Le qualità nascoste di un ospedale
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si è trascurato in passato l’aspetto qualitativo nella progettazione degli spazi, puntando prevalentemente sulla funzionalità. Eppure la gradevolezza dell’ambiente influisce sul trattamento terapeutico.
In passato gli ospedali assomigliavano ad edifici per uso militare. Come esempio prendiamo il “vecchio” Cardarelli che assomiglia molto alla caserma dei carabinieri di Via Mazzini oppure al distretto militare nella piazza Musenga, per l’impostazione delle facciate nelle quali è indicativa l’assenza di balconi, le aperture costituite da una teoria di finestre. I prospetti di nosocomi antichi sono meno rappresentativi di quelli degli edifici destinati ad ospitare le istituzioni pubbliche. Rimanendo sempre nel capoluogo regionale questi ultimi presentano delle decise caratterizzazioni sul fronte principale, cosa che manca nel “vecchio” ospedale.
A determinare la natura del municipio di essere il fulcro, non solo amministrativo, della città vi è il porticato il quale è anche un’attrezzatura urbana, un’estensione della piazza principale, mentre per quanto riguarda il palazzo della Provincia vi sono sporgenti dalla parete una serie di teste di personaggi storici a conferire ad esso un carattere particolare di luogo della riflessione sulle sorti della nostra terra e invece la Prefettura si distingue non tanto per l’aulico portale, altrettanto solenne di quelli che marcano gli ingressi dell’ex ospedale quanto per la ricchezza delle modanature che ben si addicono alla sede della rappresentanza del governo.
L’immagine che connota le strutture sanitarie è, in qualche modo, neutra, asettica come devono essere i suoi spazi interni i quali sono semplici e lineari, non, di certo, rappresentativi, rispondendo ad un unico imperativo, quello dell’igiene perché il rischio di infezioni nelle corsie ospedaliere è stato sempre presente. Nei suoi vani manca ogni tipo di decorazioni che, specie se in risalto, sarebbero difficili da pulire e i materiali, letti, sedie, ecc. sono estremamente pratici. Tutto è mirato alla funzionalità.
Anche in seguito, compreso il periodo, Anni 80, del XX secolo, in cui sono stati costruiti gli attuali nosocomi molisani, si è rinunciato a ricercare forme particolari per gli ospedali, i quali rimangono dei blocchi compatti più o meno allungati, salvo che, per quanto il “nuovo” Cardarelli e il S. Timoteo di Termoli, al piano terreno del corpo principale è aggregato un volume basso che contiene i servizi. La ricerca di soluzioni architettoniche innovative, peraltro con successo come nel caso del recentissimo centro di salute mentale di Via Garibaldi, si esplica solo su manufatti minori.
L’austerità della configurazione esterna, si sta per dire la severità, ha un effetto respingente che oggi viene sempre più mitigato rendendo maggiormente accoglienti gli ambienti che vi sono dentro. La qualità spaziale negli organismi ospedalieri sta acquistando importanza. Addirittura c’è chi critica che le azioni poste in campo per renderli, diciamo così simpatici siano poco consone ad un luogo di cura, giungendo ad affermare che esse siano non rispettose del dolore che qui si prova. Si contrappone ad una visione di ospedale tetro quella di un posto sereno in cui durante il periodo di degenza, adesso assai breve, il paziente riesca ad avvertire al suo intorno un clima confortevole.
Si può agire su diversi fronti per migliorare la gradevolezza ambientale, uno dei quali è quello della colorazione delle pareti. Per parete va inteso pure il soffitto il quale va dipinto con tonalità riposanti visibile com’è dagli ammalati in posizione allungata sul letto. Attraverso i colori è possibile differenziare singole parti, i locali, i corridoi, gli atri e così via, identificato ognuno di essi con una diversa tinta. Oltre al riconoscimento degli ambienti un opportuno trattamento coloristico favorisce l’orientamento dei frequentatori del nosocomio ed è capace di rendere percettivamente interessanti i percorsi, generalmente lunghi e, di conseguenza noiosi.
Vi sono esperienze di istituti di cura nei quali si è scelto di colorare in maniera uniforme per piano così che ogni livello si caratterizzi per un determinato colore al fine di consentire di orientarsi in modo rapido. È una novità assoluta questa della tinteggiatura, a tratti vivace, delle mura, almeno se confrontata con la regola di lasciare bianche tutte le superfici che vigeva nei sanatori quasi a voler significare la purezza degli spazi; in generale la chiarezza delle pareti si associa a quella semplicità volumetrica, lo abbiamo visto prima, che connotava le opere sanitarie e che viene a simboleggiare l’igienicità, requisito fondamentale per lo svolgimento delle cure.
Osservata da un’altra angolazione, una distribuzione dei vani semplice, la quale consegue da un impianto stereometrico elementare, è anch’essa un fattore, alla medesima stregua della colorazione, che favorisce l’orientamento delle persone che transitano o sono ricoverate in ospedale. L’obiettivo dell’igiene rientra in quello più ampio della salubrità, il secondo dei quali deve essere stato alla base della decisione di costruire l’attuale complesso ospedaliero in un ambito prossimo ad un’area di pregio naturalistico con, quindi, tanto verde intorno; la sua posizione collinare, la collina di Tappino, consente di avere una buona ventilazione e luce solare durante il periodo diurno.
La distanza dalla città, poi, garantisce che non vi sia l’inquinamento e il rumore (la sottostante superstrada è, comunque, abbastanza lontana). Nelle vicinanze dell’ospedale regionale vi è la Cattolica (ovvero Fondazione Giovanni Paolo II) che è un po’ più in alto, totalmente immersa nel bosco Faete, ambedue aziende assistenziali collocate nel comprensorio di Montevairano. Per questa zona riconosciuta Sito di Importanza Comunitario, è stata prevista la nascita di un parco legato alle sue valenze ambientali ed archeologiche per cui sono presenti sentieri, punti di sosta e attrezzature culturali e sportive le quali adesso unite a quelle per la salute ne fanno una specie di stazione turistico-terapeutica.
Le condizioni climatiche, molto apprezzate nelle stagioni calde, e la ricca dotazione di vegetazione ne fanno un luogo privilegiato per la cura del corpo: e l’ubicazione qui dei due ospedali viene a confermare tale vocazione del rilievo montuoso. A Termoli, invece, la contigua, bellissima chiesa di S. Francesco consola i pazienti dell’ospedale che sono credenti con il messaggio religioso sulla vita ultraterrena insito nella fede cattolica. A differenza di Campobasso in questo caso la cura del corpo si associa con quella dello spirito, la quale, ad ogni modo, la si consegue pure a Montevairano perché il frequentare la natura porta con sé la ricreazione dell’animo.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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