Ospedale e contaminazioni urbane

di Francesco Manfredi-Selvaggi

L’ospedale è, comunque, un brano di città, anche per le sue dimensioni, è perciò è tenuto a colloquiare con il resto dell’abitato

Gli ospedali, stando alla normativa urbanistica, non si potrebbero costruire ovunque, ma solamente nei Comuni di taglia superiore. Per intenderci non sarebbe ammissibile ad Agnone, dove, però, è storicamente presente. Nei Piani Regolatori di tali centri va prevista una zona edificabile denominata Zona F «Servizi Generali Ospedalieri» e secondo le regole dello “zoning” si tratta di destinazioni esclusive, nelle quali, cioè non è ammessa la localizzazione di nessun’altra attrezzatura cittadina. Ciò impedisce che intorno al nosocomio siano previsti bar e negozi accessori, anche semplicemente quelli utili ai famigliari dei ricoverati.

Neanche sarebbero ammesse strutture ricettive, come succede a Pozzilli nelle vicinanze della Neuromed, per gli stessi accompagnatori dei malati. Una soluzione per superare la rigidezza della norma del PRG che esclude nella Zona F altre funzioni al di fuori di quella ospedaliera è quella di inglobare nel progetto dell’istituto sanitario gli esercizi commerciali complementari se non minime attività alberghiere. Includere nel manufatto ospedaliero tali servizi risulterebbe utile pure per i pazienti e per gli addetti che non potrebbero accedere a quelli eventualmente posti all’esterno.

Nella Cattolica a Campobasso c’è un accenno di ciò con la presenza di un grande spazio all’ingresso che assomiglia ad una piazza coperta (da una vetrata) e che, però, nonostante la presenza di locali per il commercio (rivendita di giornali e caffetteria) che affacciano su di essa rimane un atrio, seppure di dimensioni dilatate. Vi sono esperienze in Italia e a livello internazionale, nelle quali invece di un ambiente concluso vi è una strada interna che richiama le gallerie a vetri sulla quale affacciano, come nei saloni espositivi ottocenteschi, gli ingressi di ristoranti, locali di intrattenimento e di relax, sala cinema, ecc.

Oltre ad essere una sorta di shopping mall essa ha anche il compito della distribuzione delle varie articolazioni funzionali dl nosocomio, cosa che avviene pure con la piazza che è il luogo di confluenza dei flussi di spostamento di materiali, personale, visitatori. Ad eccezione dell’ospedale di Isernia che è una propaggine della città, le realtà ospedaliere molisane rimangono distaccate dall’insediamento urbano, pure a Termoli dove anche essendo compreso nel perimetro cittadino l’ospedale occupa un lotto isolato. Nel capoluogo regionale la posizione, rispettivamente sulla collina di Tappino e a monte Vairano, del Cardarelli e della Cattolica, impedisce l’integrazione con la città e le occasioni di ristoro, di alloggio, di acquisto di beni utili che essa offre.

Del resto, gli ospedali, per la pluralità dei compiti che svolgono, da quello dell’accudimento dei degenti, alle operazioni chirurgiche, alle analisi di laboratorio, alle prestazioni ambulatoriali e così via, anche a prescindere dal contenere punti vendita , “tavola calda”, ecc., appartiene alla categoria degli edifici complessi come le stazioni ferroviarie, i musei, gli aeroporti, i centri commerciali. È impossibile individuare una tipologia unica perché le esigenze variano a seconda del ruolo chiamato ad assolvere nella rete ospedaliera, se in quella dell’emergenza che è generalista o in quella dell’alta specialità.

Si diversificano, inoltre, per i contesti territoriali in cui sono collocati e per le loro dimensioni. In passato, nelle prime realizzazioni di ospedalità moderna il tipo edilizio prevalente è stato quello dell’organismo a padiglioni. Da noi non vi sono state esperienze di tale fatta in quanto tale tipo si presta per grandi complessi ospedalieri che qui non c‘erano (ora, forse, c’è il Cardarelli). È, comunque, una “ricetta” tipologica che conosciamo essendo essa stata adottata nella progettazione delle Casermette. È un modello architettonico scelto per evitare il contagio tra gli ammalati, specie infettivi, dei differenti reparti, ovvero padiglioni, pericolo oggi scomparso poiché le infezioni sono state debellate dagli antibiotici.

Sarebbe stato facile accogliere funzioni extra ospedaliere destinando loro un padiglione che è un corpo a sé stante; è da aggiungere che lo schema a padiglioni è uno schema a sviluppo orizzontale e che le attività extra prediligono il livello terraneo il quale per via dell’orizzontalità dell’impianto ha una superficie assai estesa. Questa forma architettonica è stata in seguito abbandonata a causa dei lunghi percorsi che essa impone e ci si è mossi verso l’ospedale compatto.

Compatto si fa per dire, comunque, perché in esso si distinguono (salvo che negli ospedali piccoli, prendi Agnone, i quali sono semplici tipologicamente) tre parti abbastanza nettamente: la prima contiene i servizi generali e logistici amministrativi quali occupano il volume basso che è posto vicino all’entrata, la seconda che è dedicata alle degenze la quale si sviluppa in altezza e la terza che è l’unità sanitaria vera e propria con sale operatorie, il blocco di diagnostica e quello ambulatoriale.

Di questa terza i primi due gruppi potendo trovare collocazione nel seminterrato o nel caso di ubicazione del nosocomio in un sito pianeggiante nel centro del piano terraneo non richiedendo finestre (requisito adesso in discussione) e l’altro, che è frequentato pure da assistiti che vi si recano dalla propria abitazione, a contatto con l’accesso del nosocomio prossimo alla fermata dell’autobus. Gli ospedali hanno una marcata connotazione dal punto di vista distributivo, ripetendo tutti, più o meno (anche i minori, cioè Termoli e Isernia), il modello “piastra”-“torre”. È un disegno assai chiaro che sopporta poco le contaminazioni quali potrebbero essere l’aggiunta di un porticato commerciale, una piazzetta nel piazzale antistante e via dicendo.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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