Conoscere il sottosuolo per costruire nel soprassuolo

Un ausilio viene dalla Microzonazione finalizzata a verificare la sismicità delle zone di espansione previste dai piani urbanistici.

In un percorso ideale si sarebbe dovuti partire dalla microzonazione di livello 1 secondo quanto stabilito dalle apposite linee guida stilate dal dipartimento della protezione civile così come sta avvenendo in provincia di Isernia e, invece, in quella di Campobasso si è proceduto direttamente ad una microzonazione che potremmo definire di livello 2 per l’urgenza della ricostruzione post sisma 2002. Il livello 1costituisce la base comune per tutti i centri qualsiasi sia il loro grado di sismicità e per la sua realizzazione non è dovuto l’impiego di input sismici con la conseguenza che non si hanno valori numerici dell’accelerazione al suolo prodotta dai terremoti.

La mancanza di tale quantificazione la rende, indubbiamente, uno strumento molto limitato che, comunque, ha una sua validità se inteso quale primo screening della possibile risposta del terreno alle scosse telluriche specie se esso coinvolge una superficie territoriale significativa; infatti in presenza di uno studio che abbraccia un’ampia area diventa fattibile la valutazione di una pluralità di siti tra i quali scegliere i più idonei dal punto di vista della sicurezza sismica per l’espansione urbana e per la localizzazione di importanti infrastrutture.

Dalle analisi condotte in questo livello della microzonazione si possono ricavare le indicazioni tanto su quali aspetti o luoghi vadano esaminati in modo più profondo quanto su alcune azioni da effettuare per ridurre il rischio sismico, specificamente quelle di protezione civile, favorendo la corretta ubicazione, ad esempio, delle «aree di attesa». Il livello 1 della microzonazione è sufficiente per tracciare a grandi linee le direttrici di crescita di un insediamento le quali, poi, possono essere confermate o meno (e, quindi, in questo caso modificate, almeno parzialmente) nei livelli successivi in cui le risultanze sono anche di tipo numerico fornendo dati sull’amplificazione sismica preventivabile nelle varie zone.

Il 2 e il 3 sono livelli di microzonazione sempre più approfonditi e il secondo dei due che richiede indagini di maggior dettaglio ha utilità soprattutto per l’ubicazione delle opere strategiche. In effetti, gli approfondimenti della microzonazione sono operazioni costose, oltre che inevitabilmente lunghe come tempi di esecuzione e complesse sotto l’aspetto organizzativo per cui va ponderata in modo attento la decisione relativa alla loro effettuazione. È scontato dire che la microzonazione non ha senso in quegli ambiti nei quali già di per sé sono vietati gli interventi edilizi e, dunque, negli “habitat” inclusi nei “siti di importanza comunitaria”, nelle fasce a massimo rischio di inondazione e di frana riconosciute tali dal piano di bacino, nelle aree a vincolo archeologico, nelle zone di valenza eccezionale del piano paesistico, nei boschi e, infine, nei siti contaminati fino a quando non avviene la bonifica.

Si vuol sottolineare l’importanza della microzonazione, a qualunque livello condotta, che costituisce una svolta decisiva nelle strategie di prevenzione sismica. Essa serve ad assicurare sicurezza e ciò è un presupposto essenziale per favorire lo sviluppo di un territorio. È una novità degli ultimi due decenni, frutto di acquisizioni scientifiche recenti nel campo della geologia alla quale si connette la sismologia, con conoscenze sempre più accurate delle caratteristiche fisiche dell’Appennino, catene montuosa che è stata epicentro, in più punti, di tanti terremoti. Questi progressi sono avvenuti contemporaneamente a quelli che si registrano in materia di ingegneria antisimica.

La microzonazione, è opportuno evidenziarlo, tiene conto nello stabilire l’ammissibilità di costruzioni in un ambito delle innovazioni tecniche nel campo strutturale, ragione per la quale nella sua parte prescrittiva potrebbe arrivare a permettere non l’insieme delle tipologie edificatorie, bensì solo i fabbricati dotati di isolatori sismici. Rispetto alla microzonazione che ha interessato il territorio provinciale di Campobasso la quale ha avuto, per così dire, un carattere sperimentale, quella di Isernia ha il vantaggio che potrà sfruttare le esperienze condotte, in modo numeroso, altrove e delle linee guida dipartimentali citate all’inizio.

Le ricerche congiunte con la pratica hanno portato alla definizione di metodologie collaudate, condivise a scala internazionale. Quanti passi sono stati compiuti da quei lontani anni 80 quando dopo il disastroso evento sismico che colpì soprattutto l’Irpinia venne messa in campo una microzonazione davvero speditiva! Essa doveva essere speditiva per permettere, velocemente, la scelta del sito dove delocalizzare gli abitati distrutti. Nella normativa tecnica l’unica volta che compare la zonazione sismica è il decreto ministeriale del 1996 in cui al paragrafo 6.6.1.1 è richiesto un differente coefficiente di fondazione a seconda del substrato litologico, senza che si tengano in conto, soprattutto, le condizioni morfologiche.

È vero che la microzonazione è finalizzata in primo luogo alla pianificazione urbanistica, ma nello stesso tempo le sue risultanze sono di certo utili pure per la progettazione delle singole costruzioni fornendo indicazioni orientative sulla sismicità del posto prescelto. Informazioni tanto più opportune in quanto spesso oggi si tende, nella produzione edilizia corrente, a non investigare in profondità gli ammassi rocciosi e terrosi su cui edificare, bensì ad effettuare correlazioni tra le conoscenze geologiche acquisite con un rilevamento degli strati iniziali del suolo, per quelli più profondi, con situazioni campione analizzate in precedenza e con dati di letteratura su litotipi analoghi.

In definitiva, è da esperienze precedenti su siti simili piuttosto che da indagini dirette si ricavano le misure dell’”onda di taglio” del sisma legata al fattore di smorzamento del suolo. La circolare regionale che seguì il varo della L. R. 20/96, tuttora vigente, si occupa in prevalenza di altro come la capacità portante dei terreni verificando quelli idonei per opere fondali non troppo onerose e quindi per case non troppo costose, questioni geotecniche e non sismiche.

La propensione di un sito ad ospitare manufatti architettonici non può, comunque, dipendere dalla sismicità: si pensi ai fabbricati, magari lunghi capannoni che si posizionano in zone di contatto tra litologie differenti nelle quali c’è da tenere insieme ai cedimenti differenziali, fenomeno che interessa la geotecnica, costipamenti disuniformi del sottosuolo indotti dalla sollecitazione tellurica. È la ragione per cui si propone la compenetrazione delle ottiche che informano la microzonazione con quelle che ispirano la circolare.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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