L’abitare contemporaneo in abitazioni tradizionali
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Per vivere in edifici del passato bisogna, per così dire, adattarsi a questi spazi
La casa d’abitazione di un tempo era composta di locali non definiti come destinazione d’uso, non essendovi diversità, per lo più, tra, mettiamo, cucina e camera da letto in quanto a dimensioni del vano, caratteristiche delle aperture (in verità, nel locale dove si cucina manca sempre il balcone), rapporto tra i suoi lati. Magari qualche differenza c’è nella collocazione per piano tra le stanze in quanto la cucina è di solito posta al primo livello, mentre i vani nei quali si dorme stanno a quello superiore, senza però con questo trovare, va precisato, alcuna analogia tra zona giorno e zona notte dei nostri giorni. La indifferenziazione cui ne consegue la intercambiabilità di funzione dei vani è dovuta evidentemente al tipo di struttura costruttiva che è la muratura la quale prevede setti disposti in due direzioni ortogonali fra loro con interasse costante sia in un senso che nell’altro tanto da determinare locali identici; c’è qualche eccezione nelle dimore padronali per ottenere il salone.
Quest’ultimo richiamo delle sale di rappresentanza ci porta a notare i cambiamenti che sono intervenuti in tema di abitare: per le classi popolari la camera matrimoniale era il posto del ricevimento ricevendo qui le visite dei conoscenti all’arrivo di un nuovo nato o in occasione di un decesso mentre gli scambi con i vicini, perché informali, avevano luogo in cucina se non sull’uscio della propria residenza con la soglia che fungeva anche da sedile. La casa contadina è stata definita casa-utensile, quasi fosse analoga agli spazi di lavoro svolgendosi al suo interno alcune fasi connesse alla produzione agricola specifiche del periodo invernale, ad esempio la concia del grano, la riparazione degli attrezzi, ecc.. Indipendentemente dal ceto sociale dentro il fabbricato abitativo si trovava sempre, o meglio in dipendenza della disponibilità di superfici, la rimessa delle provviste alimentari, la cantina, lo stanzino per gli animali da cortile, se non la stalla, locali che una volta persa la funzione originaria sono rimasti inutilizzati.
La soffitta e l’androne che è presente in particolare nelle costruzioni più ampie sono anch’esse parti della casa per le quali è difficile immaginare una funzionalità in relazione agli stili di vita contemporanei. Nella descrizione finora fatta si sono messe in luce, riassumendo, l’indeterminatezza dei vani, l’esistenza di un numero variabile dei cosiddetti annessi, il ruolo della casa nell’economia (aggiungendo a quelle citate le attività lavorative femminili, si prenda la tessitura), l’enfasi data a componenti del manufatto edilizio, in realtà ad una, l’atrio, ora ridimensionati. Tale insieme di connotati distingue in maniera sostanziale la casa del passato da quella odierna o, almeno, da quella, per così dire, di concezione corrente. Tra i motivi del rinnovamento dell’architettura c’è la comparsa del cemento armato coincidente, in modo non casuale, con lo sviluppo delle teorie funzionaliste. È stato il telaio di calcestruzzo armato svincolandola dal condizionamento dei setti murari a permettere la pianta libera all’interno della quale si può avere una suddivisione più razionale degli spazi abitativi.
Serviti o meno dal corridoio, una novità assoluta rispetto all’architettura tradizionale, vi sono vani perfettamente calibrati sulla funzione, appunto funzionalismo, che sono chiamati ad assolvere; locali tagliati su misura, dunque, e non camere indistinte come succedeva prima. Il grande sforzo degli architetti «razionalisti» è stato quello di scomporre le attività domestiche nelle loro articolazioni elementari per giungere alla definizione delle misure minime di ciascuna occupazione che trova luogo nella casa, dalla preparazione dei pasti alla cura dell’igiene personale al dormire allo spostarsi e così via. Da questi studi sull’ingombro di ogni movimento da effettuare con il relativo arredo e la successiva aggregazione degli elementi ne viene fuori l’alloggio come lo conosciamo oggi. Se si vuole trovare un difetto in tale operazione (comunque necessaria per stabilire la dimensione soddisfacente per un’abitazione la quale è stata tenuta in considerazione nella programmazione dell’edilizia residenziale pubblica) è che si vengono a configurare ambienti in qualche modo limitativi.
Il Razionalismo fa tutt’uno con il determinismo che ispira le scelte progettuali e l’individuo nel vivere il proprio alloggio ha facoltà di esercitare scelte limitate perché le condotte umane compatibili con spazi così precisamente distribuiti sono, è evidente, poche. Nel patrimonio edilizio storico c’è minore rigidità perché le persone (o il gruppo, tipo la famiglia) disponendo di vani con area consistente possono immaginare liberamente, secondo i propri gusti, l’habitat. Poiché i valori e i bisogni cambiano da una generazione all’altra il fruitore della casa odierno avrà esigenze non uguali a quelle di chi ci ha preceduti. Da tutto questo se ne deduce che non è possibile cristallizzare l’assetto di una casa, del modo di fruirne, magari con una precisa classificazione urbanistica che vada oltre una generica identificazione quale edificio residenziale piuttosto, per specifici manufatti, produttivo. Ciò vale sia a scala di fabbricato che di sue singole parti. È esemplare il caso di trasformazione di un androne in garage, comunque pertinente all’abitazione, necessità funzionale che è subentrata di recente a seguito del fenomeno della motorizzazione.
È chiaro che il ricavare il posto auto non deve stravolgere completamente il precedente uso, che era quello di ingresso, di tale androne contemperando i due interessi, quello del ricovero dell’automobile e quello della percorribilità pedonale che consente di raggiungere l’alloggio. Secondo le teorie funzionaliste la rimessa per mezzi di trasporto deve rispondere a determinate caratteristiche specie dimensionali riguardanti lo stallo, la corsia, il raggio di manovra, mentre, sempre sulla base dei dettami degli architetti del Funzionalismo, l’ingresso si riduce ad un mero disimpegno avendo perso l’aura che possedeva nelle civiltà trascorse di momento di “passaggio” che qui è tra il dentro, l’intimità del focolare, e il fuori, il mondo che ci circonda. Per le ragioni illustrate, considerato che l’entrata alla casa non ha più una riconosciuta valenza antropologica, si ritiene ammissibile in un atrio la convivenza tra parcheggio automobilistico e camminamento che collega il portone con l’alloggio, purché sia garantita la sicurezza per chi lo percorre e, dunque, una sufficiente sezione trasversale ed una separazione fisica al fine di evitare che movimenti incontrollati, tanto della macchina in moto quanto di componenti della famiglia, si pensa ai bambini, nell’uscire di casa possano causare incidenti.
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