La continua trasformazione della Bellezza e della Vita

Mogol e Simone Cristicchi alla Fraternità di Romena

A Pratovecchio, in provincia di Arezzo, Mogol e Cristicchi si sono incontrati negli spazi della Fraternità di Romena, per parlare di vita e di morte, di ricordi e presente, di bellezza

di Giovanni Petta

La Fraternità ha il suo cuore nell’antica pieve romanica di Romena, in Casentino. In una valle che trasuda spiritualità – la valle di Camaldoli e la Verna – Romena si propone come un crocevia per i viandanti del nostro tempo. Così come per i pellegrini del Medio Evo, in marcia verso Roma, la pieve rappresentava un punto di riposo dove fermarsi per una notte, rifocillarsi e ripartire, così oggi la Fraternità vuol offrire un luogo di sosta ai viandanti di ogni dove. Una sosta per ritrovarsi e riscoprire la bellezza della nostra unicità, una sosta per poi riprendere e proseguire il proprio personale cammino di crescita. «Oggi – spiega don Luigi Verdi, fondatore e responsabile della Fraternità – non abbiamo tanto bisogno né di teorie, né di ideologie, ma di silenzio, di una pausa, di un tempo per riallacciare i rapporti con la nostra autenticità. Ed è questo ciò che proviamo a offrire a Romena».

E chissà che Mogol e Cristicchi non abbiano avvicinato questi monaci per la stessa necessità; che abbiano sentito il desiderio di un tempo meno concitato così da trovare rapporti più profondi con se stessi e con gli altri.

Con la chitarra tra le mani, e con accanto Riccardo Ciaramellari – musicista di qualità e sempre pronto ad accompagnare con adesione e delicatezza la poesia che viene a crearsi su un palcoscenico – Simone Cristicchi ha intervistato Mogol e ha cantato alcune canzoni dell’infinito repertorio del Giulio nazionale: da «La prima cosa bella» per Nicola Di Bari a «Mediterraneo» di Mango; da «Io non so parlar d’amore» per Celentano a quelle ugualmente strepitose scritte con Battisti.

Un Mogol in gran forma si è lasciato «provocare» da Cristicchi – ha persino cantato! – e ha raccontato se stesso nei rapporti con gli artisti che ha conosciuto e in quello, da qualche anno più sentito, con Dio.

«Prego per i miei morti – ha detto -, per i miei cari, per le persone in difficoltà… non frequento molto le chiese ma dedico ogni giorno venti o trenta minuti alla preghiera».

Cristicchi, curiosissimo, ha voluto saperne di più. Così Mogol ha spiegato che non bisogna aver paura della morte. «Sono convinto – ha detto – che la morte sia una trasformazione, un procedere in un’altra dimensione. E così come non siamo stati abbandonati al momento della nascita, non lo saremo in questa nascita ulteriore. Troveremo lo stesso amore che abbiamo trovato quando siamo venuti al mondo».

Un dialogo piacevole ed emozionante su temi che interessano a entrambi. E che hanno interessato la sala gremitissima e le persone che non sono riuscite ad entrare e che hanno seguito l’evento da un maxischermo collocato all’esterno. «Sto leggendo un libro di Giovanni Vannucci – ha detto Cristicchi -; mi ha impressionato una sua riflessione sul fatto che ci sarebbe una trasformazione impressionante se scoprissimo e avessimo la certezza di essere eterni…»

«Sarebbe un momento di libertà grandissimo – ha replicato Mogol -, io devo molto alla mia scelta di libertà che ora è più pacata e saggia. Ma da giovane sono stato un grande incosciente e ho fatto cose pericolose. Ecco perché sono convinto di essere stato sempre assistito da qualcosa o da qualcuno. Mi sento assistito… e ringrazio Dio per questo».

Il passaggio agli «arcobaleni» che hanno caratterizzato la sua vita, a questo punto, è stato semplice. L’autore dei testi più belli della musica italiana ha raccontato della medium spagnola che aveva avuto incarico da Battisti, dopo la sua morte, di chiedere a Mogol una canzone in cui immaginasse che fosse Lucio a parlare di lui. La copertina di un giornale che riportava il musicista di Poggio Bustone accanto a un arcobaleno. La facilità con cui il testo della canzone arrivò alla sua penna. La facilità nel trovare subito a disposizione la musica di Gianni Bella. E ancora… la facilità con cui Celentano registrò la canzone nel cuore della notte. Infine, l’arcobaleno che si adagiò sul cofano della sua macchina, come a voler chiudere il cerchio di quella richiesta arrivata da chissà dove.

E, poi, sempre sollecitato da Simone Cristicchi, è arrivato il racconto dell’episodio relativo a Mango. «Viaggiai tutto il giorno – ricorda Mogol – con mio figlio, che voleva farmi ascoltare in macchina le canzoni che avevo scritto per il cantante lucano. Così, partendo da «Oro», riascoltammo tutti i brani di quella collaborazione così riuscita. Fu un viaggio incredibile perché, pur nel cielo azzurro di quella giornata tersa, gli arcobaleni sembravano seguirci. E mio figlio li fotografò tutti. Sapemmo solo verso mezzogiorno che Mango era morto la sera prima, durante un concerto. E, prima di abbandonare il palco, aveva chiesto scusa al pubblico per il malore che lo aveva colpito. Un vero signore…»

Mogol sembra non stancarsi mai. Racconta e canta. Cosa che non fa quasi mai e che meraviglia Cristicchi. Racconta del suo primo incontro con Lucio Battisti e del talento latente che è in ognuno di noi. «Basta lavorare sodo – dice –, diecimila ore di dedizione all’arte fa di qualsiasi uomo un artista!»

Cristicchi lo ascolta con attenzione profonda, meravigliandosi di tante coincidenze: l’attenzione alla natura, la ricerca di un panteismo sempre più contemporaneo: l’immaginarsi presente all’amata pur nell’assenza della morte («Dormi amore») o «Lo chiederemo agli alberi» che sembra un «Cantico di Frate Sole» del nuovo millennio.

Il tempo passa velocemente e Mogol chiede a Cristicchi di chiudere con «Abbi cura di me», la canzone portata a Sanremo e che sembra racchiudere tutto quanto detto fino a quel momento. Un sigillo di bellezza posto sulle parole luminose dei cercatori di verità del nuovo millennio.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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