L’appropriatezza anche in sanità
di Francesco Manfredi-Selvaggi
La valutazione delle prestazioni assistenziali si basano su tale parametro attraverso il quale si determina il finanziamento delle strutture ospedaliere
Il finanziamento delle strutture avviene non sulla base del numero dei pazienti o dei posti letto disponibili o delle spese sostenute, bensì sulla base di tariffe stabilite per le varie tipologie di ricovero; ciò permette di legare i soldi che si concedono da parte del sistema sanitario regionale alle prestazioni che l’ospedale ha erogato. Per fissare la tariffa il parametro privilegiato è stato quello dei cosiddetti costi-standard, e questa è la strada più facile perché viene considerata la spesa storica mediata su un numero consistente di casi.
La tariffa non è unica per quella determinata prestazione potendo essere ridotta a seconda, tra l’altro, dell’azienda ospedaliera che la ha effettuato come è avvenuto in Molise (dati 2015) per le strutture giudicate di minore complessità, senza distinzione tra privato e pubblico, per le quali l’abbattimento è stato davvero consistente, il 20% in meno. A questo proposito forse andrebbe valutato se incrementarla, cioè ridurre il taglio, qualora tale azione sorga in comprensori più poveri o, comunque, privi di altre strutture al fine di incentivarne la presenza (nel mondo della sanità non si fanno piani in tal senso) e così assicurare alla popolazione locale un’assistenza sanitaria comparabile con quella della zone più favorite.
Eccetto che per il caso appena evidenziato la nostra regione ha scelto di adottare il tariffario nazionale il quale fissa la tariffa massima cui si possono applicare decurtazioni. Si sarebbero potute differenziare le tariffe a seconda se l’ospedale, magari in quanto promotore di ricerche mediche in un cero settore, fornisce, per quel campo di cure, prestazioni specializzate, oppure se presso lo stesso è attivo il pronto soccorso. Il primo caso è, ovviamente, quello delle due principali aziende private presenti nell’ambito regionale, il secondo è costituito dagli ospedali pubblici.
Per entrambe le fattispecie la tariffa utilizzata è la massima, vale la pena ricordarlo, avendo probabilmente attribuito un uguale peso ai, si fa per dire, valori-aggiunti che le strutture si portano dietro, da un lato i privati, la specializzazione e dall’altro lato, il pubblico, gli apparati per l’emergenza. Per capire bene quanto esposto bisogna però riflettere sul fatto è doveroso pensare, che la tariffa non è calcolata sommando esclusivamente le diverse “spese vive” che l’operazione chirurgica oppure l’esame diagnostico hanno comportato poiché vanno incluse le “spese generali” che vanno dagli stipendi del personale, alla manutenzione dell’edificio, ecc., sempre in quota parte non è naturale.
Il termine prestazione racchiude tutto ciò; essa può, in qualche modo, nella contabilità economica di un ente essere equiparata ad un “centro di costo”. Il controllo delle prestazioni, cosa che avviene alla presentazione annuale da parte delle strutture ospedaliere delle schede di dismissione dei pazienti, al quale sono chiamate le regioni permette di verificare gli sprechi; ciò viene affidato alle amministrazioni regionali le quali, sono spinte ad essere rigorose in quanto è qui che nasce il deficit sanitario cui si deve far fronte con l’aumento delle aliquote fiscali e dei ticket che gravano sui cittadini il quale avviene in maniera pressoché automatica.
L’obiettivo, è evidente, è quello della razionalizzazione delle erogazioni mediche piuttosto che il loro razionamento tanto quantitativo quanto qualitativo. La parola chiave è appropriatezza, il cui significato non va ricondotto a quello di riduzione dei servizi, ma anzi va inteso come una loro valorizzazione, eliminando le azioni sanitarie inutili. L’appropriatezza, in definitiva, è un valore per la sanità, non un mero risparmio. Per intenderci, attraverso l’esame dell’appropriatezza della prestazione, si arriva a stabilire se la degenza è stata troppo lunga (o ripetuta troppe volte), ricordandosi che una degenza prolungata conduce il ricoverato al pericolo di contrarre infezioni oltre che ad una diminuzione dei posti letto disponibili e ad un aumento dei costi per paziente.
L’appropriatezza è la chiave interpretativa che fa emergere se gli interventi eseguiti sono stati quelli, ancora questo concetto adeguati o se ve ne erano altri in alternativa meno costosi e parimenti efficaci per fronteggiare quella patologia la quale sarebbe potuta essere trattata, magari, non chirurgicamente, con i rischi connessi, bensì con metodiche differenti. L’esempio limite è quello di una persona anziana al quale invece dell’operazione ortopedica ad un arto inferiore, che ad ogni modo è traumatica, si forniscono strumenti, del tipo stampelle e similari, che riescono a garantire una certa mobilità; un po’ ciò che avviene in oculistica per la riduzione della miopia per la quale sono sufficienti gli occhiali senza, dunque, dover ricorrere alla sala operatoria.
Per completezza di discorso, sempre in materia di lunghezza della degenza è da aggiungere che essa si può contrastare agendo a monte al posto che a valle, in sede di verifica dell’appropriatezza, nel momento del rilascio dell’accreditamento presso il servizio sanitario regionale della struttura privata perché la durata del ricovero dipende a volte dalla scarsa funzionalità del reparto diagnostico interno a tale azienda. Ancora più deciso può essere il contenimento del protrarsi della degenza qualora alla struttura ospedaliera si affianchino altri servizi che vanno dal day hospital all’ospedalizzazione a domicilio ai centri per la riabilitazione alle case protette, per dare sollievo al malato fino all’assistenza di base lasciando al ricovero solo il compito del trattamento della patologia in fase acuta, ammettendosi, è ovvio, rientri in ospedale per terapie complementari e per il controllo post operatorio.
In effetti ciò nel Molise già lo si fa da qualche tempo e questo sistema funziona meglio nei comprensori prossimi alle entità ospedaliere per la possibilità maggiore, data la vicinanza, di interscambio con i reparti di cura dell’ospedale; sono sfere territoriali che quanto più si allontanano dall’epicentro (l’ospedale) tanto più, aumentando il raggio, soffrono della distanza dal fulcro. Su questo punto, se si vuole raggiungere una piena appropriatezza delle prestazioni, occorre effettuare ragionamenti approfonditi nella programmazione dei servizi sanitari.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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