Don Pino Puglisi, il prete che sorrideva ai suoi assassini
di Davide de Bari
15 Settembre 1993. È il 56° compleanno di Don Pino Puglisi, tutti i ragazzi del centro “Padre Nostro” insieme ai collaboratori sono pronti a festeggiare e aspettare che don Pino torni a casa. Sono le 20.45: don Puglisi sta rientrando a casa dopo una lunga giornata di lavoro in comune per cercare di farsi assegnare lo stabile in via Hazon, da tempo luogo di spaccio, per trasformarlo in una scuola. Arriva in piazza Anita Garibaldi, nel quartiere Brancaccio ad est di Palermo, con la sua Fiat Uno rossa. Don Pino sta per varcare il portone di casa quando Gaspare Spatuzza lo afferra per un braccio e gli dice: “Padre questa è una rapina”. “3P” si volta e sorridendo gli dice: “Me l’aspettavo”.
Dietro il prete si nasconde Salvatore Grigoli, che impugna la pistola e dopo pochi secondi spara due colpi alla nuca del parroco. Il corpo morto di don Pino si accascia a terra, ma il suo viso continua a sorridere. “Mafiosi vigliacchi avete ucciso un uomo coraggioso e indifeso” si leggerà su un lenzuolo appeso sulla cancellata della parrocchia di San Gaetano dopo la morte di don Puglisi.
Contro la mafia
Don Pino nasce a Palermo nel quartiere Brancaccio da una famiglia semplice. Terminati gli studi teologici nel seminario palermitano diventa parroco di diverse parrocchie nel palermitano: a Godrano, allo Scaricatore e a Brancaccio nel 1990. È così che arriva alla chiesa di San Gaetano a Brancaccio, nella morsa dei boss stragisti Filippo e Giuseppe Graviano. Brancaccio è un quartiere difficile e privo di strutture come scuole e parchi. Un luogo dove la mafia è padrona e i ragazzi sono preda di questa unica possibilità. E’ da questo che inizia l’opera di Padre Puglisi: togliere i ragazzi dalle grinfie della mafia e dare loro una possibilità lontana dalla violenza.
Il parroco si rimbocca le maniche e insieme ai collaboratori inizia a predicare, consegnando per strada volantini e invitando passanti, sopratutto i più piccoli, a frequentare la parrocchia. “L’obiettivo di padre Puglisi era liberare l’uomo libero vero – racconta una collaboratrice di don Puglisi, suor Carolina Ivazzo – Non portava i bambini in chiesa a pregare, perché non era bigotto e perché nessuno l’avrebbe seguito su questa strada. Puntava invece a far capire che esiste una cultura diversa, una cultura della legalità e dell’onestà”. È con questo spirito che don Pino aiuta la gente bisognosa ad avere dignità: lavorando per non diventare manovalanza della mafia ed istruendo i più piccoli. A gennaio 1993 don Pino riesce a creare, grazie al proprio salario e alle lotterie della parrocchia, il centro Padre Nostro, diventato un punto di riferimento per molti giovani.
Il prete conquista tanta gente nel quartiere, che pian piano decide di non affidarsi più alla malavita. Organizza marce in ricordo delle stragi di Capaci e via D’Amelio dove riscontra molta partecipazione da parte degli abitanti di Brancaccio. Cosa nostra, però, non accetta la sfida alla sua autorità nel quartiere. Così dà inizio alle prime intimidazioni a padre Puglisi e ai suoi collaboratori: chiamate, lettere anonime, minacce, scritte sui muri, pestaggi e incendi. Il culmine arriva nel maggio-giugno 1993 quando sia don Pino che il vice parroco, Gregorio Porcaro, ricevono minacce personali, denunciate regolarmente alle forze dell’ordine.
Questo non riesce a fermare don Puglisi che continua ancora con più determinazione la sua lotta. “Mi rivolgo anche ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato – dice don Puglisi nell’omelia in ricordo della strage di Via D’Amelio – Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile. Perché non volete che i vostri bambini vengano a me? Ricordate: chi usa la violenza non è un uomo.
Noi chiediamo a chi ci ostacola di appropriarsi dell’umanità. E comunque facciamo sentire la nostra solidarietà e coloro che sono stati colpiti. Andiamoli a trovare a casa, rimaniamo uniti. Abbiamo avuto la conferma che tutto ciò voleva essere un avvertimento per il nostro operato. Ma noi andiamo avanti. Perché, come diceva san Paolo, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Il prete pian piano si rende conto di essere un condannato a morte e che presto Cosa nostra gli avrebbe fatto pagare il conto. Ai suoi collaboratori, preoccupatissimi, dice: “Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora?”.
Il sorriso della vita
Proprio il sorriso di Don Pino nel momento della sua morte ha fatto maturare al suo assassino, Salvatore Grigoli, la decisione di collaborare con la giustizia. Il killer ha raccontato l’esecuzione dell’omicidio e chi sono stati i mandanti ed esecutori. All’ergastolo per l’omicidio di don Pino sono finiti: i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, come mandanti, e come esecutori Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giaccone.
Mentre per Grigoli sono state considerate le attenuanti per aver collaborato. Grazie al sorriso di don Puglisi anche Spatuzza nel 2008 si è pentito, dando un contributo importante per l’accertamento della verità sulla strage di via D’Amelio. Nel 2006 i teologi consultatori della congregazione delle cause dei Santi hanno riconosciuto nella morte di padre Puglisi “i requisiti del martirio”, segnando una tappa importante nel processo di beatificazione del parroco. Quest’anno, Papa Francesco, nel giorno del 25° anniversario dell’assassino del parroco di Brancaccio, ha deciso di rendergli omaggio nella sua città.
Padre Puglisi è stato assassinato per aver concesso una via d’amore ai ragazzi di Brancaccio. Sulla lapide della tomba di don Pino nel cimitero di Sant’Orsola sono scolpite delle parole del vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
Fonte: Antimafia Duemila
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