Elezioni a Campobasso: ci siamo fatti riconoscere

Pericolo scampato, innanzitutto, verrebbe da dire. La candidata della Lega, Maria Domenica D’Alessandro, nonostante l’ingente campagna acquisti nel campo avversario con i 3 componenti della passata Giunta decisivi eccome nella buona affermazione del primo turno; e soprattutto, nonostante il tentativo di mobilitare, attraverso le quasi 160 candidature al Consiglio, i parenti, gli amici dei parenti, gli amici degli amici, insomma tutta la clientela possibile e immaginabile, ha preso una batosta che va persino oltre le pur ottimistiche (dal nostro punto di vista, ovviamente) previsioni che avevamo fatto alla vigilia del ballottaggio.

Ha vinto, anzi stravinto Roberto Gravina, che negli ultimi 5 anni ha guidato la piccola ma combattiva pattuglia dei 5 stelle in Consiglio comunale con il compito assai improbo – più che altro per la scarsa ricettività della maggioranza alle proposte esterne – di fare opposizione.

Il giochetto del centrodestra, di sguinzagliare la sua flotta di candidati consiglieri per raccattare più voti possibili, ha funzionato solo per il primo turno. Al ballottaggio, quelli rimasti fuori dai giochi hanno smesso di fare telefonate e così l’esercito di sudditi che l’aveva votata in prima battuta, complice la bella giornata, è fuggito in ordine sparso verso la costa lasciando la D’Alessandro col misero risultato di 7.228 voti, cioè il 31% del 54% degli aventi diritto.

Gravina invece si è preso tutti i voti della buonanima del centrosinistra, compresi quelli della lista “Io amo Campobasso”, con buona pace di Paola Liberanome che aveva rivendicato un’assurda equidistanza tra i candidati al ballottaggio (qualche malpensante ha pure sostenuto che la candidata animalista gufasse Gravina) e che, per uno scherzo del destino, ha visto sfumare la propria sediolina in Consiglio a causa di una ripartizione dei seggi che la avrebbe premiata solo in caso di vittoria del centrodestra.

Il neo-sindaco, tradendo la comprensibile euforia del post voto, ha esposto la sua teoria secondo cui il suo 70% sia stato il frutto di uno spostamento di voti non solo da sinistra, ma anche da destra. Probabilmente si tratta del tentativo di apparire come il sindaco di tutti. Un’intenzione che gli fa onore e che conferma ulteriormente la sua visione della politica come strumento di cambiamento.

La verità, però, è che tutti coloro che avevano votato il centrosinistra, magari turandosi un po’ il naso, perché in fondo “Antonio (Battista) è una brava persona” – senza contare che anche il centrosinistra al primo turno aveva tentato maldestramente di imitare il trucchetto del centrodestra – hanno visto in Gravina quel po’ di tensione ideale che mancava a tutti gli altri, una ventata di aria fresca in un ambiente stagnante, oltre che l’ultimo baluardo contro l’avanzata leghista.

Poi c’è un altro aspetto interessante. Simbolicamente, più che altro. Mentre a livello nazionale l’alleanza giallo-verde sta corrodendo impietosamente il M5S a vantaggio della Lega, nel capoluogo dell’inesistente Molise, il Movimento trova il suo riscatto sbaragliando gli alleati di governo e costringendoli ad una figuraccia non da poco. Peraltro caso unico in Italia rafforzato dal fatto che il M5S aveva perso (senza riuscire neppure ad arrivare al ballottaggio) anche le uniche due città che già amministrava: Livorno e Avellino.

Chi – come il quotidiano Repubblica – parla di “aiutino dem”, evidentemente non sa quello che dice. Ritenere che gli attuali dirigenti del PD abbiano il potere di spostare a proprio piacimento il voto dei propri elettori, vuol dire sopravvalutare alla grande la credibilità e il consenso reale di cui godono. Piuttosto, è una fortuna che i loro appelli a votare il M5S contro il pericolo leghista non abbiano prodotto il risultato opposto a quello desiderato. Così come, pensare che i 5 stelle negli ultimi giorni di campagna elettorale abbiano cercato una sponda nel PD, significa sottovalutare la loro intelligenza.

Gravina ha vinto perché rappresenta un’opzione realmente progressista, perché in fondo a Campobasso resiste ancora una massa critica – per quanto minoritaria in termini assoluti – che non vuole arrendersi all’idea di uno sviluppo della città disarmonico e brutale, frutto della subalternità degli amministratori rispetto agli interessi particolari degli speculatori e della grande distribuzione.

Per la prima volta, non solo ci siamo fatti riconoscere, ma ci siamo riconosciuti.

Paolo Di Lella100 Posts

Nato a Campobasso nel 1982. Ha studiato filosofia presso l'Università Cattolica di Milano. Appena tornato in Molise ha fondato, insieme ad altri collaboratori, il blog “Tratturi – Molise in movimento” con l'obiettivo di elaborare un’analisi complessiva dei vari problemi del Molise e di diffondere una maggiore consapevolezza delle loro connessioni. Dal 2015 è componente del Comitato scientifico di Glocale – Rivista molisana di storia e scienze sociali (rivista scientifica di 1a fascia), oltre che della segreteria di redazione. Dal 2013 è caporedattore de Il Bene Comune e coordinatore della redazione di IBC – Edizioni. È autore del volume “Sanità molisana. Caccia al tesoro pubblico”. È giornalista pubblicista dal 2014

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