Processi d’invecchiamento e dignità della persona
di Umberto Berardo
L’invecchiamento della popolazione italiana vede un cammino sempre più in crescita con una percentuale degli ultra sessantacinquenni, già al 15% nel 1990, che è passata al 22% nel 2017 con un indice di mortalità pari al 10,1. Il basso tasso di natalità al 7,8 , la crisi economica e le nuove forme di emigrazione ne sono state in estrema sintesi le cause fondamentali.
In Italia dunque si vive di più con un’attesa nel Nord Est per gli uomini di 81,1 anni di vita media e per le donne di 85,6, mentre nel Mezzogiorno abbiamo 79,9 anni per i primi e 84,4 per le seconde. Il problema è che, a fronte del 3,1% dei danesi, da noi le difficoltà a vivere autonomamente per gli anziani sono mediamente del 30,3% , ma è una percentuale che sale gradualmente al 38% tra 75 ed 84 anni ed al 69,8% per gli ultra ottantacinquenni.
La speranza, ma anche la qualità della vita variano ovviamente in relazione ai territori e si abbassano sempre più dal Nord al Sud del Paese. Si assiste tra l’altro ad un’inversione di tendenza nel peso della popolazione dal Mezzogiorno al Settentrione. Con questo trend nel 2065 in Italia avremmo 53,7 milioni di abitanti dei quali il 71% risiederebbe al Nord, mentre il 29% al Sud con un’aspettativa di vita fino a 86,1 e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne.
Tra l’altro il picco d’invecchiamento porterebbe già nel 2045 gli ultra sessantacinquenni al 34% . In Molise nel 2017, su una popolazione di 310.449 , i ragazzi erano l’11,6% , gli adulti il 64,5% e gli anziani il 24% il cui indice di dipendenza strutturale superava il 55% . Nelle aree interne della regione abbiamo attualmente Comuni dove gli ultra sessantacinquenni superano il 50% dei residenti mentre l’indice di natalità non va oltre il 7%.
Questo progressivo invecchiamento della popolazione richiede ovviamente servizi sanitari e socio-assistenziali adeguati alle necessità. I servizi pubblici di assistenza continuativa sono per lo più di natura sanitaria mentre quelli di tipo socio-assistenziale, soprattutto in fase di quarta età, sono lasciati a badanti o case di riposo private con costi che non tutte le famiglie si possono consentire. La spesa pubblica, più che in servizi alla persona, va prevalentemente in trasferimenti monetari costituiti in gran parte da indennità di accompagnamento erogate dall’Inps per un importo di circa 515 euro mensili.
Già nell’ottobre del 1998 in uno studio, condotto insieme al dottor Cosimo Dentizzi e pubblicato sui “Quaderni della Solidarietà” della Caritas Diocesana di Trivento (CB) con il titolo “Anziani e società”, sottolineavamo per gli anziani in Molise la carenza di adeguati servizi sanitari territoriali e di tipologie residenziali e semiresidenziali leggere e diffuse nelle diverse comunità assimilabili ad alloggi protetti, ma soprattutto sollecitavamo la creazione di un’assistenza domiciliare integrata pubblica capace di lasciare persone non autosufficienti il più possibile nella propria abitazione e vicine ai propri cari.
Qualcosa da allora si è mosso in questa direzione, ad esempio con la creazione di centri diurni di assistenza ai malati di Alzheimer o a quelli oncologici, ma per il resto il cammino è ancora molto lento ed irto di difficoltà. Lo studio sopra citato, che in diverse analisi rimane a nostro avviso ancora pienamente valido ed attuale, sottolineava gli aspetti psicologici, medici e socio-politici della condizione degli anziani, ma delineava in particolare le vie per migliorare la loro qualità di vita.
Durante la vecchiaia giungono progressivamente a saturazione diverse facoltà di ordine intellettuale e psicologico come la capacità di accogliere e selezionare dati e ricordi nella memoria, di accettare ed utilizzare le novità tecniche e di acquisire nuove esperienze. Proprio in considerazione di tali ragioni, se vogliamo uscire da una logica puramente assistenziale nei confronti di chi vive la terza e soprattutto la quarta età, dobbiamo non solo ridurre i fattori che incidono negativamente sulla salute e sulle relazioni sociali migliorando la sanità territoriale con presidi attrezzati sul piano tecnico, medico ed infermieristico e riequilibrando situazioni di diseguaglianza esistenti tra le diverse aree, ma abbiamo la necessità di concepire una nuova forma di attenzione per gli anziani tutta incentrata sulla garanzia di una condizione di vita non emarginata, ma capace di assicurare loro pienamente i diritti fondamentali ad un’esistenza degna di questo nome.
Operare in tale direzione significa anzitutto eliminare ogni forma di segregazione psicologica ed umana per ridare vita di relazione ed un ruolo sociale a chi vive un’età avanzata immaginando che possa avere una funzione attiva nei diversi ambiti della vita comunitaria. Molto utile può essere in questa direzione il servizio civile e l’attività di volontariato di cui veramente c’è un gran bisogno soprattutto in un periodo in cui aumentano gli autori di truffe ed altri reati contro gli anziani.
La videosorveglianza può aiutare, ma occorre soprattutto una presenza di tutela umana che dia sicurezza, senso di fiducia ed amore. In ogni caso non daremo tranquillità alla vecchiaia se non assicureremo a chi la vive un reddito accettabile che non è certo quello delle pensioni minime attualmente erogate.
Al di là dei centri per anziani che sono un modo per trascorrere il tempo libero, chi vive la terza e quarta età ha bisogno di sperimentare opportunità alternative e nuovi ruoli sociali creativi e solidali con l’utilizzo anche dei recenti strumenti tecnologici, ma anche con la ricchezza del proprio patrimonio culturale e spirituale. Sono vie di un’inversione di tendenza indicate schematicamente, ma che non riusciremo a percorrere se non partiremo da un diverso rapporto culturale, relazionale ed umano con gli anziani che può nascere solo da un processo educativo nella famiglia e nella scuola.
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