Nome Molise, aggettivo franoso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Non di tutta la regione, ma la difficoltà per la prevenzione sta nel riconoscere quali sono le aree potenzialmente instabili.
A metà degli anni 80 la neonata Cittadinanzattiva avviò un progetto, che nel Molise venne sperimentato a Carovilli, di individuazione delle aree a propensione di dissesto attraverso la memoria della comunità e ciò anche al fine di stimolare la partecipazione delle persone al governo del territorio. Una diversa metodologia, sempre in assenza di una ricognizione sul campo, sarebbe potuta essere quella di rintracciare informazioni sui fenomeni franosi pregressi e quindi sulla potenzialità a frana di alcuni ambiti territoriali sugli organi di stampa del passato (la Biblioteca provinciale di Campobasso ha il catalogo microfilmato dei settimanali molisani alto-novecenteschi) e negli archivi storici, ma di ciò non si è mai parlato.
La prima cartografia, fatte salve le mappe geologiche le quali portano indicate le principali manifestazioni geo-morfologiche, sul pericolo di franamento è quella dei piani paesistici che risale alla fine degli anni 80. Essa non si basa sulla conoscenza delle situazioni di dissesto, bensì sui fattori predisponenti della sismicità alla pendenza del versante alla sua copertura vegetale alle caratteristiche meccaniche del terreno.
Si dovrà attendere circa 20 anni per avere con il progetto IFFI, acronimo che sta per Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia, il quadro, peraltro completo, degli episodi franosi verificatisi nella nostra regione; una radiografia accurata che ha pure il pregio di essere stata eseguita secondo principi di omogeneità e non come sommatoria di dati reperiti qui e là, in modo discontinuo. Verrebbe da pensare che vi sia una specie di complementarietà tra il metodo adottato nella pianificazione paesaggistica di stabilire quali superfici hanno la possibilità di essere minacciate da movimenti franosi e quello dell’IFFI che è, invece, di riconoscere solamente i suoli che sono oggetto di dissesto (o lo sono stati, le cosiddette frane quiescenti).
Nel frattempo si è avuto, siamo nel’anno 2000, il piano straordinario voluto dalle leggi «Sarno» prima e «Soverato» dopo con il quale sono state delimitate le aree a maggior rischio di frana, le famose R4, sulla base, dopo opportuni riscontri, delle segnalazioni pervenute dagli organi regionali e dalla Commissione Grandi Rischi riguardanti le principali emergenze idrogeologiche occorse negli anni precedenti. Si è detto di emergenze e siamo in una logica emergenziale, mentre l’approccio ordinario, quello disegnato dalla legge 183 del 1989 tarda ad affermarsi ed ancora oggi questo processo non è del tutto compiuto, ritardandosi l’approvazione dei piani di bacino.
In verità, si tratta non dei piani di bacino nella loro interezza, ma di uno stralcio che concerne l’Assetto Idrogeologico, da cui la sigla PAI. In questi strumenti di pianificazione è ricompresa un’ulteriore classificazione delle frane che, comunque, si serve del lavoro svolto per la compilazione dell’indagine IFFI. Finalmente, così, l’IFFI entra in campo ufficialmente, in qualche modo, nella salvaguardia del territorio. Un passo significativo in avanti rispetto al piano straordinario è che con il PAI vi è una copertura totale del territorio, non limitandosi alle precedenti R4 equivalenti per grado di pericolosità alle P3 (P = pericolo) dei nuovi piani.
Come si vede lo sviluppo degli studi sulla instabilità idrogeologica è stato notevole da quel lontano 1989 nel quale vennero redatti gli 8 piani paesistici molisani che, comunque, comprendevano solo il 60% del territorio regionale con l’altro 40% escluso da qualsiasi analisi sulla franosità. Rimanevano valide, vale la pena ricordarlo, gli ambiti rientranti nel vincolo idrogeologico le normative relative e nei comuni considerati Centri Abitati da Consolidare o Trasferire le specifiche normative di tutela.
Gli studi sul dissesto si incrementano in questo settore e non si limitano esclusivamente al progetto IFFI avviato nel 1977 e concluso nel 2007; si comincia con apposite linee guida formulate nel 1992 per la stesura della «carta della pericolosità geologica» all’interno del programma CARG per arrivare al recente «Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo» noto con la sigla Rendis. Nei fogli che sono alla scala 1:50.000, quindi con rappresentazione dei luoghi abbastanza dettagliata, della Carta Geologica d’Italia 2 dei quali, i fogli Trivento e Campobasso, riguardano il Molise che non è ancora interamente coperto da questa cartografia, vi sono indicati con degli speciali simboli i fenomeni geomorfologici.
I geomorfologi registrano sulle mappe i segni visibili dell’evoluzione del versante i quali, in qualche modo, possono essere considerati gli effetti del dissesto, ma poco ci dicono sulle cause dello stesso. La ricerca dei fattori capaci di causare una frana, in altri termini, è quanto si è proposto la pianificazione paesaggistica molisana. In effetti, gli specialisti impegnati in questa importante operazione ebbero pochi mezzi a disposizione, del resto gli unici a disposizione all’epoca, dovendo usufruire della carta IGM che è nel rapporto metrico 1:25.000 e risalente a diversi decenni prima perché la Carta Tecnica Regionale è del 1991 e conoscenze del substrato ricavate dalle pubblicazioni scientifiche, poche, e dalle ancora minori come quantità indagini sul campo esistenti.
La Litologia, vi è un apposito elaborato nei piani paesistici, non contiene, come si può riscontrare dalla legenda, tutte quelle informazioni indispensabili per stabilire la «pericolosità a frana» in modo sicuro, il grave compito assegnato ai geologi inseriti negli 8 gruppi di lavoro, una decina nel complesso, numero davvero basso per l’estensione del territorio da analizzare. Manca una dettagliata illustrazione per esempio dell’entità delle intercalazioni argillose presenti nelle arenarie delle più diffuse rocce qui da noi, la densità delle fratturazioni del suolo, il grado di coesione dell’ammasso roccioso, ecc. e, dall’altro canto, i Criteri per determinare la pericolosità idrogeologica fissati nelle Norme Tecniche di Attuazione non sono tanto rigorose contenendo un rinvio generico alle proprietà meccaniche del terreno.
Una delle concause precisate in tali Criteri è giustamente il terremoto e, in linea con il livello di approfondimento della sismicità raggiunto in quel periodo, questo parametro si riduce alla classificazione sismica dell’area, cioè Zona 1 o 2 mentre oggi sappiamo che gli eventi tellurici dipendono oltre che dall’accelerazione dalla successione stratigrafica e dal profilo topografico del sito i quali producono l’amplificazione della scossa. Ciò che colpisce, poi, è che i Criteri sono analoghi, poiché forniti in una direttiva dal Coordinatore prof. Nigro, in ogni piano compiendo così una generalizzazione che non si addice ad un territorio geologicamente disuniforme come il nostro in cui i fattori di instabilità sono diversi da luogo a luogo.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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