In tintilia veritas
di Giovanni Petta
I «Riserva Moac» in concerto a Sessano
La contemporaneità non finisce mai di stupirci. «Più campo e più ne vedo» direbbe Rossano Turzo. Solo trent’anni fa si andava ai comizi per ascoltare le idee di cambiamento della società. Poi si andava ai concerti per immaginare un mondo diverso, sicuri che non sarebbe mai arrivato. Ma era bello immaginare – «Imagine», appunto – un mondo senza nazioni, senza religioni… la pace.
Il ribaltamento degli ultimi anni fa sì che si vada ai concerti per ascoltare idee pratiche di convivenza o soluzioni possibili per salvare il pianeta. Nello stesso tempo, si ascoltano i discorsi dei politici per passare il tempo, divertirsi, farsi due risate…
Ed è bello vedere i giovani ballare e divertirsi su una musica che coinvolge e su parole che stimolano la riflessione e che vanno riportate a casa per una riconsiderazione della propria esistenza.
I «Riserva Moac» hanno entusiasmato il pubblico della piazza di Sessano – pubblico arrivato da ogni parte della regione – con la proposta di un suono riconoscibilissimo che si basa sulla tradizione e sull’osservazione del mondo, sulle radici e sull’elettronica, su ciò che si è e su ciò che si condivide con gli altri. Sonorità della tradizione che si uniscono al digitale e all’elettronico, il ritmo dei canti d’Irlanda che diventa ritmo del Sud d’Italia – così come il verde irlandese può mescolarsi e confondersi con quello molisano -, scale arabeggianti che attraversavano il Mediterraneo per bagnare le coste dell’Est d’Italia – come a voler affarmerare che quel «Nostrum» andrebbe finalmente allargato a un possesso globale e condiviso. Altro che acque territoriali!
«Creolizziamoci» diceva Armando Gnisci nel tentativo di convincere l’Occidente a una decolonizzazione necessaria al bene dell’Umanità. E la «creolizzazione» dei «Riserva Moac» passa per un sentire l’anima del territorio come propria e, nello stesso, consegue dalla necessità di «sporcare» tale anima con tutto ciò che nel mondo sembra essere bello ed efficace per un miglioramento necessario alla salvezza del genere umano.
…Ho visto ciò che farai sarai pericoli e guai
affronterai la marea, ma non è dio sono io
sono il tuo pianeta ti avverto come un profeta
vado avanti non fa niente pure senza di te…
È la Terra che parla ai suoi abitanti. Dice che può fare a meno di noi. Ed è così strano che ciò che ci venga ricordato in concerto e non nei luoghi deputati alle decisioni. Così come è strano rendersi conto che l’eliminazione della plastica dai lidi (persino a Campomarino!) sia stato «deciso» da una ragazzina svedese senza alcun potere di rappresentanza.
Nella proposta dei «Riserva MOac» non manca la poesia. Così, per esempio, il vitigno della Tintilia nasce da una storia d’amore di tanti secoli fa. Una storia d’amore tormentata e tragica tra una nobile del nostro territorio e i Borbone di Spagna. Ancora contaminazioni…
Insomma, musicisti bravissimi, attenti ai particolari. Front (wo)men sicuri e coinvolgenti. Un concerto – quello di Sessano – che lascia convinti dell’efficacia di un progetto che fa dei «Riserva Moac» ambasciatori (hanno appena tenuto una serie di concerti in Germania e Svizzera) sicuramente migliori di tante delegazioni istituzionali che ci rappresentano in Bit, Bot, Bat inutili e costose.
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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