti dell’attivismo informatico internazionale (2002). Nel 2004, ha ideato e diretto un progetto che ha portato alla realizzazione della prima “radio on line” d’istituto; il progetto si è aggiudicato il primo premio del prestigioso concorso “centoscuole” indetto dalla Fondazione San Paolo di Torino. Ha ideato e diretto quattro edizioni dello SMOC (salone molisano della comunicazione), dal 2007 al 2011. Dal 2005 al 2009 ha diretto il quotidiano telematico Megachip.info fondato da Giulietto Chiesa. E’ stato Direttore responsabile di Cometa, trimestrale di critica della comunicazione (2009—2010). E’ Direttore responsabile del mensile culturale “il Bene Comune”, senza soluzione di continuità, dall’esordio della rivista (ottobre 2001) fino ad oggi. BIBLIOGRAFIA Il Male rosa, libro d’arte in serigrafia, (1980); Cafoni e galantuomini nel Molise fra brigantaggio e questione meridionale, edizioni Il Rinoceronte (1984); Molise contro Molise, Nocera editore (1997); I giovani e il capardozio, Nocera editore (2001).
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