Inflessibile come un ospedale

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Nel senso che manca di flessibilità la quale significa che la struttura ospedaliera può modificare nel tempo la distribuzione dei suoi spazi interni per assecondare le trasformazioni in campo organizzativo, medico e tecnologico.

Una attrezzatura per la sanità è differente dalle altre attrezzature collettive, prendi le scuole, i municipi, ecc. perché non può essere qualcosa di definito per sempre, o almeno per un lungo arco di tempo essendo destinata a mutare con una certa frequenza; per continuare con il confronto con istituti per l’istruzione, vediamo che in tale settore, nonostante se ne parli spesso, non si sono avute innovazioni significative, anche nel campo edilizio salvo alcuni edifici sperimentali, mentre in materia sanitaria, a partire dal 1978, vi sono state importanti trasformazioni, che sono avvenute secondo un percorso articolato.

Oltre ai cambiamenti organizzativi con non solo il passaggio da usl a asl, ma anche con l’istituzione (mancata?) dei dipartimenti, vi sono impostazioni nuove nell’attività di cura con la progressiva deospedalizzazione per molti stati patologici. Si è, poi, verificata una autentica rivoluzione tecnologica, specie nella diagnostica dove c’è una tendenza forte all’aggiornamento dei macchinari che ha bisogno di tradursi in una carente organizzazione dello spazio. Una struttura assistenziale, dunque, non può essere un organismo stabile, immutabile, con un impianto architettonico una volta per tutte.

Nonostante tanti ospedali siano celebrati quali costruzioni di grande rilievo estetico l’architettura ospedaliera non può essere esclusivamente un esercizio artistico, anzi in essa dominano le esigenze gestionali, se non proprio quelle finanziarie essendo, il suo funzionamento una macchina assai costosa. La complessità di un nosocomio con le plurime branche al suo interno non lascia margini per una ricerca architettonica pura. La forma deve seguire la funzione secondo i precetti del Razionalismo: ciò è vero soprattutto per l’ospedalità; il disegno dei volumi non può essere stabilito a priori e neppure avere una qualche preminenza nella configurazione progettuale.

I nosocomi sono diventati luoghi di sperimentazione dell’assetto formale, come pure di quello impiantistico, strutturale e, non in ultimo, distributivo. Un punto fermo che si è raggiunto nelle esperienze finora condotte è quello della flessibilità dell’organizzazione spaziale. Essa è stata perseguita in due modi distinti che sono, da un lato, quello dell’adozione di una maglia strutturale molto ampia perché distanziando i pilastri si hanno locali vasti che è facile articolare, con partizioni movibili, in più vani, e, dall’altro lato scegliendo un passo dei telai in c.a. dimensionalmente rapportato alle misure di ambienti, per così dire, universali che possono servire, di volta in volta, da ambulatori, camere di degenza, studi medici e così via.

Si è detto della intelaiatura in cemento armato che, però, può essere sostituita, quale struttura portante, dai pannelli prefabbricati, sempre in calcestruzzo armato i quali, però, sembrano determinare una minore flessibilità dell’organismo edilizio, sacrificato a vantaggio della standardizzazione dei componenti di produzione industriale la quale permette velocità di esecuzione, semplicemente il loro montaggio, e riduzione dei costi. Ambedue i metodi costruttivi consentono di adeguare nel tempo, durante l’esercizio, le superfici ospedaliere.

Ciò che si viene a perdere nello spostamento di pareti, eliminazione dei divisori, chiusura o apertura di porte è, inevitabilmente, l’attenzione all’ergonomia degli spazi per via dell’intercambiabilità degli usi. La flessibilità, è scontato, deve essere un requisito indispensabile anche della progettazione delle reti impiantistiche, tanto più importante in quanto le attività sanitarie sempre più si servono di apparecchiature biomedicali, peraltro sofisticate, alimentate dall’elettricità e governate da computers. Le tecnologie sono avanzate e nello stesso tempo implementabili e per questo aspetto è appropriato anche per esse parlare di flessibilità.

Si è flessibili pure se si può crescere e, all’opposto, contrarre senza che vengano meno la coerenza dell’insieme: ci sono nosocomi in grado di espandersi senza perdere in organicità che non è la medesima cosa di fabbricati realizzati per lotti (vedi il terzo lotto del Cardarelli) e ci sono istituti di cura in cui l’ampliabilità è delle aree destinate all’assistenza senza l’aggiunta di ulteriori corpi di fabbrica, bensì utilizzando quelle parti in precedenza lasciate libere, magari perché il progetto iniziale era sovradimensionato come si riscontra nell’ospedale di Larino.

Quella di lasciare vuota una porzione del manufatto può essere una scelta deliberata per consentire alle strutture di durare a lungo, permettendo di adeguarsi ai progressi tecnologici e di svolgere nuove procedure mediche. In verità, oggi qui da noi il problema è diverso e cioè cosa fare del patrimonio edilizio sanitario vista la chiusura di alcuni nosocomi; il Piano Operativo Straordinario in vigore ha previsto il riutilizzo attraverso la loro riconversione in Case della Salute, operazione non da poco in quanto occorre verificare l’idoneità di tale sede per la destinazione che si è programmato di attribuire.

In altri termini se sono soddisfatti tra gli altri i parametri di illuminazione, di areazione, di rumorosità. Pur tenendo conto che le murature possono sempre essere acusticamente isolate; è sconsigliabile destinare a strutture di lunga degenza immobili troppo vicini ad una strada con grande traffico, la situazione del SS Rosario di Venafro, per il rumore. Il Vietri di Larino è un ospedale, per così dire, sopraelevato per via del piano terra a pilotis, ma ciò non dovrebbe essere di ostacolo ai malati cronici, lì ricoverati per una particolare terapia, o ai convalescenti di poter usufruire ai fini riabilitativi scendendo di un livello, del giardino di pertinenza che si potrebbe trasformare da semplice prato com’è ora mettiamo, in un frutteto.

Nell’alto porticato sarebbe possibile ricavare un “giardino d’inverno”. Ne gioverebbero, perlomeno psicologicamente, anche i ricoverati dell’hospice. È più radicale l’osservazione relativa ad Agnone: l’ospedale trovandosi in una zona urbanisticamente strategica con il fronte che costituisce un fondale per la città, nella versione ridotta che nei documenti di programmazione si propone potrebbe traslocare altrove e stabile, ospitare una funzione civica di altra natura, di tipo rappresentativo. Infine ritornando al tema principale che è il nosocomio flessibile è da aggiungere che concorre a conferire flessibilità ad un edificio è l’avere un impianto planimetrico semplice il quale non pone tanti vincoli ad ipotesi di ristrutturazione, a differenza di quello che avviene con piante con sporgenze e rientranze accentuate le quali mal si prestano a modifiche del layout, cosa che accade pure con fabbricati in muratura (lo sono i vecchi nosocomi) dove i setti murari possono essere eliminati per ragioni statiche.

Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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