La scala esterna dalla campagna trasmigra nel borgo
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È una tipologia caratteristica delle case rurali che però appare anche in aree urbane conferendo loro connotati di ruralità.
C’è stato uno scambio, in ambedue i versi, tra centro urbano e campagna per i modelli di edilizia residenziale. La dimora contadina isolata nell’agro ha quale caratteristica la presenza dell’elemento scala al suo esterno, ma questo stesso elemento appare pure negli agglomerati (vedi via Piccirilli a S. Massimo) edilizi per le residenze dei ceti popolari; si può immaginare che tale componente architettonica sia trasmigrata qui dalle zone agricole.
Infatti, per quanto riguarda quest’ultima annotazione, con la scalinata che antecede l’ingresso all’alloggio vi è un distacco tra l’intorno e la casa che sembra più proprio dell’ambito extraurbano, mentre in un aggregato abitativo i fabbricati, di regola, partecipano maggiormente a ciò che avviene al contorno, hanno un rapporto stretto con la strada contribuendo a determinare l’insieme urbanistico.
La tipologia architettonica con scala esterna, poi, è legata ad una netta separazione degli spazi per la vita familiare e quelli per le attività di servizio che in territorio agricolo sono anche stalla e, pertanto, si addice meno ai luoghi urbani dove, prospettanti sui percorsi cittadini, al piano terra si trovano negozio bottega e i vari accessori dell’abitazione sono direttamente accessibili da questa con collegamenti interni.
Vi è anche, ricollegandoci a quanto detto all’inizio, l’inverso, cioè che, in qualche caso, è la “città” ad influenzare il «contado» dal punto di vista dello stile architettonico: non è raro imbattersi nelle borgate rurali con costruzioni che avremmo potuto incontrare pure in paese aventi facciate ben composte con portone al primo livello al quale si sovrappone il balcone, una varietà di modanature, dalla zoccolatura alle cornici rilevate delle finestre, tutte cose ispirate quale remota «derivazione» e riprodotte in sedicesimo al «palazzo» rinascimentale.
Il contadino che intende assurgere, autorappresentandosi nella dimora in cui abita, al rango di «piccolo borghese». In un andare avanti e indietro torniamo alla scala esterna inserita nei contesti cittadini per far rilevare che essa quando c’è è sempre accostata alla parete e, quindi, allineata ai tracciati viari, a differenza di quanto accade nei comprensori agrari. In essi non è infrequente che la scalinata abbia l’asse perpendicolare al fronte del fabbricato, condizionando in questo modo, in modo forte, l’area antistante l’edificio, tanto tale superficie è destinata a corte in cui razzolano galline, maiali, ecc. a deposito temporaneo, a particolari lavorazioni, e così via.
Solo nei borghi è immaginabile che vi possa stare, l’unico esempio che si conosce è a S. Giuliano di Puglia, l’accoppiata di due scale esterne, a servizio ciascuna di una unità immobiliare, simmetriche fra loro e aventi il punto di partenza comune, disposizione che evoca qualcosa di aulico come potrebbero essere le due rampe che al pianerottolo intermedio si ricongiungono a formarne un’unica della scala a T. Si è passati, lo stiamo osservando, da un riferimento alla casa dei contadini ad un richiamo all’architettura colta, con un effetto, davvero spiazzante.
È ammesso credere che ciò sia frutto di un preciso disegno con il che si vuole dire non un accostamento di una scala all’altra nella maniera descritta avvenuto in epoca successiva, bensì un’immagine conseguenza di un’unica volontà espressiva; non è una fideistica convinzione perché la nostra tesi si appoggia sulla constatazione di un processo non infrequente di accorpamento di più corpi di fabbrica preesistenti per dar vita, meglio parlare di forma, ad un organismo unitario, come se esso fosse d’impianto. L’emergere della classe borghese a seguito dell’”eversione” del feudalesimo portò gli esponenti di tale ceto ad acquisire e fondere minuscoli episodi edilizi contigui, con o senza la loro demolizione, per costruire la propria residenza che doveva essere spaziosa.
Oltre che ampia l’abitazione doveva essere rappresentativa per cui si puntava a conferire l’aspetto a questo assemblaggio di pezzi di un fabbricato con una pianta organica (e non lo era in quanto, ad esempio, le varie porzioni che lo compongono potevano avere livelli o quote, sia pur di poco, differenti) e a nobilitarlo con un fronte configurato a mo di prospetto “palaziale” di quel palazzo della storia dell’architettura cui si è in precedenza fatto cenno. La soluzione a S. Giuliano di Puglia nell’episodio in questione, invece, è stata quella delle due scale identiche “a specchio”.
Nella dimora rurale la scala esterna conduce ad un ballatoio sul quale è posizionato l’uscio vero e proprio dell’alloggio; è utile rilevare che queste porte non sono sormontate da un arco in pietra nella cui chiave di volta sono incise le iniziali del proprietario e/o l’anno di costruzione e ciò si giustifica poiché quando l’ingresso è in quota è poco percepibile dallo spazio pubblico rendendo superflui i segni identificativi della famiglia. Il ballatoio sporadicamente serve due ingressi la scala esterna arrestando la sua corsa quando raggiunge l’accesso, per cui sarebbe meglio chiamarlo pianerottolo di smonto al posto di ballatoio se non fosse che nelle varianti più evolute di quest’ultimo esso è anche un momento di sosta all’aperto, magari coperto da una tettoia e nelle versioni ancora più ricercate da una loggia.
Il ballatoio pure quando prosegue un po’ superata la soglia della casa per permettere di godersi l’aria da parte di chi lì vive rimane un passaggio stretto, niente a che vedere, per fare una comparazione, e non solo per la lunghezza, con i loggiati veri e propri (e con i terrazzi qualora fosse scoperto). Di S. Giuliano abbiamo che entrambe le scale sono seguite da un ballatoio che tanto quello di destra, guardando frontalmente l’edificio, quanto quello di sinistra sono seguiti da un camminamento, non un semplice smonto.
Al lato sinistro esso è maggiormente esteso, comunque, con una sezione trasversale sempre ridotta, servendo due aperture e si conclude con un setto murario, che nel gemello non c’è, forato da una bucatura arcuata; questa consente la visione di uno squarcio del paesaggio perché questo punto coincide con il limite dell’abitato storico (come denuncia il muro a scarpa della parete con la quale il nostro setto è in continuità visibile nella mappa catastale e ora scomparso, indizio di una cinta difensiva).
Ciò spinge a pensare che doveva esserci una loggetta coperta la cui copertura era sostenuta anche da questo setto. In tale angolo è piacevole intrattenersi permettendo di ammirare un bel panorama. Lasciando da parte il confronto con la casa contadina e misurandosi con l’edificato urbano si riscontra che la loggia è collocata sul lato contiguo al giardino e mai, se non nel Palazzo della Ragione a Padova o a Vicenza, in quelli prospicienti le piazze per ragioni, innanzitutto di riservatezza e di tranquillità.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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