Localizzare l’ospedale
Francesco Manifredi-Selvaggi
Vi sono nosocomi ubicati distanti dall’abitato (Campobasso) e altri in prossimità (Isernia) o dentro (Termoli). C’è poi Agnone dove l’ospedale è quello storico.
L’analisi che si propone dell’ospedale ovviamente verrà effettuata a grandi linee, occupandoci della sua localizzazione la quale ha implicazioni nella scelta della tipologia architettonica da adottare. È una lettura sintetica per cui ci saranno brevi cenni sulle tematiche coinvolte, dall’ubicazione la quale è un fattore determinante sia dello sviluppo planimetrico sia dell’incidenza che un’opera di dimensioni necessariamente consistenti ha sul paesaggio. Il nosocomio di Isernia poggia sul costone che delimita il corso del Carpino e nello stesso tempo, ovviamente, costituisce il limite massimo per il posizionamento della struttura ospedaliera; tale edificio si trova costretto tra la sponda del fiume e il tracciato dell’antica via Latina, oggi un’importante strada del capoluogo pentro.
Ciò in senso trasversale, mentre in quello longitudinale vediamo che l’ospedale è posto sulla propaggine estrema del promontorio su cui poggia la città, quando questo comincia a degradare in modo deciso fino a raggiungere il Cavaliere che nasce dalla confluenza del Carpino con il Sordo. Anche l’ospedale in tale direzione tende a formare un gradino per seguire la morfologia del suolo. La scelta del sito in cui ubicare l’istituto ospedaliero deve essere stata determinata dalla volontà che esso fosse contiguo al “vecchio” ospedale, adesso sede di uffici dell’Asrem.
In tal modo, il nuovo ospedale è vicino al vecchio il quale a sua volta è attaccato all’abitato, come si conviene per gli organismi sanitari di un tempo. Non è quella appena esposta una considerazione da poco perché la vicinanza del manufatto ospedaliero al centro urbano, in particolare al nucleo storico, per la sua mole consistente determina una perturbazione dello skyline consolidato del capoluogo pentro che si gode dalla superstrada Campobasso-Roma. È da segnalare, in ultimo, che i fronti lunghi dell’ospedale sono orientati l’uno ad est e l’altro ad ovest, una disposizione della pianta abbastanza favorevole.
Passando ora a vedere l’ospedale di Termoli e mettendolo a confronto con quello di Isernia la prima cosa che emerge è che il terreno dove esso sorge è pianeggiante, la seconda è che non è a contatto con la viabilità di connessione extraurbana, la terza è che esso è si in un quartiere residenziale il quale, però, è distante dall’agglomerato medioevale e anche dal borgo ottocentesco per cui la sua notevole massa volumetrica non si pone in contrasto con le emergenze monumentali. Quello che occupa questo nosocomio è un lotto certo più grande degli altri lotti della zona di espansione della cittadina adriatica e, però, rimane comparabile ad essi. Siamo arrivati a parlare del nosocomio di Campobasso che avendo il ruolo di ospedale regionale ha dimensioni superiori a quelle degli altri due.
Non solo è l’apparato ospedaliero più grande, ma è anche l’edificio più grande della città più grande del Molise. Ha una posizione invidiabile in quanto è in cima ad un rilievo ricco di boschi, con vedute che spaziano fino al Matese, è lontano da arterie rumorose (la superstrada di penetrazione alla città è molto più in basso) ed è isolato rispetto all’agglomerato insediativo, caratteristiche queste ultime che rendono il luogo tranquillo e, pertanto, consono ad ospitare una struttura sanitaria di degenza. Ci troviamo, lo abbiamo detto, in un’area di colmo, o pressappoco, nella quale come in ogni ambito culminale, le pendenze che connotano i fianchi del monte (Monte Vairano) si affievoliscono e ciò permette una disposizione abbastanza distesa dell’organismo architettonico.
Per quanto riguarda l’incidenza visiva si può affermare che, per via della consistente distanza, essa è nulla sul panorama urbano, mentre è sensibile sul contesto naturale prossimo alla città che qui è di valore cospicuo. Il punto di osservazione privilegiato del nostro manufatto è la strada di scorrimento veloce cui si è accennato poco fa dalla quale lo si percepisce alla stregua di una elevata e compatta muraglia. Che questo effetto fosse quello voluto dall’autore del progetto, l’architetto Ridolfi, uno dei maestri dell’architettura italiana del Novecento, è rivelato dall’impiego in facciata di pannelli prefabbricati in graniglia cementizia che ricordano, in qualche modo, specie per il loro colore i paramenti lapidei.
L’uso di un unico materiale di rivestimento e, poi, il fatto che i pannelli sono tutti della stessa misura conferma ulteriormente la sensazione di baluardo difensivo che emana questo fronte. L’uniformità del trattamento esterno per l’insieme dell’esteso corpo alto è una precisa scelta anche per un’ulteriore ragione artistica che è quella di voler conferire un’immagine unitaria all’istituto di cura che pure è una “macchina” assai articolata con i suoi tanti reparti assistenziali e servizi diagnostici. Il vecchio ospedale qui come ad Isernia e a Termoli è nella parte centrale della realtà cittadina e, alla stessa maniera, lo è quello di Agnone la cui scelta di non trasferire le sue attività nel complesso in corso di costruzione in località Civitelle, l’altura che sovrasta il centro alto molisano, ha portato al mancato completamento del fabbricato del quale è stato tirato su il telaio in calcestruzzo armato e basta.
Si è preferito l’ampliamento della sede preesistente il quale ha portato ad una superficie complessiva dell’ospedale molto inferiore a quella che è stata prevista nella progettazione del nuovo nosocomio; il contenimento degli spazi, e dunque della riduzione dei costi di gestione, è stato sicuramente uno dei motivi che hanno dissuaso, finora, a terminare la mastodontica opera. In tempi, quelli che stiamo vivendo, di “piano di rientro” dal deficit finanziario accumulato nella sanità molisana che comporta il taglio dei posti letto non sarebbe giustificata la presenza di un altro grande ospedale nel territorio regionale, sia pure in una “zona disagiata” (definizione del Piano Operativo Straordinario). L’ospedale di Agnone si chiama “civile” perché è strettamente legato alla civitas, alla città della quale costituisce un fulcro pure dell’organizzazione urbanistica rappresentando l’elemento che conclude l’asse viario lungo il quale si ha lo sviluppo urbano ottonovecentesco.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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