Autonomia sì, ma solo per i ricchi
di Valentina Petrini
Il governo cadrà sul caso Diciotti? I dossier bollenti sono solo la contrazione del Pil e rischio manovra bis, la Tav e l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini? Senza dubbio sono tutte e tre spine nel fianco del governo del cambiamento. C’è, però, anche un altro tema decisivo da cui dipende il futuro del governo Lega-M5S. Si chiama “autonomia differenziata per tre regioni del Nord: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna”, ed è una partita che la Lega vuole chiudere entro il 15 febbraio. Se così non sarà, le conseguenze potrebbero essere ben più pesanti per il futuro del governo in carica, di quelle che si determinerebbero se il movimento votasse Sì all’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini.
È da settembre scorso che seguo con attenzione e passione il tema dell’autonomia differenziata chiesta dalle tre regioni del Nord. Perché sono orgogliosamente italiana, pugliese, tarantina e meridionale; perché ritengo centrale l’unità nazionale e il rispetto della Costituzione; infine, perché m’incuriosiscono sempre i temi e le riforme che non trovano largo spazio di approfondimento e che, quindi, restano appannaggio di piccole nicchie.
Già! Anche se ultimamente di autonomia si parla un po’ di più, l’argomento resta tabù. Dite la verità: chi di voi sa di cosa sto parlando? Chi di voi ha capito quali saranno le conseguenze per il Sud e per l’Italia se questo tipo di autonomia dovesse passare così come si sta delineando? Mentre noi siamo impegnati a scoprire chi vincerà Sanremo, mentre seguiamo la querelle del voto per l’autorizzazione a procedere chiesta dai magistrati per Matteo Salvini, mentre siamo distratti dalle prove di forza contro navi delle ong bloccate in mare per giorni senza poter attraccare, l’Italia sta per cambiare pelle e gli italiani non stanno partecipando a questo dibattito.
Tutto si sta decidendo da mesi nelle stanze chiuse dei ministeri. Nel silenzio generale del Sud (a parte piccole eccezioni, che comunque non hanno raggiunto il grande pubblico) e con un protagonismo tutto del Nord. Il vicepremier, Matteo Salvini, si è impegnato in prima persona. È la sua partita più importante, altro che immigrati o Tav. L’indipendentismo padano è il sogno nel cassetto della Lega Nord di Umberto Bossi sin dagli anni Novanta e, mai come in questo momento, la Lega è vicina a realizzarlo (o almeno in parte).Per capire che non stiamo scherzando, basta dare uno sguardo alle dichiarazioni del governatore del Veneto, Luca Zaia: “Autonomia questione di vita o di morte”. Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana: «Vogliamo l’autonomia prima delle elezioni europee o addio Governo. Di compromessi continui si muore».
Persino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, di solito silenzioso e defilato, giorni fa a Bergamo alla festa della Lega lombarda ha dichiarato: “Se non dovesse passare l’autonomia regionale come la chiediamo noi, io mi ritirerei dal governo. Restarci non avrebbe senso”. Ma com’è l’autonomia che chiede la Lega? L’autonomia in discussione prevede il trasferimento di una lista di competenze dallo Stato alle Regioni del Nord e, quindi, anche delle risorse per gestirle (in Veneto e in Lombardia si tratta per il trasferimento di 23 competenze, dalla scuola alla protezione civile; più poteri su 15 materie invece è la richiesta della regione Emilia). Il Veneto chiede che queste risorse siano proporzionate e calcolate in base al loro gettito fiscale. Quindi – seguendo questo principio – significa che le regioni più ricche, dovrebbero avere diritto a più soldi dallo Stato Centrale.
Il primo atto politico nella direzione del riconoscimento dell’autonomia del Nord è stato fatto il 28 febbraio del 2018, quattro giorni prima delle elezioni politiche, dal governo Gentiloni che ha firmato un pre-accordo con Veneto, Lombardia e Emilia Romagna per rendere concreto il progetto dell’autonomia richiesta a gran voce, senza concedere però alle Regioni poteri sulle tasse. Dal 1º giugno 2018, con il nuovo governo in carica, è Erika Stefani (veneta ed eletta con la Lega) – ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie del governo Conte – ad occuparsi della materia “autonomia del Nord”, ed è proprio lei che sta delineando il disegno di legge sull’autonomia del Veneto. Disegno di legge di cui non conosciamo nulla, il testo è top secret. Tutto quello che sappiamo, trapela dalle dichiarazioni stampa dei leader politici del Nord che bramano per portare a casa l’autonomia il più presto possibile.
Spiega Pino Aprile, giornalista, scrittore, esperto di Sud: “Se il Veneto la spunterà sul principio di calcolo delle risorse in base al Pil, i nove decimi del gettito fiscale andranno al Nord; al resto del Paese resterà solo un decimo. Siamo di fronte ad un disegno che dovrebbe essere bocciato dalla Corte Costituzionale, perché demolisce il principio di sussidiarietà”. E leggendo l’intervista a Luca Zaia, firmata da Marco Esposito su Il Mattino, sembra sia lo stesso governatore veneto a confermare l’indiscrezione del calcolo delle risorse da destinare al Nord in base al gettito fiscale.
Chiede Esposito: “Rinuncia all’idea dei nove decimi di tasse che devono restare al Veneto?” Risposta di Zaia: “No, i nove decimi o giù di lì, vengono dal trasferimento delle funzioni e delle risorse relative”. L’intervista è molto interessante, consiglio la lettura. Anche perché manca poco alla definizione di questo dossier. Entro il 15 febbraio il governo ha promesso di firmare una nuova intesa con le regioni che al Nord hanno chiesto l’autonomia, presenterà poi una legge che dovrà essere votata a maggioranza qualificata: alla Camera da almeno 316 deputati e al Senato da 161 senatori. E a proposito di questo delicato e importantissimo passaggio parlamentare, sempre nell’intervista che vi consiglio di leggere, il collega del Mattino chiede a Zaia: “E’ d’accordo che sia il Parlamento arbitro del processo di autonomia differenziata?”. Zaia: “La Costituzione dice che l’intesa fra governo e Regioni debba essere approvata o respinta dal Parlamento senza possibilità di emendamento”.
Ma come… il Parlamento può solo dire Sì o No al testo che sarà definito tra governo e regioni? Che ne pensa Luigi Di Maio? E l’opposizione? E i parlamentari eletti al Sud? Com’è possibile che stiamo arrivando alla definizione di quest’autonomia differenziata per il Nord, senza un protagonismo del Parlamento, senza un grande dibattito pubblico che coinvolga l’Italia tutta? E soprattutto, perché alla vigilia del referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi c’è stato un grande dibattito nel Paese che alla fine ha addirittura portato i cittadini ad esprimersi contro quella riforma e invece alla vigilia di questo voto Parlamentare sull’autonomia richiesta dal Nord, nessuno sa niente e sembra che nessuno debba sapere niente?
Il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, da Milano ha provato a farsi da garante: la coesione nazionale e sociale sarà salvaguardata. Eppure non sembra che questo sia bastato per rassicurare il fronte contrario “all’autonomia voluta dalla Lega” che sta crescendo dentro le file del Movimento Cinque Stelle. Contro questo progetto di autonomia differenziata di tre regioni del Nord è stata lanciata dal professor Gianfranco Viesti, su change.org, una petizione per bloccare questo processo legislativo. Viesti è professore di Economia all’Università di Bari, autore del libro “Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale”. Se volete informarvi, capire di più, potete scaricare il testo gratuitamente dal sito della casa editrice Laterza.La petizione viaggia oltre le 17mila e 500 firme. Tra i sostenitori ci sono professori, economisti, intellettuali e persino esponenti del Movimento Cinque Stelle.
Maria Marzana, Alessandro Amitrano e Giorgio Lovecchi, deputati M5S; e poi Maria Muscarà e Rosa Barone, consiglieri regionali grillini in Campania e Puglia. E ancora, eletti col M5S a Palazzo Madama, cioè Saverio De Bonis (anche se risulta tra gli espulsi), Sabrina Ricciardi, Bianca Laura Granato e Paola Nugnes, vicina a Roberto Fico, che ha commentato così le posizioni della Lega: «Giorgetti ha detto che se non passa l’autonomia entro il 15 febbraio, cade il governo. Bene, io dico che se passa la riforma delle autonomie, cade l’Italia. E quindi credo sia meglio che cada il governo, piuttosto che l’Italia. Siamo in molti nei 5 Stelle a pensarla così». Anche la ministra per il Sud Barbara Lezzi, rispondendo al Question time alla Camera, ha chiarito: “Monitorerò l’azione del governo per fare in modo che le misure adottate assicurino al Sud le risorse di cui ha bisogno per colmare quel gap con il Nord, cresciuto a dismisura negli ultimi 25 anni”.
Ma analizziamolo questo gap. Il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno (19,4%) è tre volte quello del Nord (6,9%), anche il rischio di cadere in povertà è triplo rispetto al resto del Paese. Se poi parliamo di disoccupazione giovanile la Calabria, per esempio registra un tasso pari al 55,6% e il Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) raggiunge un livello decisamente allarmante con un tasso medio del 51,6%. Il Nord Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia) fa segnare un livello di disoccupazione giovanile pari al 26,7%. Il Nord Est (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna) al 20,6%. Nel XXI secolo il centro-nord è cresciuto del 3%, il Sud è crollato del 7% e ha perso nell’ultimo decennio 10 punti di Pil.
Persino sulla speranza di vita c’è un divario Nord-Sud: la maggiore sopravvivenza si registra nel Nord-Est, dove la speranza di vita per gli uomini è di 81,2 anni e quella per le donne di 85,6; decisamente inferiore nel Mezzogiorno, dove si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. Poi ci sono i trasporti ferroviari (Taranto-Roma, poco più di 510,8 km, in treno in minimo 6/7 ore; Roma-Milano, 573 km in 2 ore e 20 minuti), le scuole e la sanità pubblica. Su quest’ultimo punto non mi soffermo perché merita un articolo a parte. Ho infatti deciso di realizzare a settembre una lunga inchiesta sulla sanità pubblica nel Sud e nel Centro Italia (andrà in onda nelle prossime settimane all’interno di Piazzapulita su La7), proprio per denunciare che ci sono cittadini carne da macello, di serie B che muoiono prima, si ammalano di più e non godono degli stessi diritti dei loro fratelli del Nord. La colpa non è loro, ma è con la loro salute, la loro vita che pagano il prezzo di queste diseguaglianze.
Come si fa a definire il disegno di legge sull’autonomia, senza prima capire le cause di questa disparità tra Sud e Nord e una volta per tutte porre fine a queste ingiustizie? La linea più gettonata contro i problemi del Sud è: “Meridione causa del suo male”, “Colpevole di sprechi”, “meridionali fancazzisti, non vogliono lavorare, vogliono solo i sussidi e il reddito di cittadinanza”. Nessuno nasconde le colpe del mal governo al Sud, di una classe dirigente che ha sfruttato la popolazione solo in chiave clientelare, ma per troppo tempo questi sono stati alibi per condannare il Meridione ancora di più all’arretratezza.
Non è vero, infatti, che in questi anni alle regioni del Meridione sono andati più soldi di quelli trasferiti al Nord. Quello che è vero è che il calcolo delle risorse per le regioni avrebbe dovuto essere fatto in base alla definizione dei Lep. Non è una parolaccia, Lep sta per Livelli Essenziali delle Prestazioni, quelli che vanno definiti dal governo centrale per assicurare a ogni cittadino italiano (dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia) la stessa qualità e quantità di servizi garantiti dalla Costituzione.
Pensate che sono 17 anni che si attende l’aggiornamento dei Lep. Nessun governo, di nessun colore e partito politico ad oggi ha mosso un dito in questa direzione, contribuendo così ad affossare ancora di più l’economia del Sud Italia. Poi ci sono i Lea – livelli essenziali di assistenza – cioè quelli che stabiliscono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket) in qualsiasi regione, senza distinzione tra Nord, Centro e Sud.
Perché è centrale la definizione dei Lep e dei Lea lo spiega bene il professor Viesti: “Se non si sa quanto costano i Lep, come si può stabilire l’entità delle risorse da assegnare alle Regioni per garantirne il godimento ai cittadini? Ove si procedesse al contrario, ovvero: prima trasferire risorse alla Regioni, poi stimare il costo dei Lep, qualcuno potrebbe accaparrarsi più soldi del necessario senza che sia evidente a chi lo stia togliendo.
È quello che è successo finora. Lo Stato ha trasferito risorse alle regioni senza dotarsi prima di questo fondamentale strumento giuridico di garanzia dell’Unità nazionale. Sempre Viesti: È inaccettabile che in diciassette anni non si sia fissato il valore dei Lep, a vantaggio di tutti i cittadini italiani, mentre in pochi mesi si sia arrivati alle battute consultive del processo di autonomia differenziata, a vantaggio di pochi”.
Fonte: il Fatto Quotidiano
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