Dunzella, Dunze’/Il diabolico mistero del sesto Mistero
La spettacolare sfilata dei “quadri viventi” edizione 2018 sarà memorabile per vari motivi: l’omaggio al grande Di Zinno per la ricorrenza del suo Mistero che dura da 300 anni, i “bollini” Unesco nell’anno europeo del patrimonio culturale, le varie iniziative ed eventi collegati all’antica Sagra e un ”tutto esaurito” di alberghi, B&B e ristoranti, cosa che di questi tempi aiuta il flebile Pil regionale.
A queste novità vorrei aggiungerne un’altra, passata un po’ in sordina ma piuttosto interessante. Riguarda il sesto dei tredici Misteri, quello di Sant’Antonio Abate che da sempre è una delle rappresentazioni più fantasiose e coinvolgenti, grazie anche alla famosa Donzella che del quadro è uno degli elementi più popolari e ammirati.
Ebbene, quest’anno a calarsi in questo mitico ruolo è stata prescelta una ragazza campobassana, Sarah Khalaf, di origini egiziane. Una scelta intelligente, impensabile ai miei tempi, che definirei “glocale” perché supera i limiti del localismo e addirittura coraggiosa in tempi ammorbati da xenofobie. (E se i leghisti nostrani organizzeranno sit-in di protesta per le origini non autoctone della Donzella, ce ne faremo una ragione.)
Tuttavia, per ben documentarmi, sono risalito a una fonte autorevole come l’Associazione Culturale Misteri e Tradizioni di Campobasso che in un agile e prezioso opuscolo illustrativo così descrive il quadro di Sant’Antonio Abate: “… vi sono in ultimo due demoni, uno sta librato in alto sulla spalla del Santo e l’altro, sotto forma di graziosa donzella, sta seduto sulla barella vagheggiandosi in uno specchio”.
A questo punto però mi ha colto un dubbio atroce: e se questa Donzella “angelo e demone” ribaltasse miseramente la mia entusiastica interpretazione anti xenofoba e “glocale” per la scelta a favore della graziosa molisana di origini egiziane?
Insomma, coi brutti tempi che corrono, non vorrei che sull’opzione Sarah abbia giocato d’istinto (razzistico) più la natura “demoniaca” della Donzella che quella “angelica”.
Bè, io la butto lì, ma spero proprio che nessuno mi prenda sul serio.
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