Anche ciò che sta sottoterra è parte del paesaggio
C’è un intreccio virtuoso tra beni culturali e paesaggio anche quando, magari se l’opera è allo stato di rudere, se essi sono scarsamente percepibili nelle visioni panoramiche.
I piani paesistici molisani contengono una norma di carattere generale, valida per tutti loro, che stabilisce una fascia di rispetto larga 50 metri a protezione dei beni culturali. Vale la pena ripercorrere il ragionamento che sta dietro tale disposizione che non è quello della tutela dell’oggetto di interesse starico-artistico in sé (altrimenti si sarebbe dovuto fare ricorso al «vincolo ambientale indiretto» che è di competenza esclusiva della Soprintendenza, senza che vi sia un ruolo della Regione), bensì quello che esso è parte, peraltro fondamentale, del paesaggio in cui è inserito. Il caso eclatante è quello dei castelli i quali sia per la dimensione architettonica, ben superiore a quella delle normali abitazioni, comparabile solo a quella dei principali edifici religiosi, sia per la posizione in cima agli abitati costituiscono delle emergenze percettive. Bisogna considerare anche che le strutture castellane sono poste sulla sommità dei rilievi oltre che per esigenze difensive anche per la maggiore visibilità di cui si gode da posizioni elevate permettendo, così, il controllo del territorio: per il principio della intervisibilità tanto più è ampio il raggio della visione che si apre dalla rocca, maggiore sarà l’ambito territoriale dal quale essa viene vista e, in definitiva, il contesto paesaggistico coinvolto.
Quali esempi si citano i castelli di Torella, di Pescolanciano, di Tufara e di Campobasso. Quest’ultimo si presenta isolato rispetto al borgo medioevale, formando piuttosto un’unità con il sistema ecologico della collina Monforte riconosciuta come Sito di Interesse Comunitario; dunque, invece del castello componente del paesaggio antropico, il maniero parte del paesaggio naturale nel quale non sembra costituire un intruso o elemento di disturbo. Quello del capoluogo regionale non è l’unico castello che è a sé stante, perché ve ne sono pure altri, da quello di Longano a quelli di Roccamadolfi, di Pesche, ecc. con la differenza, però, che il castello del conte Cola è ancora integro, mentre la restante parte sono ridotti a rudere e, quindi, di limitata evidenza nei panorami. Non significa, comunque, che questi resti non siano significativi paesaggisticamente per i rimandi culturali in essi compenetrati, testimonianze del «lungo Medioevo» che i nostri paesi hanno vissuto. Si pensi alla grande roccaforte di Civita Superiore sede dei conti di Molise, fatto che le conferisce un importante valore simbolico. Tutti i castelli per le modifiche avvenute nelle tecniche militari con l’avvento delle armi da fuoco hanno perduto la funzione difensiva, ragione che ha portato a trasformarli in residenze nobiliari quando in centro urbano (Cercepiccola, Ripabottoni, Trivento e così via) o abbandonarli, costringendoli a diventare macerie, e ciò avviene quando sono staccati dagli insediamenti abitativi; in ognuno di essi, sia se urbani sia se rurali, si concentra la memoria collettiva e le valenze semantiche vengono riconosciute come valenze paesaggistiche dal Codice Urbani.
I m. 50 di salvaguardia all’intorno del bene culturale inseriti nella nostra pianificazione paesistica non sembra, alla luce di quanto esposto, una misura se necessaria non sufficiente, trattandosi di qualcosa di astratto, un po’ come i 150 metri per lato a protezione dei tratturi, un altrettanto notevole segno culturale molisano. Le predette limitazioni andrebbero integrate con ulteriori disposizioni di diversa natura, non più di tipo metrico, ma legate alle tecniche dell’«arte dei giardini». È interessante la regola che vieta di disturbare la percezione dei fulcri visivi con la costruzione di nuovi fabbricati e tra essi vi è il castello di Cerro al Volturno. In sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte degli organi di tutela si dovrà dedicare molta attenzione a questa tematica. Lo stesso vale per edifici di culto se collocati in campagna come accade nella quasi totalità dei comuni, cappelle nelle quali ci si reca in pellegrinaggio una volta all’anno del giorno dedicato al santo cui la cappella agreste è dedicata (S. Maria delle Fratte a S. Massimo, Maiella a Trivento, per esemplificare il fenomeno); nei nuclei insediativi spiccano i campanili i quali a volte consentono l’identificazione di quel polo urbano (a Vinchiaturo, a Cantalupo, le tante torri campanarie di Agnone per offrire qualche riferimento). Non è indispensabile la possibilità di essere visto per un episodio religioso al fine di acquisire senso nell’insieme paesaggistico e la dimostrazione è la grotta dove celebrano le messe a Pietracupa, riconosciuto fatto primario nel paesaggio locale. Da noi, alla stessa maniera dell’Abruzzo, i siti rupestri sono luoghi di culto (con l’eccezione di quelli di Montenero di Bisaccia e di Macchiavalfortore) di Matera in cui sono sfruttati anche come abitazioni.
Le cavità, in genere, le rocce sono avvertite come presenze misteriose ereditando tale modo di sentire dalle credenze pagane e ciò conferisce una particolare aura al contorno paesaggistico. La questione della rilevanza culturale, anche in assenza di forte visibilità, è quasi scontata per le aree archeologiche le quali qui da noi si sono conservate integre, senza sovrapposizione di manufatti in età successive, perché ubicate in zona agricola (Pietrabbondante, Altilia, S. Vincenzo al V.); si incontrano, però, pure rimasugli di fabbricati e di attrezzature (il decumano romano di Boiano) antiche in realtà urbane (sempre la cittadina matesina e, poi, il Piano S. Leonardo di Larino, Venafro con il Verlasce ormai inglobato nella città, Isernia). Scendendo ancora più di scala non è infrequente incontrare (prendi via Piano a Trivento) edifici ch inglobano in facciata pietre lavorate di età romana. È facile comprendere come sia difficile tutelare con lo strumento del vincolo paesaggistico tutto ciò. Il repertorio dei beni culturali negli ambiti «di notevole interesse pubblico» sarà in futuro necessariamente sempre più ampio estendendosi nella disciplina scientifica del restauro e anche nella coscienza popolare il riconoscimento di “cosa” di qualità storico-architettonica alle dimore agricole tradizionali, ai mulini ad acqua e ai pochi esemplari di protoindustria rinvenibili nel territorio regionale. Questo senza contare l’interesse crescente che suscitano i segni minuti del paesaggio agrario dai pozzi ai muri a secco.
Specie per quelli appena citati a causa delle loro dimensioni minimali, anche se ciò è valido per la totalità delle tipologie dei ben i culturali, la Relazione Paesaggistica Semplificata che è a corredo dei progetti per opere minori appare troppo sintetica e rende arduo il lavoro del valutatore chiamato ad autorizzare l’intervento potendogli sfuggire la conoscenza, data la stringatezza della Relazione (un modulo da compilare pressappoco), di qualcosa di pregio per caratteri storico ed estetico nelle vicinanze del punto dove deve avvenire la realizzazione.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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