Territori e potere a Termoli
di Luigino Vitulli
La nostra città, Termoli, proprio per la sua conformazione e configurazione recente, è descritta, interpretata, vissuta con molteplici sentimenti. Questo scritto si propone di aprire una discussione sul blog della nascente sinistra termolese proprio tra queste varie sensibilità. Dopo la costituzione della regione Molise 1963 e l’impetuoso sviluppo economico sulle coste dell’Italia, Il borgo marinaro di Termoli, unico sbocco a mare dell’intera regione non poteva che essere investito da questi due fattori strutturali di crescita , uno economico l’altro amministrativo, che imprimeranno e costituiranno il suo destino futuro.
Il ”paese” Termoli in questi ultimi 56 anni, con alterne vicende, ma con un filo NERO che lo caratterizzerà e definirà fino ai nostri giorni, divorerà il suo striminzito territorio e le sue caratteristiche urbanistiche attraverso una speculazione edilizia che può essere definita in un solo modo e solo con una parola: predatoria. Il territorio demaniale, agricolo, i palazzi storici e l’architettura che lo caratterizzavano nel suo insieme si trasformeranno in prede, in appetiti inconfessati di consorterie affaristiche che guardano con sospetto qualsiasi ipotesi progettuale e di pianificazione razionale e di salvaguardia della bellezza del luogo. Persino il rapporto tra paese e il suo mare viene non solo stravolto ma confiscato. Le varie amministrazioni che si susseguono al ”comando” della nascente città, governeranno privilegiando questi processi predatori, di più, di volta in volta attraverso strumenti in deroga al piano regolatore (riclassificazioni, accordi di programma ecc.. ) gli daranno anche una parvenza di legalità.
Fare degli esempi di questa catastrofe urbanistica e territoriale è semplice, basta ricordare l’ abuso edilizio in Rio Vivo – Marinelle, l’ubicazione della zona artigianale su uno dei promontori più affascinanti dell’Adriatico, la creazione di nuovi quartieri concepiti solo come depositi umani, il disfacimento del centro Ottocentesco attraverso la costruzione di palazzi- alveari avulsi dal contesto architettonico della città, il massacro del porto attraverso interventi tampone o estemporanei (vedi la nascita dei cantieri navali), l’apertura abnorme di centri commerciali che hanno minato alle fondamenta il piccolo commercio diffuso nel centro cittadino e svilito la sua nascita in periferia, la confisca di sette chilometri di spiaggia sul lato nord della città e consegnate ai privati a loro esclusivo uso e consumo e non ultimo, aver consentito nel nucleo industriale l’atterraggio di fabbriche chimiche pericolose e inquinanti oltre a non avere avuto nessuna idea di un piano industriale che sviluppasse l’intero territorio basso-molisano integrandolo con le sue specificità.
Questo disastro ambientale, paesaggistico, urbanistico, o di un altro possibile futuro economico e culturale che rispettasse il suo territorio e le sue peculiarità è stato definito impropriamente “sviluppo”. Come ho tentato di spiegare in precedenza, i due fattori strutturali dell’autonomia regionale e dello sviluppo economico inevitabile su tutta le coste italiane avvenuti nei primi anni 60, sarebbero stati comunque fautori e portatori di una crescita in tutti i comparti economici di Termoli.
Quello che è stato deleterio per la città è stata la non scelta di una pianificazione urbanistica che salvaguardasse i luoghi, una non scelta delle priorità di indirizzo di sviluppo economico che valorizzasse le potenzialità e le particolarità dei territori, si è volutamente lasciato libero il campo a qualsiasi ipotesi di intervento speculativo in tutti i settori economici, ma in particolare in quello edilizio e urbanistico vera preda da spolpare compreso le sue ossa. Questo processo disordinato e speculativo, negli anni ha portato in alcuni ambiti sociali ed economici fiumi di denaro e flussi di ricchezza pubblici e privati, che guarda caso non hanno arricchito culturalmente e civilmente la città ma hanno creato un costume sociale refrattario, comportamenti civici disattenti, individualismo esasperato in un corpo sociale inesistente.
Questo sistema entra in crisi nel 2006, sotto la spinta di una insorgenza civica che prende coscienza di questo disastro e chiede una svolta. Esempio ne sono la lotta alla centrale Turbogas, la preoccupazione crescente da parte dei cittadini della salute pubblica, la nascita di comitati civici che si formano e strutturano sui più svariati problemi cittadini, per la prima volta si sente l’esigenza di una pianificazione urbanistica della città attraverso l’organizzazione di dibattiti e assemblee ecc.. Per la prima volta la sinistra alle elezioni politiche di quell’anno prende il 52%.
Si crede ad una svolta radicale ma le cose andranno diversamente. Un gruppo di potere già in formazione prende le redini del centro sinistra termolese è impone tramite la figura di Greco la sua leadership alle elezioni amministrative di quell’anno. Vinte le elezioni, In un primo momento questo gruppo asseconda tutte le istanze e la progettualità di quella insorgenza civica tanto da averle fatte proprie nel programma elettorale condiviso.
I punti qualificanti di quel programma ruotavano su tre progetti amministrativi qualificanti: 1 urgenza di una pianificazione urbanistica generale, 2 istituzione dello strumento referendario, 3 sperimentazione del bilancio partecipato. Nel giro di poco tempo quell’amministrazione non solo tradirà quelle richieste ma vi si opporrà con tutte le sue forze facendole naufragare miseramente. Blinderà il comparto dell’urbanistica in modo autoritario, aprirà a lottizzazioni al di fuori di qualsiasi progettazione urbanistica generale, si opporrà a qualsiasi ipotesi di istituzione dello strumento referendario motivandolo con un giudizio balordo, i cittadini di termoli non erano maturi per quello strumento…
Praticamente, avvierà un’amministrazione della città in continuità perfetta con quel filo NERO predatorio del territorio che ho descritto in precedenza. Si può dire che l’amministrazione Greco fu una vera e propria restaurazione del passato, se non peggio. Voglio ricordare che in quell’amministrazione Sbrocca era il presidente della TUA, strumento ideato da Di Giandomenico che gli consentiva di intervenire nell’economia termolese e non solo, con il connubio verticistico e autoritario tra pubblico e privato.
L’amministrazione Sbrocca non farà altro che affinare questo modo di governare, istituzionalizzando lo strumento della “urbanistica contrattata” che prevede solo due attori sulla scena, l’amministrazione e il privato, come unico metodo di intervento su tutti i comparti economici pubblici della città e di fatto privatizzando terreni, mense, cimitero, acqua, cultura, servizi, vendita delle scuole ecc… un vero e proprio esproprio da parte dei privati del bene comune. Praticamente e teoricamente la giunta Sbrocca consegna ai privati su un piatto d’oro tutto il patrimonio pubblico della città attraverso una trattativa esclusiva tra amministrazione e il singolo privato, tagliando fuori da qualsiasi decisione il parere dei cittadini.
Da questo punto di vista l’esempio del progetto “pornografico” del tunnel e annesse strutture private è sconcertante. Ancora più sconcertante è aver negato per due volte il referendum popolare sull’opera. Una perfetta linea NERA lega le giunte Sbrocca e Greco con tutte le precedenti amministrazioni. Tanto da far venire il sospetto che questo gruppo di potere che si è insediato al comando della città nel 2006 abbia delle alleanze politiche inconfessate.
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