Dissentire: il primo passo per tornare ad essere sinistra

di Marcella Stumpo

“…il territorio appartiene, a titolo di sovranità, al popolo, e di conseguenza è al popolo… che spetta il potere sovrano… di stabilire le relative modalità di gestione”. Paolo Maddalena

Ritornando con un minimo di consapevolezza storica a percorrere le vicende della nostra città negli ultimi venti/trent’anni, balza agli occhi il filo rosso che ha legato amministrazioni di segno (apparentemente) diverso, o come tali presentatesi ufficialmente alla cittadinanza: la predazione del suolo e dei beni comuni. L’urbanistica, da sempre e per ovvie ragioni motore di quello che ancora oggi viene definito “sviluppo”, è stata costantemente il terreno dell’affarismo, fino agli ultimi notissimi fatti; ma l’urbanistica nasce come costruzione collettiva per eccellenza, strumento principe della costruzione di comunità; e in nessun luogo al mondo questo è stato più evidente che in Italia, dove regioni intere nei secoli passati sono divenute immagine di una meravigliosa fusione tra natura, paesaggio e identità collettiva.

Purtroppo negli anni si è perso quel senso di appartenenza che il volto di una città incarna concretamente, e il desiderio di profitto, complici leggi sciagurate e modifiche di titoli della Costituzione, ha pian piano consentito a generazioni di palazzinari di impadronirsi del bene comune più archetipico: il territorio. Ma se fino a quarant’anni fa o giù di lì non c’era consapevolezza diffusa del concetto di cittadinanza come collettività portatrice di diritti comuni, ora avremmo le conoscenze e la sensibilità per fermare questa predazione, che invece va avanti con la complicità di amministratori incoscienti o conniventi, in tutto il paese.

Termoli però, oltre ad aver subito per mano di successivi governi speculazioni di ogni genere, ha ora il privilegio assai dubbio, confermatoci dal famoso urbanista Paolo Berdini in un recente convegno, di aver attirato su di sé l’attenzione di molti esperti del territorio, per l’operazione Tunnel (o “Grande Scempio” che dir si voglia), che rappresenta l’estremizzazione del processo di privatizzazione dilagato in Italia. Siamo per così dire l’apripista di ciò che di peggio si sta escogitando nell’intero paese per impadronirsi dei beni comuni.

Con il mantra del “non abbiamo soldi”, diffusosi a macchia d’olio dopo i tagli ai finanziamenti pubblici ai comuni, si giustifica qualsiasi esproprio della proprietà pubblica, decantando gli immensi vantaggi dell’alleanza con il privato, salvifico operatore di beneficenza: ma come si chiedeva Marco Bersani nell’assemblea sul debito ingiusto la settimana scorsa, da quando gli imprenditori hanno sviluppato questo incredibile spirito benefattoriale? Dobbiamo ancora accettare acriticamente la stucchevole teoria del “Privato è bello, Pubblico è inefficiente” , nonostante le continue smentite che la realtà dei fatti ci mette sotto gli occhi?

Quando un sindaco afferma sfacciatamente “Non credo nel pubblico”, come ha fatto il nostro attuale amministratore riguardo alla ripubblicizzazione del servizio idrico, massicciamente richiesta dai cittadini nel referendum del 2011, siamo alla chiusura del cerchio: chi per compito istituzionale dovrebbe tutelare e difendere i beni comuni assume invece su di sé un ruolo completamente diverso. Ed in effetti le successive mosse dell’amministrazione sono state coerentissime con questo assunto: finanza di progetto a gogò (fino alle tombe!) ed edilizia contrattata come se piovesse.

Come ha spiegato in modo chiaro il Professor Berdini, ciò è potuto accadere anche grazie all’innegabile processo di abbandono dell’urbanistica pubblica, cancellata da 25 anni; e al fatto che i piani regolatori, conseguentemente, non sono più stati redatti in modo stringente, per tutelare i territorio, dai comuni. E come dimenticare che il Molise, appunto, non ce l’ha proprio, una legge urbanistica regionale? In deroga agli strumenti urbanistici esistenti (o non esistenti) si continua a consumare suolo.

D’altronde, il pensiero liberista sposato ormai ufficialmente anche dalla cosiddetta “sinistra” italiana (o meglio centrosinistra) e accettato da Comuni divenuti complici, grazie anche alla legge Bassanini, ha bisogno di un modo di produzione che non può avere a cuore la cura dei luoghi, ma solo il profitto privato degli investimenti. Un principio astratto, dunque, non organico, non umano, che autorizza il profitto sopra ogni cosa, compresi gli organismi viventi e i loro luoghi identitari.

È per questo che diventa indispensabile, se si vuole come noi rimettere insieme le anime disperse di una sinistra diversa e non confondibile con altro, ripartire dall’urbanistica: quella partecipata e condivisa con i cittadini, quella che ne ascolta la voce e chiama al confronto, quella che rifiuta l’abbraccio mortale del privato, capace di trasformare un Comune in una maldestra impresa finanziaria costruita con chi non ha ovviamente alcun interesse ad allargare i servizi pubblici. E diventa indispensabile chiederci, specie sotto elezioni, di chi è la città, e di chi è il diritto alla città.

Perché si può e si deve dissentire dalla narrazione che tentano di imporci, e costruirne una diversa; si può e si deve difendere e recuperare la bellezza. Invece di delirare sui nuovi millenni di modernità che attenderebbero Termoli, dobbiamo condividere da cittadini un percorso di formazione che porti alla consapevolezza che il territorio, bene di tutti, può essere governato e trasformato, tenendo però presente il risultato finale: quello di uno spazio aperto pubblico includente, e per tutti accogliente che non veda distrutti i suoi tratti identitari per il profitto di pochi.

Dissentire per creare coscienza; per attuare finalmente quella democrazia partecipata che era stata inserita nei punti del programma elettorale dell’amministrazione Greco, e che fu di fatto impedita, fino ad arrivare alla indegna negazione del referendum sul tunnel. Democrazia, bilancio e urbanistica partecipata che non hanno nulla in comune con il populismo dilagante che si affida all’uomo solo al comando, ma ne sono l’esatto contrario: costruzione e condivisione di obiettivi comuni che restituiscano la città ai cittadini, riconoscendone e difendendone la natura pubblica che non può essere mai trasformata in merce.

Fonte: Rete della Sinistra Termolese

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