L’asl dipende dalla regione che dipende dallo stato
di Francesco Manfredi-Selvaggi
L’autonomia aziendale trova un limite nelle disposizioni regionali le quali, a loro volta, devono misurarsi con le norme nazionali.
La sanità ha molti padroni e la gerarchia tra chi comanda in questo campo si è nel tempo modificata. Iniziamo nella descrizione di tali cambiamenti da molto lontano, da un’epoca che sanitariamente parlando possiamo considerare arcaica. Il discrimine tra le due ere nelle quali suddividiamo la vicenda sanitaria è il 1978. In quell’anno fu varata l’epocale Riforma Sanitaria che è in sintonia con il consolidarsi nel nostro continente (bisognerà attendere il 1989, con la caduta del muro di Berlino perché si estenda anche ai Paesi dell’Europa dell’Est) delle politiche di welfare state.
Ciò che c’era prima non era molto perché le istituzioni relegavano la salute ad una questione di sicurezza collettiva la cui tutela era la tutela dalle infezioni; la lotta era principalmente contro le malattie infettive e, di conseguenza, la prevenzione era limitata al contrasto delle cause scatenanti, di qui l’igiene urbana con la clorazione dell’acqua da bere, l’allontanamento dei rifiuti fognari dall’abitato, e della diffusione del morbo attraverso la vaccinazione.
Il cittadino non abbiente non aveva possibilità di scelta del medico dovendosi rivolgere al medico condotto né, tantomeno, dell’ospedale, quello provinciale. Le prestazioni erogate erano quelle di base e per ottenere di meglio occorreva essere iscritti ad una mutua e già per questo fatto vediamo che non si è tutti uguali e questa diversità si accentua guardando al mondo degli enti mutualistici, un’autentica galassia che garantiva forme di assistenza differenti fra loro. Niente a che vedere con il diritto alla salute dell’art. 32 della Costituzione che deve essere egualitario come ogni principio costituzionale.
C’è un inciso che si vuole fare rispetto alle mutue le quali assomigliano un po’ alle assicurazioni e che oggi si stanno iniziando a diffondere, sostenute da insistenti campagne pubblicitarie, polizze assicurative che assicurano, appunto, il godimento di servizi curativi, aggiuntivi o sostitutivi o come si voglia a quelli offerti dal pubblico; quello della sanità è un settore molto appetitoso che desta, quindi, interesse per gli investitori finanziari. Si stava trascurando e non sarebbe stato giusto l’importante ruolo assistenziale che hanno avuto le assicurazioni di beneficenza e gli organismi legati alla chiesa cattolica.
Il panorama era, come si vede, assai variegato e poco governato e solo per le cure di base il riferimento era il Comune; non è che non c’è chi tiene insieme il sistema, ma è il sistema che non c’è. Il sistema sanitario nasce nel ’78 con la legge 833 la quale piuttosto che “riforma sanitaria” sarebbe, forse, opportuno chiamare “fondazione sanitaria” per quanto si è appena detto. Essa, sostanzialmente, consiste nell’assunzione da parte del pubblico di ogni compito in materia, anche svolgendo attività che prima in gran parte erano caselle scoperte per cui non si tratta di “statalizzare” bensì di fondare la sanità.
Le amministrazioni comunali sono gli attori fondamentali della fase che si inaugura nel 1978 toccando ad esse, in forma associata, la conduzione della Unità Sanitaria di Base, nonostante che erano ormai, siamo nel ’70, istituite le Regioni le quali, però, stentano a conquistare una parte nella scena tra gli attori della sanità, bisognerà attendere per ciò la fine del millennio. Non è, comunque, che in questo ventennio i Comuni abbiano occupato il campo per l’intero periodo. Il loro predominio dura circa 15 anni, tanti quanti sono durate le Usl. Si ha nel ’92-’93 la loro trasformazione in Aziende Sanitarie Locali.
Il rapporto diretto nel trasferimento dei fondi che c’era stato tra il Ministero e i Comuni, da questo momento cessa e l’interlocutore dell’organo governativo diventa la Asl. A quest’ultima era affidata dalla normativa in vigore in quel tempo la responsabilità di assicurare ai cittadini il soddisfacimento del fabbisogno sanitario. I Comuni, da un lato, vengono estromessi dal governo della sanità e per le Regioni, dall’altro lato, è ancora da venire il conferimento di competenze. È nell’aria, però, che qualcosa fra non molto cambierà, ma non nel senso che auspica il partito dei “comunardi”, che è poi il ritorno al passato, bensì il direzione di quello che propugnano i “regionalisti”.
Non è accettabile più, nel clima che si va affermando nell’ultimo scorcio del XX secolo, che sia quella statale l’unica sede politica (quella per così dire tecnica è costituita dalle Asl) in cui si prendano decisioni in riguardo ai problemi della salute della popolazione, che è il clima del federalismo. All’alba del nuovo millennio vede la luce la riforma del Titolo V della “Carta” nel quale si va in tale direzione pure per quanto concerne la sanità. Un federalismo, ovviamente, “temperato” conservandosi l’autorità nazionale ampie prerogative, che è basato sulle Regioni e non sui Comuni, riproducendosi a scala regionale lo stesso modello centralista che, in precedenza, connotava i rapporti tra entità statale e regionale.
I Comuni sono fatti fuori quasi totalmente, se non fosse per le attribuzioni che mantengono nel settore del sociale che è complementare, per molti versi, a quello sanitario. La regionalizzazione si aggiunge alla statalizzazione, non la esclude, ma vi si, figurativamente, sovrappone ed entrambi questi regimi governativi vengono a condizionare l’andamento della sanità. Le Asl che rimangono subordinate alle disposizioni nazionali, ora lo sono pure a quelle, di natura organizzativa, regionali perdendo, così, un altro grado di autonomia aziendale.
Nel Molise, poi, si ha una situazione piuttosto rara nel panorama italiano che è quella di aver voluto, con propria legge, nel 2005 l’amministrazione regionale un’unica Asl che è l’Asrem e ciò rende il legame e con esso la dipendenza ancora più stretta che fa sembrare l’Asrem una specie di ente sub regionale. Questa compresenza di una pluralità di soggetti denuncia il grande interesse che vi è per la sfera sanitaria, nella quale sono investite ingenti risorse economiche il cui utilizzo e, soprattutto, lo spreco va controllato.
È giunta l’occasione per far entrare in gioco un ulteriore protagonista che seppure in ombra finora occupa un posto fondamentale che è l’Unione Europea. La spesa pubblica, in base alle regole comunitarie, va contenuta e occorre risanare il forte deficit accumulato per stare dentro ai Trattati: di qui trova giustificazione la forma aziendalista la quale mira al pareggio tra costi e ricavi portando in parità i bilanci e la corresponsabilizzazione del quadro istituzionale nel suo insieme.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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