Il tratturo Celano-Codacchi-Foggia

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Codacchi di Trivento è un punto significativo di questo percorso tratturale perché è un insediamento abitativo sorto sul suolo demaniale.

Codacchi spinge a parlare di migrazioni che oggi si direbbero per ragioni economiche. La storia di questa borgata si lega a due diversi tipi di fenomeni migratori, l’uno è quello della transumanza, l’altro è quello dei boscaioli. Per quanto riguarda quest’ultimo va precisato che si tratta, nello stesso tempo, sia di tagliatori di legna (boscaioli propriamente detti) sia di carbonai i quali trasformano quella legna in, appunto, carbone. Se è risaputo che il transumare è una forma, seppure sia previsto il ritorno alla terra d’origine con cadenza periodica, di nomadismo non si collega immediatamente l’attività del taglio dei boschi con un movimento nomade.

Eppure, quando si è di fronte a grandi distese boschive da tagliare come nel caso dell’area in cui ricade Codacchi, fatto che approfondiremo in seguito, avviene, evidentemente, uno spostamento di persone per effettuare tale taglio che non sono, per lo più, del posto; se la superficie forestale è assai ampia essa si fraziona in più pezzi dimensionati in relazione alla capacità di taglio, in genere, di un anno. È da sottolineare che mentre i pastori effettuano la transumanza senza portare con sé la famiglia i boscaioli, invece, si muovono insieme al nucleo famigliare perché la permanenza nel luogo dove si svolge il proprio lavoro si prolunga per alcuni anni, non avendo il carattere di stagionalità della pastorizia transumante.

Il boscaiolo inteso come operatore specializzato non può avere una base fissa poiché, prima o poi, gli appezzamenti boscati da tagliare si esauriscono. La medesima cosa vale per il carbonaio il quale, se non è egli stesso boscaiolo, è strettamente «imparentato» ad esso. I carbonai hanno una vocazione più accentuata dei pastori a muoversi facendo essi degli spostamenti che prevedono il ritorno, annualmente, al punto di partenza, una andata e ritorno, tanto se la migrazione è a lungo raggio, la transumanza, quanto a corto, l’alpeggio.

A Codacchi si sono insediati stabilmente i boscaioli-carbonai e non i transumanti che percorrevano il tratturo Celanio-Foggia sul cui suolo sorge l’abitato di questa popolosa frazione di Trivento. Tutto è partito con la fine del feudalesimo agli albori del XIX secolo quando l’Università dei Cittadini entrò in possesso, per via della soppressione del vecchio regime, della metà del feudo: il Bosco di Trivento (la denominazione della località è indicatrice dell’ampia estensione del terreno boscato) venne suddiviso, in parte, in appezzamenti assegnati agli abitanti che li disboscarono e li riconvertirono in suolo agricolo.

C’è una strada rettilinea che conduce da Codacchi a Quercia Piana, strada che delimita, costituendo una cesura netta, la massa boscosa dai campi coltivati. Essa ha un nome, fatto strano per un percorso viario e già ciò è significativo, il quale è «strada dei lotti» in quanto è l’asse su cui si è impostata la quotizzazione dell’agro, una volta che, lo si ripete, si è eliminato il bosco. La restante porzione di questo “latifondo” arboreo ex-feudale rimane al Comune che lo governa a fustaia per cui oggi c’è una splendida cerreta; per inciso è utile evidenziare che tale modalità di gestire è tipica del patrimonio forestale pubblico essendo più interessante per i privati il ceduo che consente di ricavare guadagni in tempi ravvicinati, potendo tagliare le piante ogni 20 anni e non 80 come nell’alto fusto.

Non è solo nell’agro triventino che si è verificato tutto questo come denunciava nell’800 Vincenzo Cuoco il quale lamentava l’eliminazione del manto vegetale quale causa del dissesto idrogeologico, come puntualmente è avvenuto anche qui. La crescita demografica registrata nella seconda metà del XVIII secolo ha imposto, purtroppo, la riduzione a coltura delle aree boscate. In seguito, la spinta al disboscamento è stata determinata dalla domanda di carbone per alimentare le locomotive ferroviarie ed a Codacchi giunsero molti carbonai dall’Irpinia.

Le loro mogli fino a qualche decennio fa vestivano con abiti vistosi e parlavano un dialetto diverso da quello locale, di impronta napoletana. La tutela del patrimonio boschivo ha preso avvio nel periodo fascista (il regio decreto n. 3267 del 1923 è la prima normativa forestale) durante il quale al posto di tagliare i boschi per recuperare parcelle per l’agricoltura si procedette alla bonifica dei terreni di pianura (nel Basso Molise); nel “ventennio” piuttosto si effettuarono rimboschimenti («i boschi dell’Impero»). I carbonai da nomadi divennero, progressivamente stanziali e le loro capanne precarie poste sul tratturo acquisirono man mano i connotati di manufatti stabili, sostituite come furono da edifici in muratura.

Sul tratturo per sfruttare oltre la disponibilità del suolo, che è pubblico (res communis equivale spesso a res nullius di nessuno), anche la coincidenza tra dorsale e percorso tratturale, la quale è la situazione morfologica migliore rispetto al problema delle frane. In più, bisogna sottolineare che sui tratturi non passava più la transumanza abrogata anch’essa durante il mitico «decennio francese» e, pure quando era attiva essa, in effetti, impegnava poco la pista tratturale limitandosi il passaggio delle greggi a 2 volte l’anno.

I tratturi, ad ogni modo, pure in seguito sono rimasti oggetto di protezione con le varie Reintegre, l’ultima delle quali è del 1884, mentre il Commissariato per la Reintegra che aveva sede a Foggia fu costituito successivamente, nel 1908; si trattava dei tratturi principali tra i quali c’è il Celano-Foggia che attraversa Codacchi mentre per gli altri si ha la sdemanializzazione.

Il tratturo deve essere una presenza ingombrante sul territorio se tanti vogliono assottigliarlo: a Codacchi abbiamo visto che sono i carbonai a installare le proprie case sul suo tracciato, altrove la competizione dei transumanti è con gli agricoltori che tendono ad occuparlo. Eppure è una fascia di terreno in fin dei conti, in confronto al resto della campagna, stretta essendo un nastro di sezione di 111 metri al massimo, non appariscente poiché non è un manufatto fisico, ma comunque ancora “appetibile” se si pensa che viene considerata la principale risorsa turistica della regione. Codacchi va, pertanto, riqualificato mettendo in evidenza le tracce residue del tratturo.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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