Vincolare o pianificare il paesaggio?

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La decadenza dei vincoli paesaggistici per l’assenza del provvedimento ministeriale conclusivo non può significare il disconoscimento del valore di quel paesaggio

Il paesaggio per essere di qualità deve possedere alcune caratteristiche, cioè ha un valore intrinseco che non è l’atto di sottoposizione a vincolo, di certo, ad attribuirglielo, limitandosi questo ad essere una procedura di mero riconosci mento di questo pregio. La fase fondamentale di tale azione di inserimento di quel contesto paesaggistico tra le cose da tutelare è dunque, quella della analisi con la messa in evidenza dei caratteri che lo rendono meritevole di salvaguardia. Prima la descrizione dei paesaggi contenuta nelle proposte formulate dalle Commissioni provinciali per le bellezze naturali era molto sintetica, mentre oggi (in verità da circa 15 anni con l’emanazione del Codice Urbani) vi sono criteri di lettura molto definiti e ciò conferma che l’individuazione dei paesaggi meritevoli di conservazione ha basi in qualche modo oggettive.

Non è, in altri termini, il vincolare frutto di una volontà politica, quale potrebbe essere quella del Ministro al quale piuttosto spetta un compito di controllo e di accoglimento o meno delle Osservazioni eventualmente presentate, nel periodo ad esse assegnato, dopo la pubblicazione dei Verbali dell’organismo tecnico, adesso coincidente con la Soprintendenza, nei quali si propone la Dichiarazione di Interesse Pubblico. Può essere utile al fine di spiegare meglio quanto si sta affermando sottolineare che la pianificazione, che, questa sì, deriva da scelte politiche, può determinare limitazioni nell’uso di un territorio, ma esse sono finalizzate a strategie di sviluppo, magari per incrementare il turismo, e esse sono naturalmente soggette a caducazione una volta che il piano perde efficacia o si modifica, mentre il cosiddetto vincolo paesistico è permanente e, tutt’al più, può essere “integrato” nei contenuti ai sensi dell’art. 141 del decreto legislativo 42/2004.

Di inciso in inciso, qui per piano si intende qualsiasi altro tipo di piano e non il piano paesistico perché quando quest’ultimo stabilisce l’inedificabilità assoluta di un’area, per esempio, e successivamente con una variante si consente l’edificabilità nella stessa area ciò non comporta una modifica del vincolo il quale preesiste al piano paesistico. Una diversa esemplificazione della differente natura del piano e del vincolo è lo strumento urbanistico che attribuisce ad una certa superficie territoriale la classificazione di Zona a Verde ed, in seguito, attraverso una revisione del piano regolatore o una «riclassificazione» assegna ad essa, che ne era priva, un indice di edificabilità. Ci dobbiamo a questo punto addentrare nella questione fondamentale che è quella di come determinare se un ambito ha valenze paesaggistiche di rilievo una volta avendo stabilito che il vincolo non è un fatto politico, tanto che, si aggiunge quale argomento ulteriore a dimostrazione di ciò, il Ministro non ha facoltà di abrogare vincoli esistenti.

Si fa rilevare che nel campo delle espressioni culturali, dal teatro all’architettura alla pittura fino al paesaggio (esso va incluso tra le manifestazioni artistiche), i criteri interpretativi variano a seconda del soggetto che formula il giudizio. Quanto appena affermato è valido pure per il paesaggio nonostante che quest’ultimo abbia una forte componente naturalistica la quale è oggetto di studio di scienze esatte come la botanica e la geologia che introducono nella valutazione dei paesaggi dati precisi con le loro ricerche, ciò è ancora più valido da quando è stata varata la legge Galasso che obbliga a porre grande attenzione agli elementi della natura nelle analisi paesaggistiche. Ritorniamo sul punto della soggettività che è conseguente alle molteplici interpretazioni delle quali è suscettibile il paesaggio, punto che è essenziale per comprendere anche il cambiamento nel tempo (oltre che, ovviamente, nello spazio, cioè nei vari contesti territoriali) delle descrizioni contenute nei provvedimenti di vincolo.

Se è vero ciò è abbastanza singolare richiedere la ratifica dei vecchi vincoli, vecchi ormai di 40 anni poiché risalenti in maggioranza alla seconda metà degli anni 70, da parte del Ministro in quanto i relativi procedimenti non si erano ancora conclusi al momento del passaggio delle competenze alla Regione con il DPR 616/77. Non è una questione da poco quella appena sollevata essendo nella nostra regione numerosi i Comuni che hanno proposte di vincolo non completate con il decreto ministeriale finale e sono, in prevalenza, quelli situati nella media valle del Biferno che non è stata inclusa in alcuno dei piani paesaggistici varati dalla Regione nel 1991 (e, del resto, non ve n’era obbligo non essendo sati ricompresi nei cosiddetti Galassini).

Un problema distinto, ma che si anticipa con notevoli analogie con quello precedente, è rappresentato dalle iniziative vincolistiche intraprese dalla Soprintendenza nei decenni successivi solo alcune delle quali giunte alla decretazione ministeriale: la giustificazione che è ipotizzabile, seppure contraddetta dall’ufficializzazione di alcune di esse da parte del Ministero, magari per ragioni d’urgenza della tutela, è che nel 2004 con il Codice Urbani si sarebbe dovuta avviare una nuova stagione di pianificazione paesistica estesa questa volta all’intero ambito regionale, dunque anche a quei territori comunali per i quali si era avanzata la proposta di vincolo. Che fosse opportuno redigere un piano paesistico e non limitarsi ad un’azione puramente vincolistica quale può essere intesa quella della locale Soprintendenza è reso evidente da una riflessione sui contenuti del vincolo dopo il Dlgs 42/2004 che c’è bisogno sia comprensivo delle «prescrizioni d’uso», qualcosa di simile, anche se in piccolo, delle norme di un piano paesistico.

In effetti la Regione Molise, di concerto con la Direzione Regionale dei Beni Culturali, aveva intrapreso fin da subito, fin dal 2005, la strada del rinnovamento della propria pianificazione paesistica che ora, precisamente dal corrente mese, ha ricevuto un nuovo impulso dalla stipula del Protocollo d’Intesa con i Ministeri dei Beni Culturali e dell’Ambiente per la Co-pianificazione. Mentre i piani paesistici possono stabilire restrizioni alla trasformazione dei luoghi in alcune parti, va fatto rilevare, il vincolo che si denomina nella tradizione della conservazione paesaggistica generico, non produce tale effetto consentendo sempre la costruzione in quel posto salvo il rispetto di particolari prescrizioni imposte in sede di rilascio dell’Autorizzazione paesaggistica.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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