Non solo viaggi della speranza

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La mobilità sanitaria interregionale non riguarda solo i casi estremi, ma è diventata qualcosa di quasi ordinario, specie nel Molise.

La mobilità per ragioni sanitarie tra regioni ha una data di inizio che è il 1992 quando venne varato il decreto legislativo n. 502 che contiene espressamente tale facoltà; bisogna dire che fino al 2005 allorché venne istituita l’Asl unica in Molise, denominata Asrem, esso permetteva gli spostamenti tra un’Asl e l’altra (di Campobasso, Isernia, ecc.), prima anche questa non consentita. È una questione di riconoscimento di un diritto dei pazienti, ma sicuramente tale liberalizzazione ha origine pure nell’affermazione di un diverso stile di vita, in verità da qualche decennio, caratterizzato dalla mobilità sia per ragioni di lavoro sia per vacanze e ora per la salute.

Il concomitante fenomeno della crescita della circolarità delle notizie con lo sviluppo del web ha messo a disposizione delle persone notizie sulle offerte di cura negli ospedali collocati altrove. Oggi è del tutto legittimo farsi curare nella struttura che è o che la si ritiene la migliore oppure che è situata nella città dove vivono i propri figli i quali, così, possono prestare conforto se non assistenza al paziente, cioè per ragioni logistiche; tra le motivazioni della scelta dell’istituto di cura ve ne possono essere pure quelle di carattere psicologico così come si rinunzia alla prestazione erogata nella regione di residenza per la percezione che si ha di bassa qualità e pertanto per mancanza di fiducia.

In genere occorre una precisa autorizzazione da parte del servizio sanitario della propria regione per poter effettuare la trasferta. Normalmente si va verso luoghi con poli medici di eccellenza che prima, a dire la verità, non esistevano, non c‘era una gerarchia tra gli istituti e anche a questo fatto si può ricollegare la spinta della mobilità sanitaria; eccellenti sono quelli meglio attrezzati i quali sono presenti nelle zone più ricche, quindi nelle città del nord. In definitiva, l’emergere di realtà assistenziali di grande valore è un fattore decisivo per lo svilupparsi della tendenza a effettuare spostamenti per curarsi.

È paradossale, ma in passato ci si spostava, o meglio si era costretti, unicamente per andare, i malati di tubercolosi, nei sanatori e, quelli con disturbi mentali, nei manicomi. Ci si muove, inoltre, per evitare i lunghi tempi di attesa, una delle criticità maggiori della sanità italiana. Secondo i dati del 2015 la mobilità è per il 44% interregionale, per il 20% diretta verso l’estero e la restante è infraregionale che a noi non interessa per quanto detto all’inizio. In base a statistiche del medesimo anno la mobilità interregionale è motivata per oltre il 40% dei casi da interventi chirurgici ai quali seguono le visite specialistiche.

Più la patologia è grave più si è disposti ad effettuare un lungo viaggio (i cosiddetti viaggi della speranza), dalle malattie rare ai trapianti. Perciò vi è la mobilità internazionale che occorre distinguere se avviene entro i confini europei o meno. Quella continentale è giustificata, a volte, dalla volontà di risparmiare sulle spese mediche, prendi i dentisti in Romania. La regola è, comunque, che ci si allontana sempre più in dipendenza della severità del male, fino agli Stati Uniti. C’è un’altra tipologia di mobilità che è ricompresa in quella interregionale e che si chiama di prossimità riguardante i movimenti dei malati fra regioni confinanti.

Essa è legata ad attività sanitarie minori come quelle svolte nell’ospedale di Agnone che attraggono cittadini dell’alto vastese, ma anche a prestazioni specializzate quali quelle fornite nel campo della neurologia dalla Neuromed, rinomato istituto di ricerca e cura, verso la quale vi è un notevolissimo flusso di pazienti extraregionali. La mobilità di confine è oggetto di frequente di accordi bilaterali tra Regioni. Mentre nel nosocomio della cittadina altomolisana si potrebbe pensare che ci si rivolge perché, almeno fino alla chiusura del viadotto Sente, è più facilmente accessibile per chi vive in quella sorta di fascia territoriale di frontiera tra il Molise e l’Abruzzo non è lo stesso nel caso della Neuromed la quale attira per la qualità delle cure.

Per quanto riguarda la mobilità di prossimità non vi sono risvolti così negativi e, per le persone dei ceti più poveri, penosi della sistemazione alloggiativa dell’accompagnatore del malato. I meno abbienti, lo ha rilevato uno studio recentissimo, si ammalano più dei benestanti e quindi di coloro che fanno loro compagnia durante la degenza in una struttura ospedaliera posta fuori regione anch’essi evidentemente non facoltosi si devono adattare a stare in una entità ricettiva poco soddisfacente. Ciò non è equo di certo. Pure per lo stesso malato la lontananza da casa è un grosso problema in quanto si lascia la guida della famiglia, si interrompono i rapporti lavorativi e così via.

Quelli che suscitano una maggiore pena sono i bambini ricoverati che non ricevono il sostegno affettivo dei fratellini, cuginetti, compagni di classe. La durata della degenza può essere lunga e così i costi per chi accompagna il paziente crescono; anche il degente quando viene dismesso può avere bisogno di rimanere in zona per esigenza di somministrazione di cure in continuità e perciò deve affrontare spese. Per fortuna che il Bambin Gesù, una delle mete curative più accorsate per i piccoli, sta a Roma (nello stato estero della Città del Vaticano, peraltro) e quindi non è distante dal Molise.

A scala davvero ridotta una situazione analoga si ha a Campobasso dove vengono ricoverate persone, al Cardarelli e alla Cattolica, provenienti da altre parti della regione (alla Cattolica una certa percentuale viene da fuori) non sono previste case per l’accoglienza dei parenti o degli amici nonostante vi siano, per dirne una conventi, come quello di S, Antonio di Padova, ormai vuoti che potrebbero dare loro ospitalità. In effetti, in città si sono aperti diversi bed and breakfast che potrebbero convenzionarsi con i due nosocomi.

Si è insistito molto sul tema delle spese nella convinzione che la mobilità sanitaria fa emergere diseguaglianze nella società le quali sono da colmarsi se si vuole che la garanzia per chiunque di poter essere curato ovunque sia effettiva. Questa mobilità suscita più preoccupazioni qui che altrove in quanto il saldo regionale è nettamente negativo, prevalendo di molto la Mobilità Attiva (vero altre regioni) su quella Passiva (diretta verso di noi). Il segno meno è riferito, nel complesso, al sistema sanitario molisano il quale sta tentando faticosamente di rientrare dal deficit finanziario accumulato.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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