Il commercio prende forma

O meglio tante forme perché vi sono i centri commerciali, grandi magazzini, i negozi di vicinato ognuno con una propria tipologia edilizia. È un settore pure per questo aspetto in continuo mutamento.

Si è avuta una involuzione nella concezione degli edifici commerciali da un secolo ai giorni nostri. Per rimanere alla realtà molisana cogliamo i primi segnali di attenzione al tema del mercato alla fine del 1800 quando viene realizzato quello di piazzetta Palombo a Campobasso. Fino ad allora gli scambi si svolgevano, in particolari giorni della settimana ed in particolari orari, in spazi non destinati specificamente a questa funzione; è il luogo stesso, la piazzetta Palombo, per la sua posizione appartata dovuta al fatto che non è attraversata da strade, diversamente, per intenderci, dalla piazza Roma di Boiano che il sabato si riempie di bancarelle, ne consente un uso specializzato. Nell’impiego del ferro per le tettoie pensili c’è un rimando alle architetture per mercati in ferro e vetro coevo, le quali si considerano i primi passi di questa tipologia edilizia che riceverà con il tempo una definita configurazione formale (in verità, nella nostra regione ci sono esempi più antichi di strutture per il commercio dall’edificio esagonale prossimo al foro di Altilia alla stoa, che è un lungo porticato in cui si installano i mercanti durante le fiere nel santuario di Ercole Curino a Campochiaro).

Nel secondo dopoguerra sempre nel capoluogo regionale sorgerà il Mercato Coperto opera dell’ing. Mandolesi con il quale questo tema diviene un’occasione di autentica architettura e tuttora il fabbricato di via Monforte costituisce una delle più pregevoli espressioni architettoniche della città. In altri termini, vi è stato un avanzamento nella progettazione dei mercati in cui da questo momento in poi all’attenzione per gli aspetti distributivi che permeano il Mercato delle Erbe di piazzetta Palombo si aggiunge l’interesse per quelli figurativi. Si è detto all’inizio che attualmente, almeno qui da noi, non si scorge una tensione altrettanto forte in riguardo all’espressività nei progetti di spazi per il commercio. Sarà perché si è andata affermando nei decenni trascorsi l’idea del “contenitore”, cioè di un volume edificato, meglio se prefabbricato, disponibile ad accogliere qualunque funzione, che si è imposta nell’immagine del paesaggio rurale e delle periferie urbane il capannone. Accanto a questa questione del capannone che ha tra i suoi limiti, i quali peraltro sono pure i suoi meriti, quello dell’adattabilità a qualsiasi uso, dall’intercambiabilità delle destinazioni e, quindi, quella di una non precisa corrispondenza con ciò che è chiamato ad ospitare, emergendo nella società contemporanea connotata da una forte settorializzazione frutto delle teorie tayloriste una diversa tendenza la quale è quella di una spinta ricerca tipologica nel campo delle costruzioni.

Dimostrazione evidente di tale fatto è la ripetizione da parte delle grandi catene di vendita del medesimo manufatto edilizio che in qualche maniera, è la concretizzazione di una tipologia; addirittura è possibile riconoscere quale sia il marchio dalla stessa organizzazione fisica del magazzino commerciale, senza, cioè, all’estremo, che all’esterno vi sia l’insegna. Spesso si tratta, in verità, di tipi semplici, poco approfonditi, appena più di uno schema organizzativo. Non c’è quasi mai lo sforzo di legare il fabbricato commerciale al contesto in cui è collocato e tale ricorso, per certi versi, esasperato alla tipologia appare una sorta di scorciatoia per evitare l’impegno progettuale. La giustificazione che si da alla adozione di soluzioni tipologiche non modificabili è che esse ben si combinano con l’apparato tecnologico assai complesso che innerva gli spazi per la vendita, dall’impianto di refrigerazione delle merci a quella di condizionamento per il benessere delle persone ai sistemi antifurto e così via, combinazione che una volta messa a punto non si cambia. L’epoca che viviamo è quella dell’esaltazione della tecnologia la quale domina su tutto. Le tipologie evidentemente sono differenti a seconda che si è di fronte ad un centro commerciale, la taglia più grossa delle strutture per la vendita, oppure ad una delle più minute superfici per il commercio come le boutique. Bisogna considerare, inoltre, per quanto  riguarda la variabilità tipologica che essa è soggetta a mutamenti nel tempo, in maniera continua: si pensi al fenomeno recente, per capirci, dell’e-commerce che condiziona, è scontato, la distribuzione interna dei negozi.

C’è un ulteriore fattore che condiziona i modi organizzativi di un esercizio commerciale e che porta, in tanti casi, a non consentire l’applicazione di alcuna ricetta tipologica almeno non preconfezionata, il quale è l’inserimento delle attività commerciali dentro altre opere edilizie, di frequente palazzine residenziali, al piano terra; non è un fatto nuovo nella storia quello della convivenza tra abitazioni e negozi, o meglio botteghe dove l’artigiano si preoccupava di produrre il bene e nello stesso tempo di venderlo. Tale duplice caratteristica dei locali artigianali è denunciata dall’affiancamento di porta e finestra il cui davanzale fungeva da banco di vendita (esempi ve ne sono ad Agnone, Trivento, ecc.). Queste case vengono a costituire, a differenza dei volumi abitativi che includono spazi commerciali, delle ben riconoscibili tipologie edilizie ed esse portano nell’urbanistica medioevale alla nascita del «lotto gotico». L’integrazione delle attrezzature commerciali con le altre componenti urbane è un nodo cruciale seppure la localizzazione privilegiata è la periferia. A Campobasso i 2 centri commerciali, l’unico di Isernia, il discount di Boiano stanno in ambiti periferici non tanto perché nella parte centrale della città non vi sono terreni disponibili, ma specialmente perché essi cercano l’isolamento, non colloquiano con l’intorno, si presentano quali organismi chiusi in sé stessi (di qui l’astrattezza dell’impianto tipologico del quale si è parlato assai in precedenza). Essi, ad ogni modo, se rifuggono la collocazione nel centro dell’abitato, nello stesso tempo sono potenzialmente in grado di determinare nuove centralità, dimostrando a volte anche la capacità di innescare un processo di «rigenerazione» delle periferie, le fasce di territorio meno dotate di qualità ambientali.

Qualora la predetta operazione non riesca si rischia che l’installazione di strutture commerciali aumenti la compromissione dei luoghi, a causa, in particolare, del traffico che si genera. Si specifica che gli argomenti esposti non esauriscono le tematiche intorno a tali strutture le quali sono un po’ il simbolo della civiltà odierna che è quella del consumismo.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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