Trovare ospizio in ospedale
È quando vi è la lunga degenza, un uso inappropriato della struttura ospedaliera. L’ospedalizzazione non è sempre utile
Ospedale è una parola che ha sicure derivazioni da ospizio che era quel luogo in cui trovano ospitalità, termine con la medesima radice dei precedenti, gli infermi ed era gestito solitamente da religiosi. Il significato che ha questa parola in età contemporanea è tutt’altro essendosi peraltro evoluti i metodi e i mezzi per la cura dei malati. In comune con l’accezione precedente del vocabolo vi è che a occuparsi dell’assistenza erano sempre associazioni di beneficenza, prevalentemente legate alla chiesa, ma anche derivazioni dei Comuni. È davvero consueta l’immagine delle suore nei corridoi delle strutture ospedaliere. Sia le istituzioni cattoliche sia le organizzazioni benefiche, in genere, hanno missioni più ampie che quella del funzionamento dei nosocomi, muovendosi nel campo d’azione del conforto e sostegno alle persone in difficoltà la quale può essere di diverso tipo. Lo Stato ritenne nel 1968 che ci fosse bisogno, invece, di istituti che fossero dedicati esclusivamente alla conduzione degli ospedali, non ammettendo più che essi fossero in carico ad organismi che statutariamente avessero finalità miste. Si costituì allora l’Ospedale Provinciale Cardarelli ente che godeva di autonomia amministrativa anche se, per la medesima legge del ’68, i membri del consiglio di amministrazione erano di nomina politica dei quali diversi erano scelti dall’ente Provincia (all’epoca unica perché quella di Isernia nacque nel ’71). Quindi un’indipendenza parziale quella dell’ospedale dal mondo dei partiti e ciò, per come la vediamo oggi, è un aspetto negativo, mentre è positivo che si trattasse di un’istituzione a sé stante. Quelle appena esposte sono le due principali tematiche che connoteranno la storia successiva della sanità.
L’inserimento delle entità ospedaliere nelle USL si capisce se si tiene conto che tali organismi, voluti dalla Riforma Sanitaria del ’78, dovevano provvedere ad integrare in un’unica rete le strutture sanitarie e quelle socio-assistenziali nella convinzione che per garantire la salute della popolazione bisognasse agire tanto sul fronte delle cure quanto su quello della prevenzione. Il Comitato di Gestione delle Usl era composto dai rappresentanti, innanzitutto, dei Comuni e perciò ancora una volta designazione non basata sulle competenze tecniche. L’evoluzione successiva, la data è il 1992, che porta alla costituzione delle Asl le quali sostituiscono le Usl è determinata dalla maggiore attenzione che si deve avere per gli aspetti economici. Gli acronimi Asl e Usl vengono a differire fra loro per la lettera iniziale con A che significa azienda e U unità. All’interno delle Asl, ma non nel Molise, si possono avere uno o più AO con A che sta sempre per azienda e O invece per ospedale. Ritorna, così, almeno per i complessi ospedalieri di grosse dimensioni, la questione della gestione autonoma, adesso affidata a figure manageriali, siamo nell’era dei manager, e non più a delegati degli organi di governo locali. Al di là delle profonde trasformazioni descritte vi è qualcosa che sta mutando nell’idea stessa di ospedale. Partiamo dall’inizio, dal concetto che si aveva dell’ospedale come centro di riferimento per i bisogni curativi e che permane nella coscienza popolare come dimostra la strenua difesa degli abitanti di Agnone per il loro nosocomio.
In verità, per la cittadina altomolisana (ma non solo per tale località) vi è pure la considerazione che la struttura ospedaliera, il suo stesso edificio, è un po’ l’emblema del grado di civiltà raggiunto, testimone, in qualche modo, del ruolo preminente di questo centro, un tempo il più popoloso del Molise. È ovvio, non è unicamente un fatto di prestigio, ma è certo che l’ospedale ha tanti addentellati con la vita civile. Vi è stata, ed è in corso, una trasformazione della rappresentazione mentale che avevamo dell’ospedale il quale nel modo di sentire comune sempre più si allontana dalla concezione che ne avevamo solo qualche decennio fa. Ciò vale pure per i nuovi nosocomi che al momento in cui sorsero apparvero come oggetti straordinari. Occupano una centralità nell’immaginario collettivo non fosse altro che per la loro imponenza fisica, non essendoci nessun altro manufatto architettonico, neanche privato, rapportabile ad essi per consistenza volumetrica; essi vengono a costituire dei fulcri visivi nelle vedute paesaggistiche e nel capoluogo regionale tale effetto di focale percettiva si accentua per la collocazione dell’ospedale nel punto più alto del territorio comunale. L’ospedale, però, non è lo stesso di quello che avevamo conosciuto.
Le funzioni, per lunghi periodi sempre le medesime, cambiano anche in modo veloce come è successo, per esempio, ad entrambi i Cardarelli, il vecchio essendo diventato la sede delle attività della medicina specialistica, il nuovo, recentemente, per l’ospitare la Facoltà di Medicina dell’Università molisana. Le modificazioni sostanziali sono, comunque, connesse al riconoscimento che ne fa il POS, piano operativo straordinario concepito dal Commissario preposto al Piano di Rientro dal deficit finanziario, di essere parte di una rete unitaria di servizi sanitari. Non è più quello dell’assistenza un sistema centrato sull’ospedale, nonostante che tante cure devono essere erogate al suo interno, che la promozione della salute, cioè le varie campagne di prevenzione, prendi il progetto Moli-sani o Mimosa, sono spesso affidate alla struttura ospedaliera per le professionalità che vi lavorano. Vi sono patologie che possono essere affrontate con modalità differenti da quella del ricovero ospedaliero.
In passato si è fatto, per così dire, abuso nel ricorso ai ricoveri, tanti dei quali sono risultati “a rischio inappropriatezza” (secondo le regole SDO) e per questa ragione si sono assunti provvedimenti per evitare i problemi i quali hanno portato a far scendere tale tipo di ricovero del 10% a livello nazionale con la diminuzione massima che è di oltre il 16% nella nostra regione. Quale esemplificazione si prenda il caso degli anziani per i quali è di molto incrementata l’ospedalizzazione a domicilio. Per ottenere questi risultati è evidente che necessita un insieme di mezzi di supporto integrati con le strutture ospedaliere, in effetti presenti in ogni Distretto Sanitario, e, anzi, è a questa scala, quella di distretto piuttosto che di ospedale che in alcuni comprensori, (vedi Trivento e Riccia), non c’è, che va prevista la riorganizzazione del sistema sanitario. Attraverso una riflessione sul complesso dei presidi preposti a salvaguardare la salute, non riducendo il tema a quello di ospedale si o no, si può arrivare ad una programmazione efficace del sistema.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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