In condizioni da ricovero
Francesco Manfredi-Selvaggi
Sono quelle patologie che richiedono di doversi ricoverare in ospedale. Attraverso la rilevazione delle Schede di Dimissione Ospedaliera si conosce con esattezza il numero dei ricoveri e meno le cause degli stessi.
Per conoscere le problematiche sanitarie, in particolare quelle legate all’ospedalizzazione, e quindi per poter programmare la fonte disponibile di dati è costituito dalle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO). È forse quello più standard, in quanto basato su un rilevamento oggettivo, che non necessita di correlazione o interpolazione o che si voglia per ricavare il valore richiesto il quale è il numero “crudo” del totale dei ricoveri, tra i “flussi formativi” previsti nella “griglia” LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).
Quello dei flussi formativi è un obbligo per le Regioni e serve a verificare il rispetto, appunto, dei livelli assistenziali indispensabili da garantire alla popolazione; in verità i flussi informativi i quali riguardano, oltre al quantitativo di ricoveri tra gli altri, le prestazioni ambulatoriali, gli screening effettuati, i consumi di farmaci, i certificati di assistenza al parto, misurano le attività svolte dall’amministrazione regionale che, poi, hanno una ricaduta sull’assistenza ai cittadini. Vale la pena specificare che i flussi informativi si chiamano flussi perché sono un rilevamento in continuo, per dirla diversamente in tempo reale, poiché vi è un loro aggiornamento costante, istantaneo, niente a che vedere con le periodiche sia se esecutive, come sono i flussi informativi, sia se campionarie.
Un flusso informativo, lo si sottolinea ulteriormente, non ha niente a che vedere con un censimento il quale ha una cadenza temporale mentre il flusso informativo è una raccolta di tipo corrente e neanche nulla da condividere con le rilevazioni a campione coprendo i flussi la totalità degli eventi da registrare. Un limite del flusso degli SDO è che questi non sono suddivisi per motivazioni di ricovero, nemmeno semplicemente tra i ricoveri medici e chirurgici. Le cause di ricovero non solo la quantità complessiva, sono utili per analizzare la domanda di salute di un territorio e, per questo scopo, cioè per orientare le politiche da mettere in campo in tema di sanità, occorre conoscere quali sono state le malattie nelle quali è incorsa la cittadinanza.
Occorre evidenziare che, comunque, il ricovero ospedaliero, pur dettagliato per tipo di patologia, non è capace da solo di evidenziare l’insieme degli stati patologici che hanno interessato la nostra comunità. Mancano, infatti, le situazioni morbose, pur gravi, per le quali non è richiesto che le persone colpite siano ricoverate in nosocomio. Oppure il sistema informativo così come concepito adatto a comprendere i fabbisogni degli organi di governo della sanità, riscontrando, magari, insufficienza dei servizi ospedalieri per far fronte alla domanda attuale, e non per permettere una lettura più generale della morbosità in quel dato ambito territoriale e, quindi, per consentire una programmazione delle azioni utili per contrastarla.
Queste ultime non consistono unicamente nell’ospedalizzazione e anzi occorre puntare più sulla prevenzione e sull’assistenza territoriale e meno sull’ospedalità. Del resto questa deve essere la principale preoccupazione dell’ente pubblico, che è, in definitiva, quella innanzitutto di prevenire i mali; per i soggetti privati è ben diverso la prevenzione portando a minor fatturato riducendosi la necessità di interventi chirurgici o di somministrazione di cure mediche. In qualunque modo la si intenda la ricognizione delle informazioni essa, comunque, occorra che escluda dal conteggio, al fine della comprensione della realtà sanitaria locale i ricoveri delle persone che non abitano nella regione e aggiunga quelli dei residenti avvenuti in sedi ospedaliere extraregionale.
Una differente accortezza è quella di computare per il medesimo individuo un unico ricovero, il primo, e non i successivi se riguardanti la stessa diagnosi (vengono identificati con la denominazione ricoveri ripetuti). Riprendendo il discorso avviato sopra sulla necessità di un quadro generale sul benessere fisico della società si ribadisce che non è esaustiva la conoscenza della numerosità dei ricoveri e con essa pure dei problemi di malessere corporeo che li hanno determinati perché, si aggiunge all’osservazione precedente circa la presenza di condizioni patologiche che non si risolvono con le cure ospedaliere, il ricorso al ricovero può essere influenzato dall’esistenza di una ipertrofica dotazione di posti letto nel nosocomio di quel certo distretto che induce all’ospedalizzazione nonostante che in alcuni casi non se ne avverte la necessità.
La scheda di dimissione (SDO) registra sì un ricoverato che, però, non sarebbe dovuto essere tale. L’indicatore Tasso di Ospedalizzazione che occupa un’apposita casella nel formulario LEA serve a mettere in luce proprio l’abnorme frequenza degli accessi nelle aziende ospedaliere quando, è ovvio, ciò accade, attraverso il confronto con i valori medi nazionali. Anche questo indice presenta dei limiti che sono simili a quelli già rilevati per il flusso informativo SDO che, sintetizziamo, di fare di tutta l’erba un fascio non essendo suddiviso per fattore causale.
Manca, peraltro, anche la distinzione su base anagrafica, quantomeno età e sesso, costituito da com’è dal rapporto tra i primi ricoveri (se ne è già spiegato il senso) e abitanti corrispondenti. Per completezza di ragionamento, al fine di valutare la domanda di salute che emerge da quel contesto non si possono trascurare le prestazioni erogate al di fuori delle strutture del servizio sanitario regionale. Esse non sono affatto trascurabili, per l’appunto, essendovi una forte tendenza, ovunque in Italia, ai consumi a pagamento, circa il 30% dell’insieme.
Tale percentuale cresce lì dove l’offerta pubblica è carente, specie nel settore delle patologie più gravi; in altri termini, si affronta la spesa out of pocket quando insorgono malanni molto preoccupanti, per cui essa può essere assunta, nella sua generalità non potendo articolarla, per via dell’assenza di informazioni dettagliate, per tipologia di stato morboso quale dato grezzo, da elaborare poi accuratamente, sui mali peggiori. Infine, un avvertimento che è quello di stare attenti sui resoconti delle attività degli istituti privati, non è mai successo nel Molise, che potrebbero avere la tentazione di accentuare nelle schede di dismissione ospedaliera la complessità del ricovero, da cui ne consegue un rimborso più elevato.
Francesco Manfredi Selvaggi636 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments