Il silenzio su morti e feriti a Gaza
di Umberto Berardo
Un imperialismo USA in Medio Oriente che non vuol cedere il passo alla libertà dei popoli di quell’area decide con un chiaro atteggiamento di sfida nei confronti dei palestinesi di fissare a Gerusalemme la sede della sua ambasciata in Israele. Nella protesta tra la striscia di Gaza e lo stato ebraico il numero dei palestinesi uccisi dal fuoco israeliano è salito a sessanta, mentre i feriti, tra cui alcuni versano in condizioni gravi, sarebbero duemilaottocento.
ONU, Unione Europea e Russia hanno preso, anche se tiepidamente, le distanze dalla cerimonia di Gerusalemme ed anche la condanna per i morti a Gaza, affidata alla Mogherini ed a Macron, è apparsa piuttosto debole, mentre durissima è stata la presa di posizione al riguardo dei Paesi arabi. Donald Trump ha testualmente dichiarato che ” la responsabilità di quanto sta accadendo è chiaramente di Hamas che sta intenzionalmente provocando la risposta di Israele”.
In realtà a settant’anni dalla nascita dello Stato israeliano, Nakba (catastrofe) come la chiamano gli arabi con più di settecentomila profughi palestinesi, la situazione di questi ultimi soprattutto nella striscia di Gaza diventa ogni giorno più invivibile. Mentre scriviamo sono in atto scontri in Cisgiordania con oltre quaranta feriti nella sola Betlemme, mentre gli Stati Uniti bloccano una risoluzione dell’ONU di condanna della reazione israeliana, Hamas indice uno sciopero generale nei territori occupati chiamando i palestinesi all’Intifada e viene espulso l’ambasciatore israeliano dalla Turchia.
C’è grande preoccupazione per gli sviluppi di una vicenda che potrebbe avere aspetti ancora più gravi. La condizione dei quasi due milioni di profughi ammassati nella striscia di territorio di Gaza di appena 360 chilometri quadrati è paradossale sul piano politico per l’incertezza dello status di questa terra riconosciuta dall’ONU come territorio del futuro Stato palestinese, governata da Hamas, ma controllata nello spazio aereo e marittimo da Israele.
Dopo il congelamento dei fondi al governo di Hamas da parte dell’Unione Europea, di Stati Uniti e Canada ed il boicottaggio economico da parte di Israele anche la situazione economica si è fatta davvero pesante. Ad ogni tentativo dei palestinesi d’imbastire azioni di protesta lungo il confine con lo Stato ebraico per il cosiddetto “ritorno” si ripetono massacri perpetrati nella più assoluta indifferenza del mondo occidentale. In Italia in questi giorni così tragici i partiti ed i movimenti politici stanno mantenendo un silenzio preoccupante, incomprensibile o, come sul dirsi, assordante.
Eppure qualche sedicente leader ha dichiarato testualmente che stanno operando per “scrivere la storia”! Saremo anche in quella che molti chiamano epoca post-ideologica, ma crediamo che almeno il valore della pace e della difesa della vita contro i seminatori di morte vada difeso e riaffermato con forza. È per questa ragione che, pur criticando con forza l’irresponsabilità omissiva delle forze politiche rispetto alle tragedie che vivono popoli perseguitati dal colonialismo di un’economia selvaggia, noi tutti non possiamo limitarci a prese di posizione su distinguo ideologici, ma abbiamo il dovere come cittadini d’impegnarci per portare questi gravi problemi alla coscienza collettiva.
Il 17 aprile abbiamo pubblicato delle riflessioni titolate “L’impegno nel pacifismo” nelle quali si delineano percorsi possibili per rimettere in moto il movimento pacifista che anche in questi giorni continua ad essere assente. Sarebbe bello, utile ed interessante se, oltre che sul web, provassimo ad incontrarci in luoghi reali per ridefinire obiettivi e strategie per opporci alla violenza ovunque questa si faccia strada.
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