Ospedale affollato come una stazione
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Una struttura ospedaliera è uno dei luoghi con maggior transito di persone e ciò va a vantaggio della socializzazione.
L’ospedale non deve essere il luogo della segregazione dei malati perché ciò non giova alla guarigione, aggravando le loro condizioni psicologiche. Nei fatti una struttura ospedaliera non è un posto chiuso, dove gli ammalati si sentono appartati perché, al contrario, essa si rivela come uno degli aggregatori sociali più importanti. L’ospedale è specialmente negli orari di visita assai affollato, quando supera, e di molto, per numero di presenze i cinema multisala, i centri commerciali, ecc.. L’ospedale è una realtà complessa popolata da pazienti, dai loro accompagnatori con, magari, le badanti che li assistono di notte, dal personale e dai fornitori quando la consegna dei prodotti avviene proprio presso i reparti.
I flussi che attraversano gli spazi ospedalieri sono plurimi e comprendono quelli dei sanitari che prestano la loro opera nelle varie divisioni, dei degenti, dei visitatori, degli addetti al trasporto, in entrata, dei materiali sterili e delle vivande e, in uscita, dei rifiuti. Si tratta, dunque, di diversi generi di percorrenze, destinati a tipi differenti di persone, ognuna con le proprie esigenze; essi non devono intralciarsi l’un l’altro per cui occorre una differenziazione degli itinerari, cosa che nel caso del grande atrio della Cattolica è davvero difficile in quanto episodio spaziale unitario senza suddivisioni al suo interno.
Non tutti i movimenti che avvengono in un organismo sanitario hanno bisogno di non incrociarsi e in questo l’ospedale si distingue da un aeroporto o da una stazione dove, soprattutto nel primo, vanno tenuti rigorosamente separati gli spostamenti di colui che è in partenza e di coloro che sono in arrivo. I corridoi che conducono alle sezioni di cura possono diventare momenti di incontro e di socializzazione per chi frequenta il nosocomio e per favorire ciò è opportuno prevedere l’installazione di panchine in particolari angoli degli stessi.
Sempre per la finalità dell’umanizzazione dell’apparato nosocomiale, altrimenti con connotati eccessivamente monofunzionali che riducono la terapia ad una questione solo medica, le pareti di tali camminamenti, che quando lunghi sono fonte di stress, potrebbero essere arredate con opere artistiche (si ricorda che l’arte, la quale comprende pure l’animazione teatrale che si pratica in tante realtà ospedaliere italiane, ha un valore terapeutico). Non è escluso che nei corridoi troppo estesi, per evitare la monotonia, possano essere posizionati distributori automatici di bevande.
Dunque il corridoio come spazio di relazione. La rete dei collegamenti confluisce nell’ingresso che è, perciò, un punto nodale. L’entrata è un momento significativo sia perché da qui si diramano i percorsi interni sia perché essa rappresenta l’arrivo nell’istituto di cura che può essere sentito come traumatico e allora esso viene preceduto da tettoie o pensiline le quali vengono a costituire elementi di mediazione tra il dentro e il fuori. Nell’atrio che segue vi è sempre il desk information il quale deve avere un aspetto ben curato che così contribuisce a trasmettere un sentimento di ospitalità, il quale dovrebbe permeare ogni parte dell’apparato ospedaliero.
Si è iniziato dicendo che l’ospedale è una occasione importante di socializzazione; se ciò è vero in generale lo è ancor di più in certi suoi posti in cui gli individui rimangono in contatto a lungo. Si tratta delle sale d’aspetto le quali stanno acquistando un peso crescente in quanto vi è un ricorso superiore al passato ai servizi diurni, dal day hospital alla chirurgia ambulatoriale. È auspicabile la centralizzazione delle sale d’attesa, non una sala d’attesa per ciascun ambulatorio o laboratorio diagnostico. Poi, per favorire l’interrelazione tra coloro che sono in attesa e gli altri frequentatori del nosocomio è bene che le sale d’aspetto non siano appartate, bensì siano attraversate dalle percorrenze.
È consigliabile disporre in appositi contenitori libri e riviste come, peraltro, succede negli studi medici. Le sale d’attesa costituiscono anche l’occasione per ricevere informazioni su quanto offre il servizio sanitario regionale, con alle pareti, nelle bacheche, affisso materiale riguardante le campagne di sensibilizzazione con i consigli per la prevenzione. Poiché gli ambulatori ospedalieri sono destinati oltre che ai ricoverati pure ai normali cittadini, la sala d’attesa ad essi connessa diventa un trait d’union tra la struttura curativa e il sistema insediativo. Non sarebbe sbagliato collocarvi anche una postazione internet. Una componente singolare, sempre presente, nei nosocomi è la cappella.
Essa permette il raccoglimento in preghiera tanto dei ricoverati quanto dei visitatori. Pur funzionale a soddisfare esigenze spirituali la chiesa, in questo caso la cappella, è, comunque, un luogo d’incontro e, quindi, di scambio. Ancora una volta un fattore di socializzazione, cioè di volano per l’instaurarsi di relazioni umane le quali danno un contributo ad alleviare le sofferenze o, perlomeno, costituiscono un conforto per chi sta vivendo una situazione di dolore. La cappella deve essere inserita nel manufatto ospedaliero per consentire la sua frequentazione da parte dei degenti i quali, a Termoli, non possono recarsi alla vicinissima chiesa di S. Francesco. Della medesima natura religiosa è l’obitorio, ma è un’altra storia.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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