Una città in salute
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Oggi per misurare gli effetti di un piano o di un progetto (ancora non tutti) sulle condizioni sanitarie della popolazione c’è la VIS, Valutazione di Impatto sulla Salute, che si affianca a VIA e VAS
La disciplina urbanistica è nata insieme alla rivoluzione industriale la quale produce un incremento dell’urbanizzazione a causa delle fabbriche installate prevalentemente nelle città che attraggono forza lavoro un tempo dedita all’agricoltura. Si ha così un intenso sviluppo delle periferie il quale richiede di essere regolamentato per evitare che gli insediamenti urbani crescano in maniera disordinata perché rischiano di diventare invivibili. La scienza urbanistica si afferma contemporaneamente agli studi sull’igiene pubblica che hanno un grande impulso alla fine del XIX secolo.
La cultura igienica e quella architettonico urbanistica possono essere definite entrambe, l’interesse a loro dedicato, conseguenza delle pessime condizioni nelle quali versano gli agglomerati edilizi assediati dalle industrie e, perciò, sempre più inquinati. La salubrità degli abitati divenuta un imperativo a seguito delle pessime condizioni ambientali determinate dagli scarichi ed emissioni degli stabilimenti produttivi è, in verità, un problema sentito pure lì dove non c’è stata l’industrializzazione e si pensa a Napoli dove la salute degli abitanti è minacciata, periodicamente, da epidemie quale quella del colera.
Per risolvere l’endemico problema delle pandemie si ricorre, pure in questo caso all’urbanistica, procedendo al Risanamento, con una apposita e omonima società pubblica, delle malsane e popolarissime aree centrali. Per “risanare” si procede allo sventramento, cioè alla demolizione di tanti caseggiati sul sedime dei quali viene realizzata una larga arteria fiancheggiata da alberi, il Rettifilo, per consentire all’aria e alla luce di penetrare nel cosiddetto ventre di Napoli (Matilde Serao); motivazioni nobili che seguono i precetti dei medici igienisti e che, però, si aggiungono ad altre, nascoste, meno nobili, che sono quelle di voler espellere i centri più poveri dal cuore della città e consentire l’edificazione di fabbricati di maggior valore innanzitutto economico, un’operazione appetibile per gli imprenditori edili.
Sono i padroni del fenomeno della speculazione edilizia che avrà il suo culmine nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, quelli del boom economico e del boom immobiliare, fenomeno che avrà anch’esso conseguenze negative sulla qualità dell’ambiente cittadino. La legge per il Risanamento del capoluogo campano è del 1885, cioè dello stesso periodo in cui prende inizio il processo di pianificazione urbanistica in Italia e in Europa (il piano Hansmann per Parigi con i suoi boulevard è coevo con quello partenopeo). Esso viene reso possibile da un altro provvedimento legislativo, che è del 1863, riguardante gli espropri.
La possibilità di acquisizione, pure forzata, dei suoli permette il varo di veri e propri piani regolatori, prima, sempre sul modello francese, limitati a semplici piani di “allineamento”. Appartiene di più alla cultura igienista che a quella urbanistica, ma, comunque, indirizzata anch’essa agli aggregati abitativi, la disposizione che obbliga i Comuni, di qualsiasi taglia, a dotarsi di Regolamenti d’Igiene. Sia se di tipo “riparatore” di situazioni di degrado sia se applicati alle zone di espansione, quindi ad ambiti ex novo, i piani urbanistici diventano una realtà, almeno dal punto di vista normativo (meno da quello concreto considerato il numero ristretto di esperienze compiute).
A partire dagli anni 30 del secolo successivo sono gli architetti piuttosto che i medici a guidare il rilancio del tema dell’igiene urbana; i quartieri disegnati dagli esponenti dell’architettura razionalista con la loro larga dotazione di verde, le palazzine distanziate dalle strade, e soprattutto la bassa densità edilizia hanno, chiaramente, i propri cardini decisivi quello della salute pubblica. Non è tutto oro quello che luce, è il caso si dirlo perché il Movimento Moderno, ossia il Razionalismo, è stato anche il propugnatore dello zoning, cioè della suddivisione della città in zone, con la separazione dei luoghi di lavoro dalle residenze, fatto che ha contribuito all’incremento del traffico urbano e conseguentemente all’inquinamento atmosferico; l’intento era buono perché si voleva tenere a debita distanza le abitazioni dalle industrie le quali producono rumore, fumi, ecc. senza, però, tener conto degli spostamenti che si sarebbero indotti da/a casa-lavoro.
Successivamente, si ha un progressivo irrobustimento dell’interesse per le questioni ambientali nelle quali prevalgono le tematiche ecologiche rispetto a quelle connesse strettamente alla salute, nella convinzione che salvaguardare l’integrità del pianeta significa anche garantire il benessere fisico degli individui. Si introducono nella legislazione dapprima europea e poi nazionale strumenti di verifica dell’incidenza di opere e di piani sul contesto ambientale che sono la Valutazione Ambientale Strategica e la Valutazione di Impatto Ambientale.
Attraverso tali procedure si analizzano gli effetti delle realizzazioni in progetto, compresi gli strumenti urbanistici, su acqua, aria, suolo e così via senza uno specifico riferimento alle conseguenze che essi avranno per quanto riguarda l’aspetto sanitario. Si comincia ad avvertire, così, il bisogno di un apposito “armamentario” (va bene pure strumentazione) per misurare le ricadute sullo stato della salute umana di progetti, di piani e di programmi. Il risultato è il varo del VIS, Valutazione di Impatto sulla Salute, per il quale il Ministero dell’Ambiente ha predisposto nel 2016 delle Linee Guida.
Secondo queste ultime il campo di applicazione della VIS è molto ristretto, comprendendo poche categorie di interventi. La redazione della VIS può essere anche, ad ogni modo, su base volontaria. Tanto se obbligatoria quanto se per scelta del proponente dell’iniziativa progettuale si pongono i seguenti problemi: vi è una sovrapposizione tra VIS e VIA o VAS che comunque trattano, sia pure in maniera indiretta, la tematica sanitaria e anche qual è la tempistica nel senso che la VIS precede VIA e VAS o il contrario. Un’ulteriore problematica è quella del grado di approfondimento della VIS per cui alla stregua di VIA e VAS che prevedono una fase iniziale, lo Screening, vi è un primo momento in cui ci si può basare sui dati esistenti e dopo su ricerche sul campo con i tempi che comportano.
Francesco Manfredi Selvaggi635 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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