Prendete e mangiatene (quasi) tutti…
Di Anna Maria Di Pietro
Con il pacchettino di cracker accompagnato da tonno in scatola, una bimba di otto anni ha consumato il “lauto” pasto tra i compagni con i piatti pieni. Non è la fiaba moderna de “La Piccola Fiammiferaia”, ma una crudele e penosa realtà. In una scuola elementare di Minerba, in provincia di Verona, il Comune, di concerto con la ditta del servizio mensa, ha deciso di sospendere i pasti a una bambina straniera, i cui genitori non avevano pagato la retta. L’episodio, apparso su un quotidiano locale, è balzato agli onori della cronaca nazionale e ha causato, da più parti, duri attacchi all’amministrazione comunale, che ha addotto motivazioni fuori da ogni logica. Il sindaco Andrea Girardi ha affermato che si è trattato di una decisione maturata per “non causare un torto” alle famiglie in regola con i pagamenti, supportato anche dal circolo della Lega nord del posto, che attraverso un suo rappresentante, ha fatto sapere che i genitori della bimba, più volte invitati a partecipare a numerosi progetti lavorativi, non hanno mai risposto, sottolineando, quindi, la loro poca volontà di integrarsi. Così, è partita una gara di solidarietà, che ha mosso a compassione anche il campione dell’Inter Candreva, il quale si è offerto di pagare la mensa alla piccola. Intanto, l’amministrazione ha fatto sapere che la questione si è risolta, annunciando che, per evitare il ripetersi dell’episodio, probabilmente, dall’anno prossimo, gli alunni dovranno portare il pasto da casa. Una soluzione alla “Ponzio Pilato”, tanto per “lavarsi le mani”.
Si potrebbero spendere milioni di parole, citando la Costituzione, la Convenzione dell’ONU o la “Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo”, ma ciò che preme dire è che in questa brutta storia, oltre al diritto, è mancato il buonsenso di tutti: del sindaco, degli educatori, del personale inserviente. Bastava veramente poco per risolvere la questione: dimezzare un po’ gli altri piatti, fare una colletta, pagare di tasca propria. Invece, no. Una creatura indifesa ha pagato un “conto” che non le spettava, diventando oggetto di rivalsa. Cosa avrà provato, quando si è vista servire un “pasto” diverso? Questo bisogna chiedersi. Lei, data la tenera età, neppure conosce i propri diritti, ma ha pianto perché si è sentita diversa, proprio in un contesto, come quello scolastico, che dovrebbe insegnarle l’uguaglianza, la solidarietà, che dovrebbe proteggerla, amarla, rispettarla e insegnarle il rispetto per gli altri. Invece, non è stata tutelata da quel mondo di adulti che ha puntato il dito contro le difficoltà della sua famiglia, fondandosi sul rispetto del diritto di altri. E come si sono sentiti, invece, i loro compagni? Cosa hanno imparato da questa azione dimostrativa? Ma che giustizia è, quella applicata ai danni di un’indifesa? Come si può solo umanamente pensare a una soluzione così discriminante?
Questa triste storia è accaduta nella provincia di Verona, quella “civile” città che ha, di recente, ospitato il “Convegno delle Famiglie”, manifestazione in cui si è parlato soprattutto dei diritti dei bambini e durante la quale sono stati distribuiti i famosi gadget a forma di feto, con il fine di scoraggiare la scelta dell’aborto. Dove sono, ora, le associazioni provita, le famiglie “naturali” portatrici di valori sani e tutti coloro che hanno urlato nei cortei anche in nome della religione?Stonano i loro canti, le loro preghiere, i loro slogan, di fronte alle lacrime di una bimba che non è stata protetta da un “mondo adulto” che dovrebbe chiederle solo scusa.
Anna Maria Di Pietro90 Posts
Nata a Roma (Rm) nel 1973, studi classici, appassionata lettrice e book infuencer, si occupa di recensioni di libri e di interviste agli autori, soprattutto emergenti.
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