Torri che difendono le mura che difendono gli abitati

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Le murazioni urbiche servivano a proteggere gli agglomerarti insediativi; a loro volta esse sono presidiate da torri collocate specialmente vicino ai punti più deboli della cerchia, le porte.

Eccetto pochi centri, tra i quali vi sono Fornelli e Scapoli dove esse hanno anche la funzione di opere di contenimento del terreno del basamento (naturale, mai frutto di riporto di terra), qui da noi non si conservano le cinte murarie medioevali. Almeno in maniera integra, in quanto permangono tracce di murazioni, allo stato di rudere, a Roccaravindola Alta. È opportuno far notare che i centri abitati sono stati in possesso della limitrofa abbazia di S. Vincenzo al Volturno, abitati dai suoi coloni, il che deve essere il motivo della cura nella costruzione delle mura.

Tutti e tre, insieme a Sepino, hanno un camminamento di ronda che si sviluppa sopra la murazione, il che ne fa opere difensive avanzate; tale cammino è intervallato, senza essere interrotto, da posti di guardia sopraelevati sotto i quali esso continua a correre, destinati alle sentinelle. Altrove le difese perimetrali sono scomparse perché inglobate in alti edifici residenziali che ne sfruttano il paramento murario effettuando con regolarità bucature per aprire finestre. L’esempio classico è Campobasso dove la cinta difensiva è ormai diventata la parete esterna delle costruzioni abitative che vi sono addossate, leggibile unicamente per l’andamento a scarpa della loro parte basamentale in via Marconi.

Il capoluogo regionale è la testimonianza anche di come le mura urbiche, a differenza dei castelli, siano dei fatti dinamici perché sono soggette a cambiamenti nel tempo in quanto il perimetro urbano, per l’espansione dell’abitato, è destinato a mutare nei secoli: alla cortina che doveva racchiudere l’originario borgo medioevale, delimitata dalle vie Ziccardi e S. Antonio Abate, si sostituisce una più ampia che la viene ad inglobare in età aragonese che è poi quella definitiva, la quale è costeggiata da viale del Castello, via Orefici e via Marconi.

Si dice che le mura siano un fenomeno di lunga durata e ciò è vero non nel senso che esse materialmente permangono bensì che rimane costante, pure una volta scomparse, la loro traccia a terra, per così dire, costituita dalle strade che ne colmano il fossato (quando c’era, o la fascia libera circostante che c’era sempre, il pomerio). A volte, però non si riconosce alcun segno, né in alzato né in pianta, che faccia presupporre la presenza di un periplo murario e questo deve essere dovuto al fatto che la protezione dell’insediamento era interamente affidata al castello; il caso limite è quello di Vastogirardi in cui è vero che c’è un nucleo fortificato il quale, nonostante comprenda la chiesa parrocchiale, ha una superficie ridotta, non tale da contenere tutti gli abitanti i quali quindi erano insediati al di fuori di esso in un agglomerato contiguo non dotato di mura; la popolazione nei momenti di pericolo si rifugiava entro la corte, che è un vuoto grande rispetto alle dimensioni di questa particolare struttura castellana.

Si è detto che è relativamente facile arrivare a presupporre la preesistenza di murazioni dallo schema viario (Montaquila), ma ciò è vero se il borgo sta su un colle essendo qui i percorsi semi-circolari (qualsiasi aggregato urbano si sviluppa solo su un versante), una forma ricorrente della maggioranza delle cinte antiche. Qualora l’aggregato insediativo è posizionato in piano, succede a Boiano e Venafro secondo il modello dei municipi romani, la rete stradale è costituita da segmenti rettilinei senza elementi curvi i quali permetterebbero ipotizzare che la città fosse dotata di mura.

Queste ultime, comunque, ci dovevano necessariamente stare, magari dello stesso tipo di quelle di Altilia le quali sono diritte e il perimetro è un rettangolo (Bovianum e Venafrum sono un po’ differenti perché addossate alla montagna, lato nel quale non avevano bisogno di protezione). Saepinum ci ricorda pure un’altra cosa che è quella che le cinte sono dotate di torri, una sorta di rompitratta. Torri, o meglio torrette, che servivano a rafforzare la cerchia muraria, sono disseminate qua e là in più paesi (a S. Polo e a Campodipietra sono diventate addirittura i campanili e questa particolarità forse è connessa al fatto di avere la pianta tonda, almeno parzialmente nel comune matesino).

Di certo, ci sono pervenute in quantità superiore in raffronto alle mura le porte le quali, poi, sono una parte delle stesse murazioni. In altri termini, della cinta muraria sono sopravvissute prevalentemente le porte. Porte e castelli sono i segni del sistema difensivo che si sono salvati poiché assimilati a monumenti. Le porte urbiche, pure quelle che non hanno caratteri monumentali (in tale categoria c’è quella della Terravecchia di Casacalenda e quelle di Portocannone e S. Martino in Pensilis), si sono preservate, da Mirabello a S. Giuliano di Puglia a Ripalimosani e così via.

Non manca che delle porte si tramandi, tanta è l’importanza ad esse attribuita, pure se ormai scomparse il toponimo come a S. Massimo quello di Porta da Capo (in verità può accadere anche per le mura: a Spinete il percorso che costeggia il centro storico si chiama Rinforzi il quale ha una duplice accezione di rinforzo del costone su cui esso poggia e di rinforzo militare). Alle porte sono di regola accostate torri che hanno lo scopo di presidiare il punto più debole della murazione e succede con le simboliche 6 torri dello stemma del capoluogo regionale, una per ogni porta del principale centro molisano delle quali ne rimangono 4: la torre di porta S. Antonio Abate, quella di porta S. Nicola, quella di porta Mancina e quella di porta S. Paolo. Precedente a queste e collocata a fianco della porta di una precedente cerchia muraria vi è la torre Terzano. Le porte sono pensate per la chiusura dell’abitato e nel medesimo tempo per l’apertura e la sua prima direttrice di crescita è stata proprio in prossimità delle porte S. Antonio Abate e S. Paolo, due chiese fuori le mura intorno alle quali si radunarono le prime abitazioni extraurbane.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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