Schiavi mai
di Diego Florio
L’otto agosto non c’è stata nessuna raccolta nei campi della Capitanata. L’otto agosto del duemiladiciotto è stata una giornata di sciopero. La prima giornata di sciopero della storia dei nuovi braccianti. Centinaia di uomini e donne, braccianti agricoli, hanno marciato pacificamente nelle strade di Foggia per ricordare a tutti noi che la schiavitù non è finita e che di lavoro si muore. E da questa gente umile, ultimi tra gli ultimi, si alza un grido lacerante di dolore, che strazia le membra ma che è al tempo stesso pieno di forza, speranza, amore.
“Sciopero! Schiavi mai! Se tocchi uno, tocchi tutti!” urlavano i braccianti. Perché quando si vive ammassati in campi ghetto, senza servizi igienici, senza corrente elettrica, senza acqua corrente; quando si dorme in baracche e si è costretti a lavorare per un euro al quintale dodici o sedici ore al giorno, sotto quaranta gradi con il sole a picco sulla testa, stipati come carne da macello su furgoni che ti conducono a morte, la dignità umana non esiste più. Questa è la nuova frontiera della schiavitù: quella delle multinazionali, della grande distribuzione, dei grandi proprietari terrieri, di molte cooperative disoneste, delle mafie, dei caporali, di uno Stato scomparso da anni e di controlli nelle aziende agricole inesistenti.
Alla testa del corteo, che muove dalle campagne alle sei del mattino per raggiungere il primo punto di ritrovo dal quale sarebbe partito il corteo cittadino, c’è Aboubakar Soumahoro, leader sindacale e uomo simbolo della lotta dei braccianti nel nostro Paese. Abou è un uomo umile, dal carisma eccezionale, intelligente, empatico, che sa parlare al cuore della gente, che riesce a stemperare le tensioni e rassicurare. Ha la forza e il coraggio di chi è consapevole che la lotta che sta portando avanti è giusta, benedetta: la lotta contro lo sfruttamento e contro la disumanizzazione di questo modello produttivo e della nostra società. Arrivato al punto di ritrovo parla con i responsabili della digos che gli chiedono quali intenzioni abbiano e lui dice: “Scioperare”. Rassicura sul fatto che non ci saranno disordini e chiede alle forze di polizia di non farsi trovare in assetto antisommossa davanti alla prefettura perché, questo si, avrebbe creato tensione e dice agli agenti che “I braccianti sanno perché sono qui e”, continua, “anche voi lo sapete: sedici morti in due giorni”.
Gli agenti si guardano, capiscono perfettamente la situazione. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Abou si assume ogni responsabilità, sa bene che qualsiasi forma di tensione o violenza potrebbe essere utilizzata in forma strumentale contro di loro e sa che la sua gente marcerà, semplicemente, per dire al mondo: Guardateci, siamo esseri umani, siamo dei poveri sfruttati, siamo carne da macello e da ora non sarà più così, non potrà più essere così. Ha il cappellino rosso Abou, come decine di altri scioperanti. Un cappellino che è diventato il simbolo della lotta di questi uomini e donne, un cappellino rosso a ricordarci che di lavoro nei campi si muore e per questo oggi è una giornata di sciopero, non una manifestazione. Oggi l’esercito degli Ultimi ha rinunciato per la prima volta alla, seppur misera, giornata di paga per ribadire con forza che nessun uomo deve essere schiavo, nessun uomo può vivere senza dignità.
Questa gente sa indignarsi furiosamente, hanno senso di giustizia sociale, sanno organizzarsi e, soprattutto, sono determinati e coscienti di quello che stanno facendo. Questo sciopero è un fatto politico senza precedenti negli ultimi anni, che finirà nei libri di storia: il primo sciopero dei nuovi braccianti! Il corteo si snoda per le strade della città, tanti si affacciano, solidarizzano, applaudono. Uno dei momenti più emozionanti è stato sentire questa gente far levare al cielo il nome di Giuseppe Di Vittorio che da quelle stesse terre compì la sua epica battaglia per l’emancipazione dei braccianti dalla miseria e dallo sfruttamento. Arrivati davanti al palazzo della prefettura del capoluogo dauno, Abou chiede alle forze dell’ordine di arretrare con le transenne di alcuni metri, rassicurandoli sul fatto che tutto si sarebbe svolto nella massima sicurezza. La richiesta è accettata. In una giornata come questa nessuno vuole creare tensioni.
Abou inizia a parlare chiedendo un minuto di silenzio ai suoi fratelli, per ricordare i sedici lavoratori morti nei due incidenti stradali, in meno di due giorni, mentre tornavano dai campi dopo una giornata di lavoro, stipati, in entrambi i casi, come animali, nel retro di un furgone. Conosce la storia delle grandi tragedie dei lavoratori italiani nel mondo Abou, per questo, dopo il minuto di silenzio apre il suo intervento parlando del disastro di Marcinelle, avvenuto l’otto agosto di 62 anni fa, ricordando che gli uomini italiani morti in quella tragedia erano dei poveri sfruttati proprio come le persone che oggi trovano la morte nei campi o sui mezzi che in quei campi li conducono, a spaccarsi la schiena per meno di un euro al quintale. Riporto alcuni stralci del magnifico intervento di Aboubakar Soumahoro:
“Volevo partire dalla memoria. Noi vogliamo difendere questa memoria perché è il nostro futuro. Alle radici di quella memoria c’è il nostro presente. Sessantadue anni fa a Marcinelle, morirono operai nelle miniere, costretti a scappare dall’Italia, morirono lì, come oggi muoiono qui, sul lavoro, senza sicurezza. Lavoratori schiavizzati e poveri, come i sedici caduti sul lavoro. Quelli di Marcinelle e quelli di oggi lottavano per il pane, lottavano per il presente e per il futuro, lottavano per la dignità, lottavano per le loro famiglie. Lottavano scappando. Chi prendeva i treni con le valige di cartone e chi oggi prende le barche, scappando da quell’impoverimento che i governanti ci stavano e ci stanno imponendo, con misere paghe e migliaia di persone impoverite.
Quegli uomini lottavano per il pane, lottavano per la dignità.
Volevo partire dalla memoria. La memoria di questa Capitanata, di questa terra dove Giuseppe di Vittorio ha portato avanti le lotte dei braccianti. Furono anche loro oggetto di repressione, di criminalizzazione, di privazione della libertà, furono chiamati comunisti, quando in realtà lottavano per quegli ideali che erano le radici del rispetto dell’essere umano, per la giustizia sociale, per i diritti degli uomini e delle donne, dei braccianti che si spaccavano la schiena.
Mentre i grandi monopoli di ieri, che oggi si chiamano grande distribuzione organizzata, sono gli stessi. Sono solo cambiati gli strumenti di generazione di questi profitti.
Padroni erano ieri, padroni sono oggi, sfruttatori erano ieri, sfruttatori sono oggi, braccianti erano ieri, braccianti sono oggi, uomini erano ieri, uomini sono oggi, donne erano ieri, donne sono oggi”.
Si leva un applauso, esplode, carico di emozione. Gli occhi di molti si riempiono di commozione.
“Questa giornata non è una passerella. è una giornata di sciopero. Oggi per la prima volta uomini e donne, sfidando lo strapotere della grande distribuzione organizzata, sfidando lo strapotere dei padroni, sfidando lo strapotere dei caporali, sfidando lo strapotere di chi ha vissuto nelle stanze cangianti del potere e non si è mai sporcato mani e piedi in questi anni, per la prima volta, sfidando questo strapotere, hanno costruito uno sciopero dove nessuno è andato a raccogliere i pomodori.”
Chiede scusa ai giornalisti Abou dicendo che non si è negato. Semplicemente dice “Chi fa Sindacato, chi costruisce lotte sociali non sta nelle sale dei potenti, ma sta in mezzo alle campagne con gli stivali ad organizzare uomini e donne che per la prima volta si sono sottratti allo sfruttamento”.
E continua: “In queste ore sono state dette tante cose: hanno detto che sono morti degli extracomunitari, sono morti dei migranti. Sapete cosa vi dico? Era la stessa cosa in Svizzera quando i braccianti, uomini e donne italiani lavoravano lì: pensavano che erano soltanto forza lavoro, dimenticando che erano innanzi tutto delle persone, che non erano solo braccia, ma che pretendevano il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto al trasporto, il diritto all’istruzione.
Noi vogliamo tutto. Vogliamo il pane, vogliamo la libertà, vogliamo la giustizia sociale.”
Scoppia ancora un grande applauso.
“Noi vogliamo difendere la Costituzione”[…].
“Noi non siamo migranti, non siamo extracomunitari, noi siamo persone come voi. Signor Ministro di Maio siamo persone come lei, signor ministro dell’interno siamo persone come lei, signor primo ministro Conte siamo persone come lei. E ai padroni vogliamo dire noi non siamo animali né schiavi. Siamo anche noi esseri umani e vogliamo anche noi accedere al profitto che viene generato sulla nostra pelle!”.
Abou nel suo discorso ricorda Chiara Clemente la donna morta di fatica nei campi, in una giornata qualsiasi di agosto del duemila quindici , per 27 euro di paga al giorno e alla cui memoria la manifestazione è dedicata:
“La sua memoria sarà difesa e protetta ogni giorno. Perché la sua lotta, la sua fatica, il suo sacrificio è anche nostro. Per questo motivo lottiamo per tutti i braccianti, per tutti i lavoratori caduti sul lavoro. I compagni morti in questi giorni…si tratta di lavoratori che rientravano dal lavoro. Per questo motivo fate le indagini. Per verificare se vi fosse capolarato, ma soprattutto…fate le indagini e andate a interrogare i padroni dei posti dove lavoravano! Andate ad interrogare i padroni quando ci pagano! Lavoriamo per un euro l’ora! Lavoriamo sedici, dodici ore al giorno, svegliandoci alle tre del mattino! I delinquenti non si svegliano alle tre per andare a lavorare. La grande distribuzione sta lì, nei palazzi a manipolare i dati, ad imporre i prezzi ai contadini che a loro volta, anziché organizzarsi, ci schiacciano sotto i loro stivali. Noi non schiacciamo nessuno! Per questo motivo sotto quegli stivali noi non staremo mai in silenzio!”.
“Noi siamo pronti a lottare, organizzandoci sul piano sindacale per rivendicare quei diritti. Il diritto al salario, il diritto al trasporto. Stesso lavoro Stesso salario! Stesso lavoro Stesso salario! Stesso lavoro Stesso salario!” grida Abou insieme ai suoi compagni.
Ricorda ancora l’incontro avuto con Di Maio l’otto di luglio, in cui insieme agli altri braccianti del sindacato USB hanno fatto una serie di proposte per regolarizzare, svolgere in sicurezza e far emergere tutto il lavoro delle campagne. Ci ricorda che le stesse agenzie interinali si comportano da caporali, per questo vanno abolite e tutta la gestione dell’occupazione del Paese deve passare dai centri per l’impiego.
L’altro messaggio che porteranno al prefetto è questo:
“Bisogna regolarizzare i braccianti che non hanno il permesso di soggiorno! Il ministro ha detto che il problema dell’agricoltura non sono i datori di lavoro, il problema è la mafia. Caro ministro venga con noi, metta gli stivali, esca dalle stanze ghiacciate del web, venga anziché fare i selfie”.[…]
“I mafiosi sono seduti in giacca e cravatta in quei luoghi dove la magistratura sta indagando”[…]
“Noi siamo lavoratori, braccianti. Ha capito signor Ministro? Noi siamo uomini e donne braccianti. Noi non conosciamo la mafia, non abbiamo mai visto la mafia. E lei sa benissimo cosa sia la mafia. Lo sa bene. Perché coloro che ieri lei ha definito voti mafiosi, hanno votato per lei oggi eleggendola senatore della Repubblica.
Noi non siamo mafiosi. Siamo braccianti!”. Si alza fino al cielo un grido di orgoglio che fa tremare la terra.
“Noi siamo per dare dignità a chi lavora la terra. Per questo motivo il decreto Di Maio toglie dignità ai braccianti. I voucher sono una legalizzazione dello sfruttamento, i voucher sono la schiavitù, i voucher sono una truffa. È un imbroglio perché fa scontare il riconoscimento delle giornate lavorate nelle mani degli altri. Altro che decreto dignità. Questo è un decreto truffa. Un imbroglio che schiavizza”. Poi si rivolge al Presidente Emiliano presente al corteo dicendogli che l’USB non può non sedersi ai tavoli delle parti. E una giusta ammonizione agli altri sindacati:
“Chi pensa di avere il monopolio della rappresentanza deve capire una cosa: non funzionerà. Senza di noi non contate nulla! Senza di noi non contate nulla! Questa è la verità. Oggi abbiamo scioperato, loro non hanno avuto il coraggio di dichiarare lo sciopero. Questa parola alla quale hanno tolto dignità, hanno tolto potenzialità. Chiudo ricordando una cosa: vogliamo una sistemazione all’Ex Gran Ghetto. Utilizziamo i terreni della regione e diamo una sistemazione dignitosa ai braccianti, che non si fa mandando le ruspe. Se qualcuno manderà le ruspe”, rivolgendosi al Presidente Emiliano, ”Quelle ruspe passeranno sui nostri corpi perché siamo lavoratori. Poi noi non vogliamo morire. Vogliamo vivere! La vita è importante. Vogliamo vivere!”.
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