Quando negli edifici c’è poco di rurale

Sono quei fabbricati che pure denominati agricoli sono in effetti abitazioni a tutto tondo.

Nel tempo attuale le architetture rurali sono concepite in relazione agli orientamenti colturali dell’azienda agricola, non più come in passato quando i fabbricati posti in campagna erano riconducibili a pochi tipi edilizi, si prenda la dimora contadina tradizionale. Questo della variabilità delle caratteristiche del manufatto architettonico è un forte elemento di distinzione della casa urbana e della villetta posta nell’agro le tipologie delle quali sono in numero più ridotto. Oltre che alle scelte aziendali in materia di conduzione dei campi gli edifici di servizio devono tener conto delle condizioni ambientali dell’area le quali possono spingere, mettiamo, a realizzare il deposito di derrate alimentari in luogo più asciutto, mentre il fienile sta bene in quello ventilato anche se sottopioggia. Inoltre è da dire che mentre gli edifici per abitazione conservano la loro funzionalità nel tempo per cui sono considerate ancora vivibili le dimore del passato, salvo adattamenti, le costruzioni per l’agricoltura devono modificarsi nel tempo, trasformandosi le colture, e, al limite, per non diventare obsolete, hanno bisogno di essere flessibili, (seguendo un’apposita concezione progettuale).

Si sta tralasciando, in quanto non pertinente al tema del confronto tra strutture residenziali e manufatti agricoli che qui si intende sviluppare, la questione del “non finito”, cioè quello di opere, prendi una tettoia o un rimessaggio precario di materiali, destinate ad un uso stagionale e, comunque, di breve durata; è induce questa provvisorietà strutturale di una indeterminazione delle scelte produttive aziendali che impedisce una definizione compiuta dell’impianto architettonico e questa è un po’ la storia dei nostri fabbricati rurali nei quali prolificano gli annessi con giustapposizioni successive al corpo principale. Ciò, peraltro, è stato da sempre un carattere distintivo dell’insediamento rurale che si contrappone a quello urbano anche per tale aspetto, permesso dall’isolamento o, al più, dal raggruppamento in poche unità degli edifici che equivale a disponibilità di spazio per aggiunte, spazio che nei nuclei abitati non c’è.

Tutto questo è ben diverso dagli impianti architettonici unitari legati alle grandi proprietà fondiarie, si pensi alle ville palladiane che non sono solo luoghi di delizie, bensì, pure, centri di governo delle tenute signorili, ma anche ai “casini” padronali che nella seconda metà dell’ottocento punteggiano la campagna molisana funzionali alla gestione delle terre dei “galantuomini” condotte dai mezzadri. A volte, il disegno si estende dalla forma delle fabbriche a quello dei campi, suddivisi secondo una precisa trama come si può vedere in antiche mappe. Ci sono, comunque, punti di unione tra le costruzioni rurali e quelle urbane che sono l’abitazione del conduttore del fondo con, sempre più di frequente, camere per l’ospitalità agrituristica (adesso si abbina pure all’agricampeggio) e locali per la vendita a Km. 0 di ciò che si produce, evidentemente simili ai negozi presenti negli agglomerati insediativi ed ancora cosa in verità che nella nostra regione stenta ad affermarsi, superfici nelle quali allestire ecomusei o raccolte museali di oggetti della tradizione popolare nell’ottica dell’agricoltura multifunzionale.

Quest’ultima ha portato alla nascita di fattorie didattiche anche qui da noi ed alle prime esperienze di inserimento dei disabili in particolari momenti delle attività agricole a fini abitativi. Differenzia la progettazione dei fabbricati abitativi posti all’interno di aree urbanizzate da quella degli edifici rurali il fatto che i primi devono allinearsi alle strade e tener conto delle costruzioni contigue, mentre i secondi sono generalmente isolati e, quindi, con una disposizione planimetrica libera, priva com’è di condizionamenti. Separatezza, del resto, obbligatoria se non si vuole che si inneschino conflitti tra l’agricoltore e specie l’allevatore e le persone che abitano nei pressi dell’azienda infastidite dagli odori, quelli della stalla (sia se si tratti di aziende zootecniche specializzate sia miste con coltivazioni), e dai rumori provenienti da esse; da non trascurare neanche il fastidio di tipo percettivo causato dai capannoni agricoli per chi vive nei pressi. In alcuni paesi del Molise, ad esempio Macchiagodena, è assai diffuso l’insediamento sparso, magari in forma di piccoli aggregati, per la tendenza ad avere la propria residenza vicino al fondo coltivato,tanto che in questo comune 2.000 abitanti stanno nell’agro e solo 500 nel borgo.

Oggi che l’occupazione del settore primario è fortemente diminuita si trova in campagna una popolazione in prevalenza non più dedita alla coltivazione del terreno che sta fianco a fianco con la residua quota di famiglie tuttora dedita all’agricoltura. I criteri progettuali che informano le strutture agricole sono di matrice architettonica e insieme agronomica. Il disegno dei volumi è condizionato dall’esigenza di massimizzare l’efficienza del lavoro che vi si svolge dentro. Le tecnologie, quindi i sistemi di aspirazione delle polveri, il trasporto meccanizzato dei prodotti, ecc. impongono una determinata grandezza dei locali e una sequenza ottimale dei vani adibiti alle lavorazioni. In definitiva, l’organizzazione ergonomica degli edifici agricoli è ben diversa da quelli urbani. L’edificazione rurale comprende attualmente pure case nate come agricole sfruttando l’indice fondiario di mc. 0,03 al mq. e successivamente oggetto di cambiamento d’uso tramite la sanatoria o il Piano Casa: sono generalmente architetture semplici, ma non di certo case contadine, cioè di addetti alla conduzione di appezzamenti agrari.

In esse mancano, a denunciarne la funzione residenziale e non quella produttiva, i dispositivi per la raccolta dei rifluiti come le concimaie, i silos che sono manufatti verticali che rendono agevole la somministrazione del cibo per il bestiame o per l’immagazzinamento delle uova, gli alti porticati per proteggere le macchine agricole, il piazzale per lo svolgimento di alcune lavorazioni, i granai, gli spogliatoi per i lavoratori a diretto contatto con ambiti lavorativi, gli ambienti (igienicamente predisposti per la sicurezza degli alimenti) per la preparazione dei prodotti agroalimentari tra i quali le cantine che hanno bisogno di definite condizioni di umidità, luce, temperatura presenti naturalmente in quelle antiche o ora spesso ottenute artificialmente, i serbatoi idrici di riserva o le vasche per l’accumulazione dell’acqua piovana (o almeno di prima pioggia) per irrigare l’orto o per gli interventi antincendio magari anche attraverso il riutilizzo dei reflui depurati con gli appositi sistemi di trattamento.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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