CONTRO “LA SECESSIONE DEI RICCHI”

La Cgil dell’Abruzzo e Molise ieri, venerdì 31 maggio, per l’intera mattinata, all’Università del Molise, ha organizzato un importante confronto sul tema fondamentale del Regionalismo differenziato, che incombe favorito dal silenzio assordante che lo accompagna, anche nelle regioni meridionali che sarebbero fortemente penalizzate dal dispiegamento della sua prospettiva

a cura della redazione

Un’iniziativa importante che affronta una questione fondamentale quella dibattuta ieri mattina, venerdì 31 maggio all’Università del Molise, a cura della CGIL dell’Abruzzo e del Molise, nell’ambito di un convegno intitolato “Democrazia, Costituzione e Conoscenza: un argine alla secessione dei ricchi”.

I lavori sono cominciati con un’ora abbondante di ritardo in attesa dei numerosi relatori; sono stati introdotti da un intervento ampio e circostanziato del segretario della Camera del lavoro del Molise, Paolo De Socio, il quale ha denunciato sul tema del convegno il silenzio autolesionistico che osservano soprattutto le regioni del sud dal 28 febbraio 2018, da quando Gianclaudio Bressa, Sottosegretario bellunese del Governo Gentiloni firmò la preintesa con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per l’attuazione del cosiddetto “Regionalismo differenziato”.

Queste tre Regioni il 22 ottobre 2017 avevano svolto referendum consultivi il cui esito era stato favorevole a quello che Gianfranco Viesti, economista docente all’Università di Bari, non ha esitato a chiamare “la secessione dei ricchi”.

De Socio ha disegnato a tinte fosche lo scenario di risulta di questo provvedimento in rocambolesca gestazione e ha poi passato la parola a Carmine Ranieri, segretario generale della Cgil dell’Abruzzo e del Molise, che a sua volta ha sottolineato come questo provvedimento aggraverebbe le differenze che già esistono fra il settentrione e il sud dell’Italia per l’erogazione di servizi di prima necessità.

Ha fatto una disamina articolata di come i cittadini abruzzesi e molisani siano già penalizzati per l’accesso alle cure del sistema sanitario nazionale e per alcune terapie in particolare.

E’ stata poi la volta del presidente della Regione Molise Donato Toma che ha messo in luce come sul Regionalismo differenziato si è realizzato ormai un consenso trasversale dal punto di vista politico e, temerariamente, ha provato ad argomentare come la prospettiva che delinea il provvedimento potrebbe rappresentare addirittura un’opportunità per il Molise. Toma ha detto che lo Stato dovrebbe prima definire i LEP (livelli essenziali di prestazione) ai quali hanno diritto i molisani, e dovrebbe mettere mano alla dotazione del fondo per la perequazione infrastrutturale, che consentirebbe alla nostra regione di essere attrattiva per le imprese, che finalmente potrebbero venire ed investire nel nostro territorio. “Con infrastrutture adeguate il Molise non avrebbe più bisogno di contributi dai centri di spesa”, ha sentenziato Toma, senza spiegare però perché la deindustrializzazione non ha investito solo la nostra piccola e marginale regione, ma anche quelle adeguatamente infrastrutturate del centro-nord.

A conclusione del suo intervento il presidente del Molise ha auspicato che non si parli più di Regionalismo differenziato, bensì di regionalismo cooperativo, come se la prospettiva e gli esiti di un’iniziativa politica di questa portata cambiassero con l’aggettivo d’accompagnamento.

Ha preso poi la parola Gianni Cerchia, docente di storia contemporanea all’Unimol.

Ha innanzitutto portato il saluto del nuovo Rettore dell’Università del Molise Luca Brunese che ha voluto ringraziare la Cgil per il tenore e la qualità dell’iniziativa che coglie un aspetto decisivo per la vita e per il futuro anche delle piccole università come quella molisana.

Con grande padronanza ed eccezionale capacità di sintesi, in un intervento contenuto in un quarto d’ora più o meno, Giovanni Cerchia ha ripercorso la storia del nostro Paese dall’Unità fino ai giorni nostri, in relazione alle politiche adottate nelle diverse epoche a proposito del rapporto fra centro e periferia dello Stato.

E’ stata poi la volta di Michele Barone, giurista e ricercatore Unimol, che ha ribadito come il tema del Regionalismo differenziato sia coperto da una coltre di silenzio che ne impedisce il dibattito aperto e plurale, che faccia luce sulla effettiva, nefasta sua portata.

Barone ha detto di non essere affatto contrario all’autonomia delle regioni, ma che l’iniziativa di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ha praticamente bypassato la discussione che si era proficuamente avviata con la riforma del titolo V della Costituzione e con il federalismo fiscale.

Ha proseguito dicendo di essere in totale disaccordo col presidente Toma che ha definito il Regionalismo differenziato una “opportunità” per il Molise.

Anche Barone, ottemperando all’esito di un dibattito che aveva già avuto luogo in seno all’Assemblea costituente, sottolinea le conseguenze benefiche dell’autonomia regionale che favorisce la partecipazione democratica, realizza con organicità la filiera istituzionale irradiandola pervasivamente sui territori e contribuisce a realizzare e rafforzare l’unità del Paese; ma il Regionalismo differenziato – ha concluso – non è un provvedimento di questa natura e minaccia addirittura la coesione e l’unitarietà della nazione.

Ha preso dunque la parola Pino La Fratta, segretario della FLC dell’Abruzzo e del Molise, che ha detto come la Cgil si sia impegnata a portare il dibattito sull’autonomia differenziata nelle scuole, registrando la contrarietà convinta degli insegnanti a un provvedimento che consentirebbe di regionalizzare il sistema d’istruzione pubblica, snaturando un servizio fondamentale come la scuola, che è stata senza dubbio il laboratorio più efficace per l’unificazione del paese.

Il progetto di riforma già elaborato dal Veneto prevede il passaggio degli insegnanti nei ruoli regionali, l’adattamento dei loro stipendi alle possibilità d’investimento della Regione e addirittura una revisione in senso regionalista dei programmi d’insegnamento.

Questo scenario prefigura scuole di serie A (nelle regioni più ricche) e scuole di serie B (nelle regioni più povere), mette in discussione la libertà d’insegnamento dei docenti e mina alla base l’unità del paese.

Richiamandosi poi all’intervento di Toma, La Fratta ha detto che i LEP non solo dovrebbero essere definiti, ma anche garantiti con risorse certe e appostate, altrimenti anche le migliori intenzioni rischiano di naufragare in un mare di chiacchiere.

Il segretario della FLC di Abruzzo e Molise infine, ha richiamato la mobilitazione in atto della sua categoria che ha già raccolto 4.500 firme contro il progetto nefasto della regionalizzazione del sistema d’istruzione.

E’ intervenuto poi Enrico Raimondi, dell’Università di Chieti-Pescara, che in esordio ha stigmatizzato a sua volta il dibattito stentato riguardante un tema fondamentale per il futuro dell’intero paese e poi ha detto di apprezzare l’iniziativa in controtendenza della Cgil.

Dopo la grande crisi del 2008 – ha detto Raimondi – le regioni più ricche hanno scelto egoisticamente di pensare a loro, “prima a loro” direbbe il Ministro degli Interni, senza considerare però che nemmeno se trattenessero interamente il loro “residuo fiscale”, da sole, potrebbero competere su un mercato sempre più competitivo e globalizzato.

D’altronde – ha argomentato il giurista abruzzese – dal suo punto vista la preintesa per il Regionalismo differenziato non ha validità perché è stata siglata quando il Governo Gentiloni era in scadenza e dunque in regime di amministrazione ordinaria.

Infine, ha detto che l’impianto dei referendum svolti da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna confligge a livello nazionale con la Carta costituzionale e a livello internazionale con diversi Trattati europei firmati dal nostro paese negli anni passati.

Ha concluso dicendo che peraltro, a suo parere, il Parlamento che dovrà votare la preintesa, la rigetterà per diverse ed evidenti ragioni.

Antonella Golino, ricercatrice del Centro ArIA sulle aree interne dell’Università del Molise, ha illustrato la prospettiva della SNAI, con un ragguaglio dettagliato sulla programmazione e l’attuazione delle strategie nelle 4 aree interne molisane finanziate.

E’ stata poi la volta di Nerina Dirindin, docente presso l’Università di Torino e Senatrice della Repubblica (PD) nella scorsa legislatura.

Si è voluta innanzitutto complimentare, Nerina Dirindin, con la qualità del dibattito che aveva avuto luogo fino al suo intervento, perché lo ha ritenuto approfondito e competente.

Ha detto poi che l’obiettivo non dichiarato del Regionalismo differenziato è di ridurre la spesa per lo stato sociale e perciò ha auspicato che su questo provvedimento si promuova un approfondito dibattito che ci consenta di far fronte alla generale debolezza culturale del paese, al degrado della sua classe dirigente e alla sudditanza della sinistra, che ha finito per accettare i capisaldi dell’analisi e della proposta neoliberista.

Ha proposto d’impiantare la resistenza contro la prospettiva del Regionalismo differenziato sull’articolo 119 della Costituzione, il quale assicura ad ogni cittadino italiano, ovunque sia residente, gli stessi servizi (i LEP) finanziati con la fiscalità generale proporzionata alla capacità reddituale di ognuno.

In conclusione ha invitato le Regioni meridionali ad accrescere la qualità e la competenza delle loro classi dirigenti, in modo da mettersi in condizione di cogliere le opportunità offerte dal processo d’integrazione comunitaria.

Sono intervenuti poi i Consiglieri regionali (PD) Vittorino Facciolla e Micaela Fanelli presenti in sala.

Il primo, segretario regionale del PD, ha stigmatizzato con forza l’intervento del presidente Toma, dal suo punto di vista confuso e approssimativo. Accontentarsi della dotazione infrastrutturale per far passare un dispositivo che ci marginalizzerebbe ulteriormente è una prospettiva suicida, che oltretutto il presidente del Molise dice di aver adottato bypassando il dibattito doveroso e democratico in seno al Consiglio regionale. Ha concluso plaudendo all’iniziativa organizzata dalla Cgil e ha assicurato su questi temi la disponibilità del Partito Democratico a condurre unitariamente la battaglia.

Micaela Fanelli, con una comunicazione brevissima ma efficace, ha detto che 66 sindaci molisani hanno impugnato, presso il TAR del Lazio, insieme ad altri 4 sindaci del sud, la norma di riparto del fondo nazionale per i Comuni, mettendo così alle corde il Ministro Giorgetti che ora dovrà spiegare ai magistrati del Tar, entro il 22 giugno, in una “dettagliata relazione” come sono arrivati a quei conteggi. Dunque, il principale blocco sulla strada del regionalismo differenziato verrebbe proprio dalla nostra regione. Questo, perché i principi costituzionali assunti alla base di una eventuale pronuncia favorevole ai 66 comuni molisani sarebbero gli stessi invocati per sostenere l’incostituzionalità di scelte che violentano la perequazione e la coesione territoriale, sanciti dall’art. 119 della costituzione. D’accordo che il 116 consente percorsi di autonomia diversificati, ma lo consente chiaramente solo nel rispetto dell’unità nazionale e nell’aiuto ai territori più svantaggiati. Questo sostiene il ricorso dei comuni per il riparto del fondo di solidarietà comunale.

L’intensa mattinata di lavoro è stata conclusa da Sandro Del Fattore, membro della segreteria nazionale della Cgil, che per tre anni è stato al vertice delle Confederazioni dell’Abruzzo e del Molise e le ha condotte verso l’unificazione.

Ha esplicitato a sua volta la speranza che la preintesa firmata da Bressa con le tre Regioni non sia ratificata dal Parlamento, ha però fatto notare che all’indomani del risultato elettorale delle europee dello scorso 26 maggio, Salvini ha fatto sapere quali sono i due obiettivi irrinunciabili per la Lega uscita vincitrice dal pronunciamento: la flat tax e il regionalismo differenziato; provvedimenti legati da un’unica logica deleteria, afferente alla “secessione dei ricchi”.

Del Fattore ha detto che contro questi provvedimenti bisognerà sviluppare una battaglia molto dura, che però sarà assai difficile perché sarà ostacolata dalla pochissima attenzione politica e culturale.

Il dirigente sindacale avrebbe voluto che i presidenti delle Regioni amministrate dalla sinistra si fossero opposti al Regionalismo differenziato, e invece l’Emilia Romagna ha addirittura svolto un referendum consultivo per favorirlo, contribuendo ad offuscare le differenze che dovrebbero opporre la sinistra alla destra.

L’autonomia differenziata va contrastata perché acuisce le divisioni che già esistono nel nostro paese; è esemplare quello che è accaduto per i fondi destinati all’Università, assegnati con criteri che apparentemente premiano l’eccellenza, ma che in realtà sono finiti per il 45% a finanziare le Università di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte occidentale (il Politecnico).

L’Italia ha bisogno di un piano straordinario d’investimenti per ricerca, cultura e alta formazione.

E’ al prima volta dal XVII secolo – ha tuonato Del Fattore – che l’Europa perde il primato nel mondo sulla ricerca e l’innovazione.

La Germania ha investito risorse ingenti in questo settore ma non ha fatto così l’Italia. Del Fattore ha citato a sua volta Giancarlo Viesti quando dice che il futuro manifatturiero del paese non è affatto scontato; abbiamo perso il 25% del nostro apparato produttivo, che attualmente è costituito da sole 4.000 imprese; troppo poche per reggere una concorrenza sempre più aggressiva e globalizzata; queste imprese poi, affatto casualmente, sono situate in maggioranza in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ed esportano massimamente in Germania.

Al sud ci sono potenzialità e vocazioni sulle quali investire, ma negli ultimi 10 anni i finanziamenti in conto capitale sono quasi del tutto scomparsi, trasformando quelli comunitari da concorrenti come sarebbero dovuti essere in sostitutivi, e spesso fuori della portata d’attivazione da parte delle imprese meridionali, piccole e in difficoltà.

Ha chiuso Del Fattore, invitando i presenti a una mobilitazione per il prossimo 22 giugno organizzata dai sindacati e annunciando l’organizzazione degli Stati Generali della cultura, a cura della Cgil nazionale.

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