Sulla mostra permanente della zampogna di Scapoli

di Luigi Murolo 

Una cosa singolare (ma non troppo nell’Italia dei paradossi) ciò che sta accadendo in questi giorni a Scapoli, la capitale italiana della zampogna: la revoca del prestito al Circolo della Zampogna di tutti gli aerofoni di proprietà del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise esposti nella Mostra Permanente allestita da quella associazione e dedicata a uno degli strumenti musicali identitari della cultura popolare italiana. 
Dopo ventuno anni di onorato servizio, il Consiglio direttivo del Parco richiede il pensionamento del comodato d’uso che aveva consentito l’approccio di studiosi e di visitatori a una collezione che, altrimenti, sarebbe rimasta ospite nei famosi depositi dell’invisibile.

Oggi, finalmente, con la meta dei quarantadue anni richiesti per la quiescenza, le zampogne in questione potranno tornare a «levar suoni» nei caveau dell’Ente proprietario o in comuni che, per esibire testimonianze turistiche a buon mercato, ne hanno fatto richiesta. Ma ve l’immaginate. Mentre nella vicina Alfedena, qualche decennio fa l’Università di Tubinga ha restituito al Comune pezzi archeologici trasferiti da un ufficiale tedesco in Germania, qui si vuole sciogliere una trama museologica di straordinario valore euristico costruita in oltre un ventennio.

Che si vuole di più. Il nostro Bel Paese è fatto così. Pertanto… al diavolo la museologia degli strumenti musicali! 
Certo, bisogna accontentare tutti. Per questo motivo non ha alcun senso al curriculum di un’associazione che, intorno a quell’aerofono, ha costituito una struttura di ricerca di ampio respiro e che, da diciassette ha in una rivista, Utriculus, un importante strumento di studio e divulgazione.

Ma tutto questo ha forse importanza? Stanno smantellando lo storico concetto di «popolo» (Gramsci docet), figuriamoci che cosa può interessare lo strumento che ha trovato in esso la massima utilizzazione e espressione! Ahinoi, il buon Berlioz, con la sua Pastorale, sarebbe rimasto stravolto di fronte a tale stato di cose! Ma dobbiamo dirla tutta: mica il povero Berlioz aveva la cultura dei nostri amministratori!

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