Tanto alto quanto largo

L’altezza degli edifici deve essere al massimo uguale alla larghezza della strada su cui sono prospicienti. Ciò ai fini della prevenzione sismica

La regola prevista dalla normativa sismica del 1996 che l’altezza dell’edificio non dovesse essere maggiore della larghezza della strada su cui avrebbe prospettato non è più presente nelle nuove norme tecniche sulle costruzioni. Queste ultime che sono del 2008 rimandano ai singoli Comuni il compito di stabilire quanto debba essere alto un fabbricato in relazione al percorso viario al quale esso è adiacente (sommando anche l’eventuale muro di controripa sul quale si ergono). Si è dell’opinione che ambedue i dettati normativi abbiano quale finalità quella di garantire la transitabilità dell’asse viario nella malaugurata ipotesi del crollo del manufatto edilizio, cosa che non si può escludere a seguito di un sisma particolarmente violento.

Le ragioni che debbono aver portato a modificare la disposizione sul rapporto tra corpi di fabbrica e sezione stradale sono due: da un lato c’è quella del miglioramento dell’affidabilità dei volumi architettonici calcolati rispettando il decreto ministeriale in vigore e, dall’altro lato, dell’affermarsi della cultura della protezione civile la quale nell’ultimo scorcio del XX secolo era solo in embrione e se ne spiega di seguito il perché. Agli inizi degli anni duemila vennero finanziarti ai Comuni la redazione dei progetti Vigilpro attraverso i quali, in base al metodo Augustus, dovevano essere individuate (e segnalate!) le “vie di fuga”, le “aree di attesa” e, nei centri maggiori, quelle di ammassamento dove dare ospitalità ai soccorritori.

Se un tracciato viene indicato come via di fuga, allora è evidente che i palazzi prospicienti devono avere un numero di piani limitato in modo che se disgraziatamente dovessero cadere a causa di una scossa tellurica non provochino l’ostruzione totale dell’arteria. Approfondiremo questo tema in avanti mentre ora ritorniamo brevemente alla prima delle ragioni esposte sopra, a quella dell’incremento della resistenza ai terremoti degli edifici progettati secondo l’attuale normativa che è in linea con le più avanzate acquisizioni scientifiche in materia.

Già negli anni 80, senza il supporto di alcuna norma scritta, ma unicamente spinti dal sentimento del buon padre di famiglia, gli uffici della nostra regione preposti al controllo delle progettazioni in Zona Sismica prescrivevano, quando il manufatto era contiguo ad una strada, che venisse utilizzato nei calcoli strutturali il massimo coefficiente di sicurezza che era quello della Zona 1, anche se esso, mettiamo, ricadeva in Zona 2. Qualcosa di analogo si potrebbe immaginare pure adesso, dall’aumento della «probabilità di accadimento» dell’evento sismico al passaggio dell’opera ad una Classe d’Uso superiore, analoga a quella delle opere «pericolose per l’ambiente».

Per completezza è da dire che le macerie di una costruzione vengono ad occupare insieme alla sede viaria i sottoservizi che di norma corrono lungo le strade in apposite canalizzazioni. Perciò il rischio è l’interruzione delle reti di adduzione come quella elettrica, certe volte interrata, del gas e quella idrica e di smaltimento, le fogne, impedendo la loro riparazione qualora danneggiate dal terremoto poiché i detriti del fabbricato sono caduti sulla carreggiata.

In caso di calamità, va precisato, è essenziale la partecipazione nella fase di emergenza delle aziende erogatrici del gas, dell’acqua così come dell’Enel e della società telefoniche e in futuro prossimo delle ditte che si occupano delle linee di trasmissione dati via Internet a cominciare dalle fibre ottiche. Non sono cose di poco conto queste infrastrutture poiché fondamentali, con quelle viarie, per il funzionamento del sistema urbano e, pertanto, è necessario che rimangano vitali nei momenti degli episodi calamitosi.

La vulnerabilità di un abitato, in definitiva, non riguarda esclusivamente il costruito perché comprende le reti infrastrutturali e, perciò, nelle strategie di prevenzione sismica occorre una visione più larga di quella edilizia (la quale ultima, è inutile precisarlo, ha, comunque, un posto prioritario comportando la salvaguardia della vita umana). La sede privilegiata per la difesa delle emergenze naturali, le quali vanno dal terremoto alle frane alle alluvioni agli incendi, è quella della formazione dello strumento urbanistico: è il momento giusto per fissare l’altezza degli edifici.

Quando il piano regolatore non è coordinato con il piano comunale di protezione civile poiché sopraggiunto successivamente la sua limitazione porta ad invalidare gli altri parametri, oltre l’altezza, che regolano per quel lotto l’attività edilizia, principalmente l’indice volumetrico (e, secondariamente, a diminuire la rendita fondiaria). Quelle che abbiamo chiamato emergenze naturali sono solo in parte dovute alla forza della natura in quanto esse sono determinate anche dalle azioni incongrue dell’uomo o, meglio, da una mancanza di consapevolezza dei problemi; una corretta pianificazione del territorio che tenga conto delle minacce ambientali può ridurre l’effetto sull’agglomerato insediativo.

Il prevenire non è un obiettivo che sia possibile perseguire con una politica settoriale per cui non è sufficiente attivare misure urbanistiche mirate a contenere i fattori di rischio; bensì è indispensabile un disegno territoriale complessivo che include al suo interno le tematiche della pericolosità (sismica, geologica, idraulica, ecc.) se è vero che l’urbanistica costituisce la sintesi di diversi saperi.

Si intende onorare adesso l’impegno assunto nella parte iniziale di approfondire l’esame delle vie di fuga e nello stesso tempo tirare le conclusioni su quanto esposto dicendo che bisogna distinguere tra percorsi per raggiungere luoghi sicuri, quindi brevi, quelli che portano agli spazi attrezzati per la permanenza della popolazione nel post-sisma, quelli che consentono alle colonne mobili di arrivare alle aree dedicate allo stazionamento a coloro che vengono a prestare soccorso e, infine, gli itinerari cittadini che congiungono con le cosiddette funzioni strategiche, cioè l’ospedale, la prefettura, la caserma dei vigili del fuoco.

C’è, ovviamente, una graduazione di importanza tra queste strade e, alla stessa maniera, occorre differenziare la corrispondenza che deve intercorrere tra l’ampiezza di un tracciato viario e l’elevazione delle costruzioni laterali ed è opportuno pure tener conto della eventuale presenza di reti di servizi al di sotto della piattaforma stradale integrando, lo si ripete, i piani urbanistici e di protezione civile come vuole, del resto, la L.R. 10 del 2000.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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