Un territorio pendulo
Il Molise è una delle regioni con elevata franosità. Le uniche zone che sembrano immuni sono l’isernino e il venafrano.
Incominciamo con il dire che nel Molise la stragrande maggioranza delle frane è costituita dai “colamenti” e dagli “scorrimenti” dei terreni i quali sono fenomeni franosi meno preoccupanti dei “ribaltamenti” dei massi rocciosi, almeno per il modo in cui avvengono, gli ultimi essendo caratterizzati dalla rapidità dell’accadimento. Se non fosse per la presenza di segni premonitori quali la presenza di spaccature nel suolo o il distacco in precedenza di alcuni blocchi lapidei è difficile mettere in salvo cose e persone quando si innescano frane di crollo, perché improvvise. Quest’ultime interessano, e perciò sono particolarmente dannose, i rilievi sui quali sorgono i centri abitati (non tanti, per fortuna) che nel medioevo scelsero l’ubicazione in altura per ragioni difensive; i casi più significativi sono quelli di Limosano, per lo sgottamento del versante, Pietrabbondante per il distacco di, appunto, pietre e Civitacampomarano il cui panorama è contrassegnato dalle imponenti opere cementizie di sostegno.
Poiché le formazioni geologiche più suscettibili agli scoscendimenti sono quelle di natura argilloso – marnosa e arenaceo – sabbiosa che caratterizzano il substrato delle valli dei fiumi Biferno, Trigno e Fortore quando attraversano la fascia collinare nella zona centrale della regione, il maggior numero di manifestazioni franose sta qui; in verità, bisogna aggiungere la vallata del torrente Vandra che sta nella parte alta del bacino del Volturno del quale, tramite il Cavaliere, è affluente e che è colpevole della distruzione della frazione Pagliarone di Vastogirardi con il trasferimento della popolazione agli inizi del ‘900 nell’odierna Villa San Michele. Si è parlato prima delle tipologie di frane più frequenti e adesso bisogna specificare che quelle maggiormente diffuse sono i colamenti essendo gli scivolamenti o scorrimenti meno presenti: non conta molto, però, all’atto pratico, tale distinzione perché è sempre arduo catalogare una frana a seconda del tipo cui appartiene essendo generalmente gli episodi franosi censiti nel territorio regionale dei fenomeni complessi con sovrapposizioni di lingue di frane l’una sull’altra ed un esempio è il vallone Maiella a Trivento.
I corpi franosi sonno dei fatti, per così dire, mobili, ma ciò non significa che siano costantemente in movimento alternandosi momenti nei quali sono in attività, per lo più per breve tempo, e altri di quiete (da qui la denominazione in linguaggio tecnico di frana quiescente) e ciò non dipende dall’alternazione delle stagioni, magari correlando la franosità alla piovosità. Non si riscontrano qui da noi frane costantemente in azione. Così come sono incostanti nel tempo sono spazialmente distribuite in maniera irregolare e con ciò si vuol far notare che nonostante la parità di condizioni morfologiche, pendenza del versante, idrografiche, sistema fluviale, uso del suolo, copertura vegetale, base geologica una frana avviene in un luogo e non in un altro. Le frane si suddividono in categorie come abbiamo fatto prima e per dimensioni. La più grande è sicuramente quella di Covatta nell’ambito comunale di Ripalimosani che ha compromesso nel 1996 la percorribilità della strada di collegamento veloce Bifernina sia minando la stabilità del manufatto viario sia ostruendo parzialmente con il materiale terroso trascinato giù il corso d’acqua con conseguente pericolo di allagamento della carreggiata. Si è detto che quello di località Covatta è il fenomeno franoso principale della nostra regione e, di certo, lo è se si tiene conto dell’appariscenza, mentre se si considerano le masse di terra mobilitate seppure in assenza delle classiche manifestazioni esteriori, come il denudamento della superficie e il rotolamento a valle di strisce di terreno, e l’estensione areale perplessità superiore la provoca quella di Petacciato.
Ciò in quanto ad essere minacciate sono infrastrutture di comunicazione, sia ferroviarie che carrabili, di livello nazionale. Si tratta di un cosiddetto movimento gravitativo profondo che ha il suo inizio in cima alla collina interessando i margini dell’abitato e prosegue, sviluppandosi in profondità, fino al mare, anzi al di sotto della superficie marina con il fango, il quale ne è l’indizio, che intorbida l’acqua e questo non è un caso raro nella fascia costiera adriatica. Quelle del litorale sono eventi franosi particolari, ben diversi dagli episodi che si registrano nell’entroterra e riguardano i pochi tratti di costa alta, limitati nel Molise dove predomina la costa bassa. La costa alta nel litorale molisano in realtà non è tale in quanto alla sua base, ad eccezione del promontorio occupato dal borgo antico di Termoli, vi è sempre una stretta striscia di spiaggia; i sedimenti sabbiosi che costituiscono quest’ultima fungono da opera di protezione della falesia che così non è raggiunta al piede dal moto ondoso il quale potrebbe eroderla.
Non sono stati i flutti del mare, bensì le escavazioni effettuate per la realizzazione di edifici che le si accostano ad aver determinato lo sgottamento di un settore della falesia a Rio Vivo nel territorio termolese. Siamo a sud della cittadina adriatica, mentre sul lungomare nord la falesia diventa talmente piccola da poter essere assimilata, in qualche modo, ad un retrospiaggia. In aree con maggiore intensità di sviluppo edilizio come quella costiera sono le trasformazioni antropiche a causare l’innesco di frane; al contrario, nelle zone interne è l’abbandono dei terreni ormai non più coltivati a provocare il dissesto del suolo per via dell’assenza di regimazione delle acque. A smentire parzialmente quanto appena detto si fa rilevare che si sono registrate situazioni nelle quali le frane sono dovute all’eccessivo sfruttamento dei campi, all’impiego di tecniche colturali non appropriate a seguito dell’affermarsi della meccanizzazione agricola.
Abbiamo, poi, le espansioni edilizie novecentesche (Bonefro, Tufara, ecc.) in luoghi poco idonei dal punto di vista idrogeologico ad essere nello stesso tempo causa ed effetto di fenomeni franosi. Determinanti nel provocare le frane sono pure gli eventi tellurici; il più disastroso di essi che è il terremoto del 2002 ha fatto insorgere nuove frane e riattivate quelle quiescenti. Sono stati anni terribili il 2002 e il 2003 quando si ebbe l’alluvione che colpì duramente il basso Molise: il sisma, le frane e l’inondazione la quale ha avuto conseguenze pure sulla franosità hanno dimostrato che la nostra regione costituisce un territorio assai fragile, imponendo che nell’agenda politica venga messa al primo posto la difesa dalle calamità.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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