Dal lago di Civitanova al Pincio

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Ci deve essere un collegamento sotterraneo tra il lago e le sorgenti del torrente il quale è un elemento centrale del sistema ambientale di questo ambito.

Il torrente Pincio è un corpo idrico non molto lungo e, quindi, se preso in sé stesso ha limitata capacità di condizionare l’aspetto del paesaggio (poiché paesaggio è un termine che si riferisce ad ambiti di estensione consistente). Se, invece, non guardiamo solo l’alveo, ma riflettiamo su ciò che ha originato questo corso d’acqua, è immediato, abbastanza, ricollegarlo alla montagna soprastante e alle sue scaturigini. Si tratta della Montagnola la cui vetta, m. 1421, ricade nel perimetro comunale di Civitanova , che è un rilievo montuoso di natura carsica. Esso si imbeve di acqua, peraltro in modo copioso per via della neve che lo ricopre nel periodo invernale, che trova il suo sbocco a valle.

Il Pincio è la maggiore scaturigine in questo versante del monte e la sua portata si incrementa quando avviene lo scioglimento del manto nevoso. La sorgente del Pincio è, in definitiva, in collegamento diretto con il territorio in quota. Una volta compreso tale meccanismo è immediato mettere in relazione il Pincio con gli ambienti presenti in altitudine, tra i quali vi è il Lago di Civitanova con cui è da ritenere il Pincio abbia un rapporto stretto. Si tratta di una sorta di grande dolina dalla forma allungata con in fondo un inghiottitoio dal quale l’acqua che si invasa in primavera per la fusione delle nevi in questo bacino penetra nel sottosuolo riemergendo in basso, dopo aver superato un dislivello di circa 500 metri, lì dove prende origine il Pincio.

È un laghetto stagionale chiuso, senza cioè emissario, un po’ come succede nel Matese con il lago di Letino perché anche qui il fiume, il Lete, che ne costituisce l’immissario (in ciò differisce dal Pincio) scompare per ricomparire più sotto. Per dirla diversamente il Lago di Civitanova è una sorta di valle tronca quasi che l’acqua sparisca. Esso è un po’ il cuore della Montagnola, o meglio l’ombelico, una conca circondata da foreste perché siamo ancora all’interno della fascia fitoclimatica del bosco. Quest’ultima termina a 1.800 metri teoricamente, ma qui finisce prima perché la parte conclusiva della Montagnola è costituita da una groppa erbosa.

La vista del Pincio richiama alla mente tutto questo, nonostante siano fatti che non sono in rapporto visivo fra loro e ciò ne accresce l’interesse paesaggistico. Il Pincio, o meglio la sua ricchezza d’acqua, deve aver avuto una qualche influenza nella scelta del sito per la costruzione del monastero di S. Brigida in quanto esso non è tanto lontano. Quella benedettina è una delle civiltà che si sono succedute in quest’area a iniziare dall’epoca sannitica e la “regola” di S. Benedetto impone ai suoi seguaci la pratica dell’agricoltura per la quale è essenziale la disponibilità idrica.

È uno dei diversi conventi impiantati nel Molise da quest’Ordine monastico, il principale è quello di S. Vincenzo al Volturno, i quali sono impegnati nella riorganizzazione delle campagna dopo la fine dell’impero romano. La loro localizzazione non è stata decisa, per così dire a tavolino, perché non c’è una distribuzione omogenea degli insediamenti conventuali nella regione e nei casi più conosciuti essa è sempre motivata dalla vicinanza con una fonte idrica, S. Vincenzo con Capo Volturno, la badia di Melanico con il Fortore, quella di Canneto con il Trigno e, appunto, il monastero chiamato nelle cronache antiche «da Iumento Albo» con il Pincio. I conventi non coprono interamente la superficie regionale ma sono disposti in modo discontinuo privilegiando per l’ubicazione, lo si rimarca, la contiguità con un corso d’acqua.

Del monastero e, quindi, della civilizzazione benedettina rimangono solo suggestive rovine, il campanile con sottostante arco gotico di ingresso alla chiesa di cui rimangono le mura perimetrali. Questi ruderi sono l’unico ricordo di un periodo storico importante, così come le fortificazioni in località Civitella rimandano all’epoca sannitica e la torre non granché conservata ma comunque un segno che sempre colpisce l’immaginazione popolare, che dà il nome al sito Terravecchia richiama l’alto medioevo. L’archeologia, però, a Civitanova non è costituita unicamente da testimonianze fisiche, in quanto vi sono ben due tratturi che rievocano il millenario mondo pastorale ormai scomparso.

Lungo le piste tratturali si svolgeva la transumanza la quale produce un’economia che punta non sull’autosufficienza, bensì sullo scambio. Quando il torrente Pincio raggiunge il piano incontra il Largo della Fiera dove si svolgeva il mercato, pure quelli cui partecipavano i pastori transumanti. Siamo a un passo dal paese che è autenticamente sfiorato dal tratturo Castel di Sangro-Lucera e ciò è un particolare non da poco poiché conferma che la transumanza è un fenomeno economico che prevede l’interazione con l’esterno, non è, cioè, chiuso in sé stesso, a differenza della povera agricoltura di un tempo.

Ad evidenziare meglio tale caratteristica è utile il paragone con il Cammino di Santiago che si sviluppa per vallate solitarie, in qualche modo appartandosi al posto di interagire con l’intorno per cui necessita di ostelli quali punti di sosta mentre i tratturi si appoggiano ai centri abitati. Il nostro tratturo è talmente integrato con il contesto umanizzato che, come altri, quando incontra una strada si sovrappone per tratti ad essa ed è quanto avviene subito dopo essersi approssimato al Pincio. Finora si è visto questo corso d’acqua in contatto con componenti ambientali di natura differente ed, invece, adesso procediamo a leggerne il ruolo nella stessa rete idrografica.

Iniziamo con il dire che esso nonostante la breve lunghezza ha una pendenza longitudinale molto elevata che determina una forte velocità della corrente: non è, di certo, questa l’unica ragione, ma un qualche peso deve aver avuto nel determinare la svolta a gomito del Trigno che viene ad assumere la medesima direzione del Pincio. L’asta principale del sistema idrico sembra adeguarsi alla direttrice di un suo affluente il quale, comunque, seppur piccolo ha una notevole energia.

Il Pincio ha così tanta fretta di raggiungere il piano dove conclude la sua impetuosa corsa che sembra non aver avuto neanche il tempo di crearsi una propria valle, rimanendo il suo alveo semplicemente incassato. Per un momento immaginiamo che sia il Pincio a prendere il sopravvento (non tenendo conto delle portate) sul Trigno per cui al fiume si sostituisse l’affluente, la storia sarebbe stata un’altra? Forse sì, forse no, pur se ad ogni modo sarebbe stata di corta durata, destinata a finire quando vi è l’incrocio con il Verrino che determina un’ulteriore inversione di marcia.

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