Le frane, un pericolo anche per il paesaggio
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sia i piani paesistici che i piani di assetto idrogeologico si occupano della franosità. Con metodologie, però, differenti.
I piani paesistici hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di supplenza in alcuni campi che sono da regolamentarsi con specifiche discipline. Tra queste normazioni che ancora non vengono varate si cita quale esempio quella relativa al Consumo di Suolo per la quale vi è un progetto di legge non ancora esaminato dal Parlamento: la nostra pianificazione paesaggistica sopperisce a questa assenza con apposite disposizioni riguardanti la produttività agronomica dei terreni.
Nelle aree a maggiore vocazione agricola è richiesto a chi intende costruire di dimostrare che l’intervento da realizzarsi non compromette la capacità produttiva della porzione di agro interessata per la quale è riconosciuto il valore colturale e ciò lo si fa attraverso la redazione di un elaborato denominato Verifica di Ammissibilità. Lo stesso vale o meglio valeva in un altro tematismo affrontato da questi piani che è quello della Pericolosità Geologica.
Per oltre 10 anni, quindi nel decennio che precede il nuovo millennio, l’unica individuazione delle zone instabili è quella contenuta nei piani paesistici e solo dopo il 2000 che si vara una nuova classificazione della franosità, limitata alle aree a maggior rischio, con i Programmi Straordinari che però hanno come dice il nome il carattere della straordinarietà. Forse per questa ragione essi sembrano essere affetti da una certa precarietà, mentre i piani paesistici rappresentano l’ordinarietà per cui le loro determinazioni in materia di frane permangono.
Lo stesso vale in qualche modo pure per i successivi Piani di Assetto Idrogeologico i quali rappresentano uno stadio dei futuri Piani di Bacino hanno anch’essi un connotato, per certi versi, di temporaneità. Infatti i Piani di Bacino dovrebbero essere lo strumento regolatore ordinario ed essi una specie di anticipazione dettata dall’urgenza di governare i fenomeni della franosità e dell’alluvione; rimane il piano pesistico l’unico atto di pianificazione ordinaria e ciò deve avergli dato forza tanto che le sue disposizioni sono sempre vigenti.
Di acqua, non ci stiamo riferendo solo al rischio idraulico, ne è passata sotto i ponti dal momento della redazione dei piani paesistici e di passi in avanti notevoli sono stati fatti nella perimetrazione degli ambiti a rischio. Vi è stato in primo luogo il progetto IFFI (Inventario Fenomeni Franosi in Italia), un indagine capillare e davvero decisiva sulle frane esistenti sul quale è basato il PAI. Nello stesso periodo si è avuto lo Studio del Rischio Idrogeologico della Regione Molise del 2001 commissionato alla società Enoprogetti e Finanza e la nostra regione è rientrata anche nel Progetto AVI (Attività Vulnerate da calamità idrogeologiche) del CNR – Gruppo Nazionale di Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche.
Dunque, avanzamenti notevoli rispetto all’unica documentazione rappresentativa della situazione idrogeologica che è su base catastale, risalente ai primi decenni del secolo scorso, preesistente ai piani paesistici, che sono la lista delle Particelle e Fogli di Mappa riconosciute a Vincolo Idrogeologico. Ben poco era a disposizione dei redattori dei piani paesistici per delimitare le zone a possibile dissesto operando esclusivamente con i 5 Fogli della Carta Geologica d’Italia (è alla scala 1:100.000, mentre le nuove carte, finora ne sono uscite 2, sono a scala più dettagliata, 1:50.000).
Non vi erano neanche carte tematiche a disposizione e la cartografia geolitologica è stata elaborata dopo gli anni ’90 per conto dell’Assessorato all’Agricoltura la quale va intesa quale approfondimento della corrispondente Tavola di Analisi contenuta nei piani paesistici. Si è lavorato con lo stereoscopio utilizzando le foto aeree del 1954 e non con quelle del volo del 1992 che, ovviamente, ancora non c’erano, così come non c’erano perché molto successive le ortofoto aeree dell’AIMA.
Si riesce a comprendere da questa disamina che i dati in possesso dei geologi inseriti nei gruppi di progettazione degli 8 piani paesistici erano inferiori a quelli che sono serviti per la compilazione del Rischio Frana nel PAI. In comune, è interessante rilevarlo, i piani paesistici, il PAI e il Programma Straordinario hanno la scansione della pericolosità in più fasce (nel Programma Straordinario si è limitata a quella più elevata) e quale prima osservazione da farsi è che mentre nel Programma Straordinario e nel Piano di Assetto Idrogeologico nelle aree a maggior pericolo idrogeologico si consente l’edificazione di opere pubbliche «non delocalizzabili» nel piano paesistico ciò non avviene.
Un’altra differenza tra i PAI e la pianificazione paesistica apparentemente terminologica e che, invece, si ritiene sia sostanziale è che negli ambiti di minore pericolosità idrogeologica per poter costruire o meno l’opera nel PAI è richiesta la presentazione dello Studio di Compatibilità Idrogeologico e nei piani paesistici è necessario produrre la Verifica di Ammissibilità Geologica.
La sostanzialità è connessa al fatto che quest’ultima per la medesima particella interessata dal potenziale dissesto è obbligatoria non per tutte le categorie di intervento, bensì esclusivamente per alcune, mettiamo per una strada sì e per una casa no (e ciò va inteso che per la casa è consentita), si è stabilito in questo modo, sempre che ciò venga confermato dalla prescritta VA geologica, che vi sono interventi accettabili, lo si ripete in prima battuta, altri che possono realizzarsi liberamente, ma anche che ve ne sono alcuni, quelli di maggior impatto, esclusi.
Esclusione che vige per gli areali a Pericolosità Geologica Eccezionale, analogamente a quanto fissato dai PAI per le aree P3. È da aggiungere che i nostri piani paesistici, sono dei piani che si propongono di indicare le «condizioni» per le trasformazioni territoriali e non una pianificazione che persegue il disegno dell’uso del territorio, da cui ne discende che vi saranno successivi strumenti pianificatori, prendi i PRG, i piani di bacino, ecc., nel rispetto delle «invarianti» dettate dal piano paesistico, a determinare l’assetto insediativo.
Neanche è contemplata nella pianificazione paesistica molisana la possibilità che attraverso i programmi per la riduzione del dissesto si abbia facoltà di eliminare le situazioni di rischio idrogeologico, rendendo così superflue le VA Geologiche e, magari con azioni davvero consistenti, superare i vincoli di inedificabilità assoluta.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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