Un automa per medico
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Le tecnologie stanno cambiando il mondo della sanità, tanto in campo ospedaliero quanto in quello ambulatoriale e financo nell’assistenza domiciliare.
Oggi le strutture ospedaliere si dovrebbero dotare di un piano di HTA, cioè di una programmazione di dotazione di tecnologie sanitarie, con una traduzione abbastanza letterale di Health Technology Assestment. Essa si rende necessaria perché i costi per macchinari, sempre più evoluti, sono andati crescendo in modo esponenziale negli ultimi tempi per cui non si può acquistare tutto, ma occorre fare delle scelte ben ponderate. L’HTA è un’operazione riconosciuta negli indirizzi programmatici nazionali. Essa non va confusa con l’effettuazione di analisi di mercato semplicemente, riducendola al confronto tra i dispositivi biomedici in vendita.
L’HTA è qualcosa di molto più complesso in quanto parte dalla consapevolezza che nuove macchine, nuove apparecchiature determinano modifiche nelle procedure cliniche fino ad allora seguite. In altri termini, si avrà una rivoluzione organizzativa dei metodi di cura oppure dei rilievi diagnostici. L’HTA è un passo necessario non essendo accettabile continuare ad avere un approccio poco strutturato nei riguardi della dotazione di apparati tecnologici. Prima ancora di attivare l’HTA, sempre ai fini del contenimento delle spese il quale è un obiettivo primario, specie nel Molise, Regione in deficit finanziario sanitario, sottoposta a Piano di Rientro del debito, occorre che ciò che si va a comprare venga sfruttato in pieno, in modo da massimizzare l’investimento.
Per ottenere ciò occorre la concentrazione in poche sedi ospedaliere delle apparecchiature a media e alta complessità. Per le aziende sanitarie pubbliche, per le quali è obbligatorio garantire equità di accesso alle cure sarà inevitabile una duplicazione di alcuni macchinari biomedici al fine di evitare, quando possibile, lo spostamento dei pazienti dai loro luoghi di vita. Una specificità la presentano le tecnologie della diagnostica per immagini, le quali oggi è possibile trasmettere a distanza, e per il laboratorio analisi il quale non richiede necessariamente che le persone si rechino presso di esso potendosi i punti di prelievo essere diffusi sul territorio; per i referti vi è la visualizzazione on line.
C’è da considerare, inoltre, che per l’utilizzazione degli apparati tecnologici c’è bisogno di un addestramento dei professionisti impegnativo, fatto anch’esso che spinge a concentrarle in un unico polo. È questo appena toccato uno dei motivi che giustificano la riduzione del numero di nosocomi; ne citiamo un altro, strettamente connesso a questo, quello della specializzazione del personale medico la quale si giova di fare esperienze di un macchina sanitaria innovativa.
È un po’ il gatto che si morde la coda: l’attrezzatura porta ad un incremento del sapere specialistico e, pertanto, ad un aumento della casistica da trattarsi con l’aumento della sicurezza clinica che è in dipendenza della quantità di prestazioni erogate in quel certo ospedale (i quantitativi di operazioni effettuate riducono il rischio di errori poiché il medico si impratichisce); il tema del punto nascita di Termoli che non raggiunge i 500 parti l’anno è proprio questo. Finora abbiano parlato di apparati biomedici di altissima specializzazione che evidentemente riguardano gli organismi ospedalieri; le innovazioni tecnologiche funzionali all’assistenza dei malati sono presenti, comunque, pur se con un grado di sofisticatezza inferiore, anche nelle strutture sanitarie territoriali.
Addirittura, sono tecnologicamente avanzati anche i mezzi che si adoperano nel trattamento a domicilio dell’ammalato. Ci sono, poi, strumenti assai elaborati impiegati nell’attività di prevenzione quali quelli per la misurazione della qualità dell’aria o delle caratteristiche qualitative delle acque oppure per la misurazione del radon. È sbagliato, ad ogni modo, pensare che i livelli di evoluzione delle attrezzature biomediche siano maggiori in quelle più grandi perché anche la strumentazione che è in dotazione dei servizi distrettuali è, a volte, assai elaborata specie quando esse sono una riproduzione a scala ridotta dei macchinari presenti nei nosocomi.
È, in altri termini, in atto da parte delle case produttrici un processo di miniaturizzazione tanto delle attrezzature diagnostiche quanto di quelle curative, per renderle movibili, se non portatili, e, così, permettere di effettuare le medesime operazioni che si svolgono in ambiente ospedaliero, tramite esse, sul territorio. Le nuove frontiere dell’ingegneria per la sanità sono molteplici e tra queste vi sono da un lato la telemedicina la quale consente di trasmettere, ai fini di un referto, a degli specialisti, anche collocati in zone lontane, le immagini concernenti lo stato di salute del paziente e dall’altro lato la robotizzazione delle sale operatorie.
Si è appena parlato del futuro, ma non si è, di certo, in grado di prevedere lo sviluppo delle tecnologie tanto in campo biomedico quanto in qualsiasi diverso settore. La ricerca scientifica fa continui progressi e ciò rende indeterminati gli scenari che possono configurarsi. Vi è una sola certezza ed è quella che gli attuali macchinari diventeranno obsolescenti per cui necessitano di rinnovamento.
C’è qualcuno che ipotizza che le tecnologie superate, appena vengono dismesse potrebbero essere trasferite in nosocomi di Paesi in via di sviluppo, ma anche in realtà ospedaliere minori, qualora si ritenga che l’esistenza debba essere confermata, magari assegnando loro funzioni differenti (ed è quanto dispone il Piano Operativo Straordinario della Regione Molise, redatto dal Commissario ad Acta per il triennio 2015-2018, tuttora vigente) quali prestazioni ambulatoriali, day hospital, analisi diagnostiche, riabilitazione oltre che un punto di pronto soccorso abbastanza elementare per le “emergenze-urgenti”. Per il privato il Commissario ad Acta ha emesso un proprio decreto con il quale si stabilisce che non è consentito l’accreditamento per laboratori inferiori ad un certa taglia per la medesima ragione che le macchine ad alta automazione sono costose, non giustificate.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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