Un fiume “minore” nato da monti “minori”

È il Tappino che non è un vero e proprio fiume perché affluente del Fortore che nasce da montagne, Montevairano, Monteverde e m. Saraceno in media al di sotto dei 1000 metri.

Il Tappino nasce non dall’Appennino come invece avviene per il Biferno e il Volturno, ma analogamente al Trigno da un gruppo montuoso che lo precede che nel caso di quest’ultimo fiume sono i rilievi di m. Capraro e m. Miglio, il quale divide il suo bacino da quello del Vandra. Il Tappino (e di lì a poco il Fortore) trae origine da una sorta di collana di montagne di media altezza, supera i 1000 metri solo m. Saraceno, m. 1086, che antecede la catena appenninica la quale qui è rappresentata dal Matese: tale, per così dire, antiappennino per taluni prende il nome di Monti del Sannio, termine che si giustifica perché comprende emergenze montane sulle cui cime ci sono importanti fortificazioni sannitiche, da quella, la principale e la prima, di Montevairano, passando per quella di Monteverde al citato m. Saraceno.

Questa serie continua di groppe si distingue dal massiccio del Matese non solo perché non è sulla dorsale appenninica, bensì ben all’interno verso l’Adriatico (anche se, bisogna dire, sulla linea mediana della Penisola, mentre il Matese è spostato ad ovest, e fungendo allo stesso modo del Matese da spartiacque tra i due mari, in quanto dal nostro sistema montuoso intermedio trae origine pure il Tammaro (che è un corso d’acqua tirrenico) ma pure poiché il suo substrato geologico è un miscuglio di calcareo, argilla e arenaria, mentre quello matesino è di natura eminentemente carbonatica. Anche le altitudini che raggiungono sono ben differenti, raddoppiandosi mediamente nel caso del Matese. Quale ultima distinzione si rileva che a differenza del massiccio matesino che forma una ideale linea dritta e senza interruzioni significative, la congiungente tra Montevairano, Monteverde e m. Saraceno ha un andamento sinuoso ed è interrotta da valli (quella delle sorgenti del Tappino tra le propaggini di Montevairano e Monteverde, quella dove sta il crocevia delle «quattrovianove» tra quest’ultimo e il colle della Castagna che è la prosecuzione di m. Saraceno).

In definitiva, un sistema di piccoli monti indipendente dal baluardo, è proprio questa l’immagine del Matese, di spartiacque principale. Quindi il Tappino per via delle quote limitate delle montagne dalle quali deriva, condizione non adatta per avere una copertura nevosa abbondante e persistente a lungo, tale da garantire una copiosità e, nello stesso tempo, una costanza durante l’anno delle acque che vi scorrono, presenta un carattere torrentizio. A mitigare la variabilità della portata vi è, comunque, la notevole estensione dei boschi che rivestono i versanti di queste formazioni montuose, davvero inusuale specie nelle loro fasce altitudinali più basse. Vi è una maggiore corrente idrica, trattandosi, ad ogni modo, di un’asta fluviale proveniente da una zona montana, al momento dello scioglimento delle nevi  e si incrementa lungo il suo cammino per l’apporto di corpi idrici minori, dal Carapelle al Succida. Per via anche di questi contributi degli affluenti durante il suo lungo precorso e perciò, per l’ampiezza del suo bacino di alimentazione che, lo si ripete, non è costituito solo dai rilievi montuosi da cui proviene, il Tappino acquista nel suo tratto terminale le sembianze di un vero e proprio fiume tanto che è difficile stabilire se è esso a confluire nel Fortore o viceversa. Pur non sfociando nel mare, bensì in un’altra asta fluviale, possiamo legittimamente ritenere il Tappino, e tale è nella coscienza popolare, un fiume. Prima di raggiungere il Fortore al ponte dei Tredici Archi, la sua vallata, fino ad allora angusta, si allarga dando luogo ad una piana alluvionale in cui si è insediato un Piano di Insediamenti Produttivi in località che identifichiamo con il nome di un esercizio alberghiero, La Rondine.

In altri termini l’elemento morfologico pianura si addice ad un fiume, piuttosto che a un torrente. Il Tappino attraversa una teoria di colline che degrada verso due direzioni, nello stesso tempo, verso il mare e verso il Tavoliere (il ponte 13 Archi è a confine con la Puglia) e ciò conferma l’essenza del Molise, almeno di quello interno, di essere un paesaggio di transizione: nel nostro tratto dalla barriera appenninica alla striscia litoranea e dal mondo dei solchi vallivi trasversali alla costa che connota le regioni adriatiche della parte centrale dei Paese, Marche, Abruzzo e quella molisana, alle vaste distese pianeggianti pugliesi. Proprio per tale suo andamento il Tappino è costeggiato dal tratturo, il Castel di Sangro-Lucera, subito dopo essere entrato dentro l’abitato di Campodipietra animandone la vita in occasione, due volte l’anno, del passaggio della transumanza. La pista tratturale segue, pressappoco, il fiume fino al ponte dei 13 Archi. C’è un punto singolare lungo questo tracciato, a ridosso immediatamente del fiume, che è la Taverna di Pietracatella. Essa è un interessante esempio di architettura fortificata, è quasi all’incrocio tra questo antichissimo nastro erboso e un’importante itinerario viario che deve essere anch’esso di origine assai remota, poi diventato una strada statale riconoscendone lo Stato il ruolo di infrastruttura di comunicazione principale, essa collega la valle del Biferno al valico di Vado Mistongo comune di Riccia e di qui al beneventano.

Ci troviamo in coincidenza del ponte vicino alla Rondine, un altro a molteplici arcate (non 13!) ed in quanto ad elementi stradali aerei qui vi sono varie tipologie: quella, appunto, ad archi regolari, quella, particolarmente bella, a «schiena d’asino» a Toro alla quale si è affiancata una, in tempi recenti, paradossalmente per salvaguardare la prima, a tubi armco, particolarmente brutta, fino ai viadotti della superstrada del Tappino segni, come si conviene alle moderne infrastrutture di trasporto, molto forti nel contesto paesaggistico. Viene da osservare che, tutto sommato, gli attraversamenti del Tappino sono pochi e, di conseguenza, che i legami tra i paesi posti sui due diversi lati sono (erano?) scarsi. Questo fiume non riusciva ad essere il fulcro dell’organizzazione insediativa; vi sono centri, Monacilioni e S. Giovanni in Galdo, molto distanti dall’alveo fluviale e il secondo dei due si può definire in seconda fila poiché addirittura separato da esso da un altro territorio comunale, quello di Toro dal quale lo separa il Torrente Fiumarello che non è ortogonale al Tappino, ma parallelo.

Nei nomi dei Comuni non c‘è la parola Tappino a rivelare il non riconoscersi delle comunità in esso, mentre il richiamo al fiume comincia a comparire in alcune iniziative produttive collocate nel fondovalle, la Cantina Val Tappino e la fabbrica di prefabbricati cementizi anch’essa Val Tappino.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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